IL CIGNO NERO

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Variazione sul tema della follia di uno dei più imprevedibili registi americani. Sullo sfondo del Lago dei cigni, un”opera inquieta che esalta l”estetica del disturbo senza perdersi in banali analisi psicologiche.

Darren Aronofsky ci ha sempre abituato ad un cinema dell’eccesso, costruito per sovrapposizione di suoni, vicende, trovate di regia non sempre funzionali alla storia. Da sempre indicato come uno dei più originali registi americani contemporanei, ha spesso pagato questo eccesso di foga creativa nei suoi film. Il teorema del delirio e Requiem for a dream – i due film d’esordio che l’hanno consacrato – avevano il loro unico difetto proprio nell’equilibrio instabile tra forma e contenuto: audace nello stile ma deludente nella risoluzione della storia il primo, esagitato e tendente quasi alla forma “videoclip” il secondo.

Dopo il mezzo passo falso di The Fountain – film pasticciato al limite del kitsch – Aronofsky aveva stupito il pubblico con la semplicità dell’intenso The Wrestler, capace anche di rilanciare Mickey Rourke: caratterizzato da uno stile asciutto – nonostante la storia drammatica – il film mostrò un lato del regista fino ad allora sconosciuto.
Questo Cigno nero sembra tentare una sintesi matura tra le diverse esperienze.

La storia si inserisce in un filone classico del genere “thriller-psicologico”, ossia il tema del doppio. Una giovane ballerina viene scelta per il ruolo da protagonista ne Il Lago dei cigni: ma se con la sua grazia e il suo aspetto quasi incorporeo risulta da subito perfetta per l’interpretazione di Odette, più complicata è l’immedesimazione nel ruolo di Odile, il cigno nero, per il quale Nina dovrà far uscire malizia e sensualità che le sembrano estranee. A complicare la ricerca del proprio “lato oscuro”, arriverà una nuova ballerina che sembra l’opposto della protagonista…

Il doppio, dicevamo. Il cuore del film è tutto lì: costretta a costruire una nuova sé, Nina si immergerà in un lavoro sulla propria personalità dagli esiti incerti. Ma il regista ci pone subito di fronte ad un interrogativo: Nina dovrà costruire il proprio lato oscuro ex novo o semplicemente lasciare che affiori, fino quasi a rimanerne annientata?
Senza svelare troppo, possiamo anticipare come il personaggio di Nina ci venga da subito mostrato complesso, oscuro, articolato. La purezza che le viene riconosciuta all’interno del corpo di ballo e in particolare dal suo maestro non corrisponde ad una personalità lineare. Gli altri personaggi del film vedono a lungo un’unica Nina, mentre il regista è abilissimo a mostrarci sin dall’inizio come il “doppio” – in fondo – stia sempre annidato lì, da qualche parte.

La potenza del film è nell’inquietudine che lo attraversa dall’inizio alla fine, senza che questa abbia bisogno di grosse trovate o colpi ad effetto per emergere. Veniamo catturati da una narrazione che non procede secondo uno schema classico “introduzione-svolgimento-spiegazione”, ma ci mostra in modo costante, dal primo all’ultimo minuto, la perversione e la follia di una personalità contorta, senza affogare in trite considerazioni pseudo-psicologiche sulle cause del disturbo.

Non è un film a tema, né tanto meno un tentativo di “spiegare” la follia. Il Cigno nero è un’immersione emotiva. Siamo messi davanti ad un disagio evidente che provoca malessere e ci mette in posizione di privilegio rispetto agli altri personaggi del film e alla loro visione parziale di Nina. Così il senso del film non è tanto nell’attesa del crescendo finale che porterà a capire i motivi del disturbo, ma nella sottile empatia che il regista abilmente e in modo perverso costruisce sin dall’inizio tra noi e Nina, con il suo corpo e la sua psiche sempre al centro della scena, scandagliati, tartassati quasi, da una regia che non lascia spazio ad altro.

Aronofsky, dunque, si conferma con un film che nei temi trattati riprende le situazioni estreme del passato, ma lo fa con uno stile e una modalità di racconto più saldi. Non ci sono elementi superflui, esagerazioni, tentativi di sconvolgere il pubblico con facilonerie: solo un paio di concessioni ad alcuni clichè horror, ma è un prezzo che si può pagare e che non scalfisce la solenne inquietudine che pervade l’intero film.
Il balletto fornisce l’ambientazione perfetta, con la sua estetica dei corpi e l’ambiguità dell’interpretazione. Il Lago dei cigni, in particolare, offre il materiale ideale per un film sul doppio, amalgamandosi in modo talmente convincente con la vita privata di Nina da creare un unico straordinario flusso narrativo.

Un’opera compatta, che convince proprio perché non si lancia in abusate analisi della follia ma la sviscera in modo emotivo e potente, senza indulgenze e moralismi. Oscar (meritato) per l’interpretazione alla Portman e, forse, definitiva consacrazione di uno dei registi americani più interessanti.
(Fonte Foto: Rete Internet)

Regia di Darren Aronofsky, con Natalie Portman, Barbara Hershey, Vincent Cassel, Mila Kunis, Winona Ryder
Titolo originale: Black Swan
Paese: Stati Uniti
Durata: 110 minuti
Voto 7/10

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