QUANDO LO STALKER É IL COLLEGA DI LAVORO

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    I luoghi di lavoro sono terreno fertile per lo sviluppo di comportamenti molesto e persecutori. L”avventura di M., che alla fine della storia ha perso anche la stima della madre. Di Simona Carandente

    Torniamo a parlare di stalking, affrontando per la prima volta il tema delle molestie a carattere persecutorio che nascono, e successivamente si alimentano, nell’ambiente di lavoro e tra colleghi.
    Non è infrequente, difatti, che proprio negli uffici, negli ospedali, nelle amministrazioni si creino terreni fertili per simili dinamiche, con conseguenze talvolta spiacevoli e non sempre fronteggiabili.
    M. si rivolge all’avvocato in preda ad una vera e propria crisi di nervi, che quasi le impedisce di parlare: difatti, saranno necessari diversi e plurimi incontri per far sì che possa aprirsi, raccontando finalmente l’incubo che vive da oramai diversi anni.

    Tempo addietro, M. aveva cominciato a lavorare come volontaria presso una struttura ospedaliera della sua zona, e proprio in quella sede aveva conosciuto G., volontario come lei, animato come lei da uno spiccato senso di umanità per le problematiche altrui, e in special modo quelle dei pazienti collocati presso la struttura.
    Pian piano M., che è felicemente sposata con figli adulti, e G. stringono amicizia, legati dal comune senso di responsabilità e dalla passione per quel lavoro che, giorno dopo giorno, portano avanti tra mille difficoltà e talvolta senza alcuna remunerazione.

    Ad un tratto M. comincia a capire che le attenzioni del collega sono di tipo diverso, e che a G. non basta più il rapporto amicale che hanno instaurato, pretendendo a tutti i costi che lo stesso evolva in tutt’altra direzione.
    M. comincia a respingere le avances del collega e, per sottrarsi alle attenzioni di quest’ultimo, lascia addirittura la struttura ospedaliera in cui operavano insieme, nella speranza che questo comporti una rottura del rapporto esistente tra loro.
    Da quel momento iniziano i guai per M, colpevole forse di aver dato eccessiva "confidenza" al gentile ed insospettabile G., il quale oramai conosce a menadito ogni dettaglio della sua vita, dove abita, chi sono i suoi figli, quali sono le abitudini della sua famiglia, persino dove vive la sua anziana madre.

    G. comincia a tormentare il marito di M. con sms minacciosi, con cui lo invita a guardarsi bene dalla "poco di buono" della moglie; si procura con una banale scusa il numero della madre di M., che comincia a telefonare con assurda insistenza; arriva addirittura al punto di seguire M. ogni mattina, giungendo a far lo stesso nei confronti della figlia minore che ogni giorno si reca a scuola.
    Quando M. chiederà l’intervento della giustizia sarà allo stremo delle forze: per anni è stata vittima delle persecuzioni di G., prima di avere il coraggio di uscire allo scoperto e denunciare il tutto.
    G. è stato rinviato a giudizio, e nei suoi confronti applicata una misura cautelare che gli vieta, pena l’aggravamento della stessa, di avvicinarsi ai luoghi frequentati da M. e dalla sua famiglia.

    Nel frattempo, M. ha richiesto l’aiuto di uno specialista per venire fuori da un incubo che, peraltro, le è costato la perdita del rapporto con l’anziana madre: per essa, difatti, la colpa è solo di sua figlia, che ha oltremodo "incoraggiato" le attenzioni morbose del collega. (mail: simonacara@libero.it)
    (Fonte foto: Rete Internet)

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