LE PERLE DEL SIG. BOSSI UMBERTO

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Anche se il CapoLega smentisce un attimo dopo quello che ha detto un momento prima, è evidente che le sue chiacchiere svelano rappe. E i leghisti sono sempre più incazzati con lui. Di Carmine Cimmino

Il diavolo è un ottimista
se crede di poter peggiorare gli uomini ( Karl Kraus).

L’altra sera, nel salotto televisivo della Gruber, la Dandini ha detto che i nostri politici sono campioni della comicità involontaria: fanno ridere soprattutto quando sono convinti di parlare seriamente. Ma la comicità non è un carattere oggettivo della realtà: è una “potenza” dell’osservatore. C’è gente capace di “vedere“ come ridicole persone, parole e situazioni che per tutti gli altri risultano indifferenti, e talvolta perfino tinte di dramma. È una “deformazione“ dell’occhio, spiegava Hogarth, quando gli domandavano perché la sua rappresentazione del mondo tendesse implacabilmente al grottesco.

Secondo la Holbrechts-Tyteca, che ha scritto un libro mirabile sulla retorica del comico, l’ignoranza, la fretta e la presunzione ci costringono sovente a costruire i nostri ragionamenti su una struttura logica troppo fragile, incapace di sorreggere il peso delle nostre parole o di resistere alle manipolazioni e alle interpretazioni del nostro interlocutore: al primo urto essa si schianta e apre il varco all’irrisione. Esemplare è un colloquio tra Nasser, il rais dell’Egitto, e Kossygin, ministro degli esteri dell’Urss.

È il giugno del 1967. L’Egitto è in guerra con Israele. Che con un attacco preventivo distrugge l’aviazione nemica: poche ore dopo, è il 6 giugno, le truppe corazzate israeliane circondano, nel Sinai, le divisioni di Nasser, fanno migliaia di prigionieri, si impadroniscono di enormi quantità di armi, compresi cannoni e carri armati. Per l’Egitto è la disfatta. Ma Nasser non si arrende. Dice all’alleato Kossygin: “Devi mandarmi al più presto 500 aerei e 1000 carri armati.”. E Kossygin ribatte sarcastico: “Agli Israeliani serve altro? “. In verità, la battuta non è nuova. L’aveva già fatta Annibale, rispondendo a una domanda di Antioco di Siria, di cui era ospite.

Antioco, che si appresta a dichiarare guerra a Roma, fa sfilare davanti al condottiero cartaginese il suo esercito. Gli mostra con orgoglio la cavalleria, sfavillante di corazze dorate, di falere e di briglie d’argento, i carri falcati protetti da borchie di bronzo, gli elmi e gli stendardi luccicanti di oro. Pare non un esercito, ma un immenso, mobile scrigno di metalli preziosi. Antioco domanda ad Annibale: Basterà tutto questo per i Romani? E Annibale: credo che basterà, anche se i Romani sono insaziabili.

I nostri politici si trovano in una condizione oggettivamente straniante. Accusati di imprevidenza e di inettitudine, sono stati commissariati dai tedeschi, dai francesi e dal mondo della finanza. Sanno che il governo Monti durerà quanto il dott. Monti vorrà, sanno che la loro obbedienza dovrà essere cieca e totale, come quella che i Gesuiti giurano al Papa. Sanno anche che devono in qualche modo giustificare la loro esistenza e i loro stipendi e privilegi. I più furbi si sono chiusi in silenzio che dovrebbe apparire indignato, ma è solo prudente. I meno furbi parlano. Parlo, dunque sono. Parlano come sanno, purtroppo per loro: e le parole, che spesso sono serpenti velenosi, li mordono.

Soprattutto nei titoli degli articoli di giornale: per due motivi: perché un titolo è di per sé, per la necessità della sintesi, un’acrobazia logica, e poi perché un titolo sta in mezzo ad altri titoli, e spesso il confronto è un urto, e l’urto sprigiona scintille di comicità. Fabrizio Roncone ( Corriere della Sera, 13 gennaio ) intervista un sottosegretario del governo Monti, che possiede 96 fabbricati e 61 terreni, e riconosce che durante tutto il colloquio l’intervistato non è stato né supponente, né arrogante. Ma l’articolo ha questo titolo: Il sottosegretario con 95 immobili: “Non sono ricco”. Proprio così ha detto, il sottosegretario: non sono ricco. Poche pagine prima, Enzo Ghigo, del PDL, commentando la decisione della Consulta di dichiarare inammissibili i referendum sulla legge elettorale, esorta i partiti a “migliorare l’attuale legge elettorale“. È facile fare sarcasmo: Migliorarla come? Eliminando del tutto le preferenze e bloccando le liste nella loro interezza? Un porcellum integrale, al 100 %. ?

Come ogni oggetto toccato dal mitico Mida si trasformava in oro, così ogni parola del sig. Umberto Bossi è, per chi ha quella “deformazione“ di cui prima si parlava, una perla di comicità. La causa è nell’abito filosofico del sig. Bossi: egli coglie e vive l’attimo. Si immerge tutto in esso, annulla il passato e il futuro. È un modo di vivere solido e pieno. Il martedì il sig. Bossi dice che la Lega voterà “sì“ per l’arresto dell’on. Cosentino. Ma la notte e il telefono di Berlusconi portano consiglio. Il mercoledì il sig. Bossi lascia libertà di coscienza ai suoi, ma in realtà ordina di votare no. “Nelle carte non c’è nulla“ dice, drastico. E il dott. Giandomenico Lepore, ex procuratore capo di Napoli, si augura, sarcastico, che quando ha letto le carte, il sig. Bossi abbia almeno inforcato gli occhiali (La Repubblica, 12 gennaio). Ma il sig. Bossi non si ferma, cerca il sublime.

E lo trova: la Lega non è forcaiola, dice. Mi pare che questa proposizione rappresenti oggettivamente, al livello più alto, la straordinaria capacità che ha quel signore di straniarsi tutto intero dalla memoria non dico dell’ieri, ma dell’oggi, di un momento fa. Ma nemmeno lui è perfetto: non sa che quando il piatto e la tasca incominciano ad essere vuoti, le chiacchiere si spogliano, si struccano, svelano rughe e rappe: manifestano ciò che sono: solo chiacchiere. La crisi finanziaria schiarisce la vista e allunga la memoria: anche i leghisti ora ricordano, vedono, capiscono. E sanno. Sono incazzati, con il loro capo. Tanto che mi pare che la proposizione “la Lega non è forcaiola“ più che un misero straccio di pezza d’appoggio (‘a pezza a colore) sia un augurio che il sig. Bossi, preoccupato, rivolge a sé stesso.

I giudici ci diranno se l’on. Cosentino è colpevole o innocente. Noi possiamo soltanto notare che egli è stato uno “strumento“ di cui si è servita la storia – la storia sa essere ironica- per sbeffeggiare il sig. Bossi: la Lega è nel caos ad opera di un onorevole campano, che i magistrati accusano, tra l’altro, di essere “un referente nazionale delle cosche casalesi.”. Ma forse si avvicina una svolta epocale nella riflessione filosofica (che Zenone mi perdoni…) che la Lega conduce sulla storia.

Si avvicina il momento in cui il sig. Bossi dirà ai suoi: “Toglietevi gli elmi e smontate il carroccio. È venuto il momento di riconoscere che l’Italia è una e indivisibile. Ma non è stato Garibaldi a unificarla.” “E chi è stato?“ gli chiederà un deluso discendente di Viridomaro. Il sig. Bossi sospirando dirà: “È un segreto di Stato.”. E intanto penserà: Di che cosa sono stati capaci questi terroni…
(Quadro di Meret Oppenheim, “Donna di pietra”, 1938)

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