SCUOLE APERTE. VIA DALLA GRAMMATICA DELLA VIOLENZA

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    Riflessione sulla conflittualità tra le culture “altre” dei giovani al Liceo “G. Mercalli” di Napoli.
    Di Annamaria Franzoni

    La seconda giornata di lavoro del Progetto Scuole Aperte ha avuto inizio con la visione del film “Freedom writers” che non è stato anticipato, come è avvenuto per il precedente film, da alcuna informazione iniziale, nè introduzione, nè preparazione su quanto veniva proposto ai giovani spettatori , tranne che si trattasse di una storia vera.

    Conclusa la proiezione, le emozioni provate dai ragazzi e le conseguenti riflessioni si sono ben presto palesate forti e profonde: è emerso, infatti, che in contesti difficili spesso la violenza è l”unica risposta non elaborata a situazioni di paura, timore , panico. Più di uno ha infatti sostenuto che quei loro coetanei, crescendo molto in fretta, senza alcun sostegno sociale, affettivo e familiare sono stati abituati a assumere la violenza, che tra l”altro essi stessi hanno subito, come principale e forse unica modalità di relazione con il mondo esterno.

    Soprattutto il lessico, emerso dal brainstorming di questo secondo incontro sul termine “intercultura”, si è presentato molto diverso rispetto a quello utilizzato nel corso dell”incontro precedente: i ragazzi hanno, infatti, sottolineato che non esiste solo una sorta di razzismo da parte di un gruppo forte su uno più debole , come nella precedente vicenda tra bianchi e neri, ma che emergono forme di violento rifiuto da parte di gang altrettanto deboli, diseredate, contro tutti i potenziali nemici altrettanto socialmente e culturalmente deprivati.

    Questo “non gruppo”, spinto in uno spazio comune, non è capace di un dialogo fino a quando su di esso non cala uno sguardo amico che riesce a creare un ambiente favorevole all”abbattimento del muro di aggressività, attraverso lo spazio della parola ed in particolare della parola scritta.
    Ecco, allora, che la storia dell”aula 203 mi ha consentito di sottolineare, ancora una volta, il ruolo, essenziale nella scuola e nella vita di tutti e di ciascuno, della parola che rende forti, che rende liberi e che rende consapevoli.

    Quei ragazzi, come è stato sottolineato dai giovani spettatori del Liceo Mercalli, vivono in famiglie che favoriscono ed alimentano l”odio e il razzismo, tuttavia, sono riusciti a superare la loro squallida quotidianità attraverso la fiducia e soprattutto attraverso i segnali rassicuranti di chi ha messo in gioco tutta sè stessa e la propria vita privata per loro. Inoltre è emerso che la fermezza della signora Gruwell ha insegnato loro la perseveranza nel raggiungere l”obiettivo desiderato: fino a quel momento a quei ragazzi era solo stato detto che dovevano andare a scuola, ma nessuno aveva insegnato loro a liberarsi da tutti gli ostacoli creati dal contesto che non consentiva loro lo sviluppo e la crescita vera, che potesse farli uscire dalla “grammatica della violenza”, portandoli fuori dalla cornice criminale.

    Questa storia mi riporta alla mente un”altra significativa esperienza vissuta negli anni “90 da Oscar Henao Mejìa, Preside a Medellìn in Colombia , in un quartiere in cui in due anni vennero celebrati183 funerali di ragazzi: egli intese che gli alunni della sua scuola pativano più di ogni altra cosa la solitudine. Nel suo libro si legge: “Questi giovani erano sempre più autistici , l”unico linguaggio che conoscevano era sempre più quello delle armi. Bisognava creare nuovi canali di comunicazione: più dell”algebra, della chimica, era importante lo spazio di ri-creazione in cui si poteva parlare… e soprattutto esprimersi attraverso la scrittura” (tratto da:Oscar Henao Mejìna, “Un”experiencia de scrittura personal con adolescente. El protagonista inicial: un desobediente”. Secretarìa de Educacìon Municipal de Medelleìn. 2006).
    (Fonte foto: Rete Internet)