Una casa da sogno, una moglie e tre figlie stupende. A quarant’anni Giacomo perde il lavoro e comincia a bere. Un incubo che troverà fine solo grazie all’amore incondizionato che da sempre nutre verso la sua famiglia.
Una villa di tre piani, giardino e vista panoramica. No, la sua non era una di quelle famiglie aristocratiche che vivono di lusso e mondanità. Papà operaio e mamma casalinga, avevano costruito quella casa con sacrificio, accollandosi un mutuo che pagavano con i risparmi di una vita. Tre figlie da mantenere, papà Giacomo non si era mai perso d’animo. A lavoro non rinunciava mai allo straordinario. Qualche extra poteva essere utile per garantire stabilità economica alla sua famiglia. Del resto, non aveva particolari velleità. Alla sera, dopo cena, gli bastava sedersi sul divano accanto alle sue figlie, e parlare con loro. Rispondeva alle loro domande di piccole donne, chiedeva loro della scuola e si assicurava che avessero fatto i compiti. Poi le metteva a letto, e lasciava la loro stanza solo dopo essersi accertato che stessero dormendo. Poi, l’indomani le accompagnava a scuola, e cominciava la sua giornata lavorativa.
“Ero felice – racconta Giacomo, 60 anni, ex operaio nolano. Mia moglie, le mie figlie, un lavoro che tutto sommato mi soddisfaceva. Non potevo chiedere di più”.
Eppure qualcosa è ansato storto:
“Sì, avevo da poco compiuto 40 anni. La fabbrica in cui lavoravo iniziò ad avere problemi, si lavorava sempre meno. Scattarono i primi licenziamenti, ed io fui costretto alla cassa integrazione. Per me fu un fulmine a ciel sereno. In un attimo vidi scorrere davanti ai miei occhi tutte le immagini della mia vita, il sorriso delle mie figlie, gli abbracci di mia moglie. Come facevo a dire loro che non avrei più potuto pagare il mutuo? Dove saremmo andati a vivere? Crollarono tutte le mie certezze e l’alcool in quel periodo divenne il mio unico alleato”.
Cominciò quindi a bere?
“Sì, prima di allora bevevo solo un bicchiere di vino rosso alla sera, quando rientravo da lavoro. Ma in quel periodo in cui rabbia e disperazione viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda, ubriacarmi mi sembrava l’unica soluzione possibile. Riuscivo in quei momenti ad evadere dalla realtà, a ritagliarmi un angolo di pace tutto mio, in cui i problemi mi sembravano lontani anni luce”.
Come influì questa nuova situazione sulla stabilità della sua famiglia?
“A casa l’aria era irrespirabile, ed era tutta colpa mia. Passavo i pomeriggi attaccato alla bottiglia, leggevo la delusione negli occhi di mia moglie e delle mie bambine. Mi sentivo una nullità, ma non riuscivo a reagire. Più mi dicevo che dovevo riscattarmi, più l’alcool mi attirava a sè. In quel periodo capì che non c’è nessuna differenza tra un drogato ed un alcolizzato. Entrambi soccombono all’uso di sostanze che creano alterazioni piacevoli dello stato mentale, ma che a lungo andare provocano danni seri. Tra essi l’aggressività. Non ho mai alzato un dito contro le mie figlie, eppure un giorno al termine dell’ennesima discussione con mia moglie, le costrinsi a dormire in auto. Al mattino seguente vidi le mie bambine guardarmi con odio, stringersi nelle braccia della madre e le sentì chiedere a mia moglie di portarle via da lì”.
Fu in quel momento che si rese conto che stava toccando il fondo:
“Sì, in quel momento capì che stavo perdendo tutto ciò che di bello avevo costruito. Le mie piccole donne, che mi avevano sempre adorato, ora mi consideravano un mostro, ed io non potevo tollerarlo. In quello stesso istante in cui maturai questa convinzione, gettai ogni bottiglia che avevo in casa, strinsi mia moglie a me e le dissi che avrei ricominciato a prendermi cura di loro. Fu in quel periodo che capì quanta forza avesse la mia donna. Insieme decidemmo di vendere casa per riparare ai debiti che avevo accumulato in quel periodo. Trovammo una sistemazione in un’abitazione più piccola e decidemmo di pagare l’affitto, perchè non potevamo permetterci un nuovo mutuo”.
Come presero le sue figlie questa decisione?
“Con grande maturità, nonostante fossero ancora delle bambine. Io e mia moglie facemmo di tutto per non far pesare loro il “trauma” del trasloco. Non volevamo che si trovassero immerse negli scatoloni, quindi le mandammo a stare per un paio di giorni dai nonni. Lavorammo anche di notte per mettere tutto a posto e per rendere accogliente quello che da allora in poi sarebbe stato il nostro nuovo nido d’amore. Quando andammo a prenderle, vidi nuovamente brillare i loro occhi. Erano felici. Felici perchè sapevano che il loro papà non le aveva abbandonate, e che avrebbe continuato a fare mille sacrifici pur di vederle un giorno realizzate”.
Direi che ci è riuscito:
“Sì, presto trovai un nuovo lavoro e con non poche difficoltà sono riuscito a mantenere gli studi di tutte e tre le mie figlie, che oggi sono laureate con il massimo dei voti. Quando a volte ripenso al mio passato, mi pento di averle costrette a vivere dei momenti così bui. Ma quando guardo ai loro successi universitari, quando le vedo darsi da fare per cercare di non pesare sulle spese di casa, mi rendo conto che come genitore non ho fallito del tutto. Ovviamente anche grazie all’amore e alla forza di una donna come mia moglie. Grazie a lei, ho superato uno dei momenti più bui della mia vita. E’ lei che mi ha insegnato che c’è sempre una seconda possibilità, è lei che mi ha aiutato a mantenere ancora forte il legame con quelle che per me saranno sempre “le mie bambine”. Ora che sono in pensione, non facciamo che “beccarci” anche sulle questioni più “banali”. Ma mi sentirei perso se non avessi il suo sorriso ad illuminare le mie giornate”.
(>Fonte foto: Rete internet)