Una recente sentenza della Corte di Cassazione, dopo una lunga disputa, ha sancito il diritto per tutti i disabili di abbattere ogni tipo di barriera architettonica presente nel proprio condominio, malgrado l’opposizione di qualche inquilino.
Presenti un po’ ovunque, le barriere architettoniche rappresentano una vera vergogna sociale. Un grandino troppo rialzato, uno scivolo fin troppo ripido (questo quando si è fortunati nel trovarlo), la mancanza di un ascensore, sono i primi problemi che un disabile riscontra nel trovarsi all’interno di un ambiente pubblico o privato.
Grazie alla sentenza 18334/2012 della Corte di Cassazione, però, i disabili hanno ottenuto dalla loro parte un’arma in più. Infatti, attraverso il suddetto atto, è stato decretato che nessun condomino potrà più obiettare all’installazione di un ascensore, in special modo se questo è specificatamente richiesto per le esigenze di un portatore di handicap. Neanche le motivazioni puramente estetiche saranno accettate. Questo perché, la motivazione dell’imbruttimento estetico del palazzo, figurava tra le ragione più spesso additate come scusante per opporsi all’installazione di un ascensore condominiale.
Dovrà dominare, quindi, il principio di solidarietà. "Rimuovere ogni possibile ostacolo all’applicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici" è un dovere sia civile che sociale. Infatti, sempre secondo quanto si legge nella sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, quella della socializzazione “deve essere considerata un elemento essenziale per la salute" tanto da poter "assumere una funzione sostanzialmente terapeutica assimilabile alle stesse pratiche di cura o riabilitazione". Se ne deduce, quindi, che impedire alle persone disabili di uscire dal proprio abitato, sia un atto da ritenersi altamente fuori legge.
Emessa in seguito ad una disputa avviata da un condomino di una villetta nei pressi di La Spezia, il quale protestava perché lo spazio esistente per la rampa di scale gli era stato ridotto per far spazio ad un ascensore(il signore faceva appello a questioni di sicurezza ed estetiche), nel vedersi sconfitto dopo diversi gradi di giudizio, è finito per ritrovarsi il suo caso come rinforzo per una debole giurisprudenza in materia di handicap ed accessibilità.
In sintesi, ciò che ha voluto rimarcare questa sentenza, è che il "semplice disagio" sopportato da un condomino al fine di abbattere delle barriere architettoniche, non può, e soprattutto non deve, bloccare l’applicazione di norme che sono state ratificate dall’Italia già nel lontano 2009: "gli Stati sono obbligati a rimuovere la condizione di minorità, che non nasce solo dalla condizione fisica del disabile, ma anche dall’esistenza delle barriere che ne impediscano la piena partecipazione alla vita sociale, e che pone attenzione specifica alla questione dell’accessibilità".
Va ricordato, inoltre, per quanti non ne fossero ancora a conoscenza, che la Commissione Giustizia del Senato, a fine novembre, ha approvato 31 nuovi articoli inerenti i regolamenti di condomini. Tra i tanti, ha stabilito che, per la messa a norma in sicurezza e per l’eliminazione delle barriere architettoniche del palazzo, da oggi, sarà indispensabile soltanto un terzo dei millesimi complessivi presenti all’assemblea(il 50% più uno dei votanti).
Per quanto ci riguarda, invece, riteniamo questa sentenza, in abbinato alla decisione della Commissione Giustizia, un primo e fondamentale tassello verso il miglioramento delle condizioni di vita dei portatori di handicap. Un passo, a mio modesto parere, che forse, rispetto a tante altre realtà, è stato compiuto anche con gravoso ritardo.
(Fonte foto: Rete Internet)
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