PILLOLE DI “900

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Continua il viaggio nella storia del “900. Ci eravamo fermati al periodo in cui al re Umberto I, assassinato per mano degli anarchici, successe il figlio, Vittorio Emanuele III.
di Ciro Raia

Tra il regicidio (nella foto un particolare, ndr) e l”insediamento dell”erede al trono, il governo è retto dal senatore Giuseppe Saracco, (un fervido sostenitore di Cavour) entrato nel parlamento piemontese già prima dell”Unità d”Italia, nel 1849, e, dal 1851, presente in tutti i governi, come sottosegretario e ministro. Saracco è capo di un governo molto debole, ma non per questo rinunciatario nell”opera di conciliazione di un paese lacerato dalle divisioni di classe e dagli odii di parte. Nel febbraio del 1901, poi, primo ministro è nominato Giuseppe Zanardelli, che chiama agli Interni Giovanni Giolitti.

Zanardelli, che ha ricoperto incarichi ministeriali sin dal governo Depretis (1876) e si è distinto per aver varato il nuovo Codice Penale (1889) con la relativa abolizione della pena di morte ed aver esteso il suffragio elettorale a quanti dimostravano di saper leggere e scrivere, è quello che si definisce uno statista progressista. Da capo di governo, infatti, presenta un disegno di legge per l”istituzione dell”Ufficio del lavoro, insieme ad una proposta di legge per il divorzio, che, però, è costretto a ritirare per la massiccia opposizione popolare. Egli si batte anche per l”istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza e per rendere umane le condizioni di lavoro delle donne ed, in particolare, delle lavoratrici madri.

Quando Zanardelli muore (1903) gli succede Giovanni Giolitti. Una delle prime azioni dello statista di Dronero –località in provincia di Cuneo- è quella di far assumere allo Stato la gestione dei servizi telefonici. Nel 1903 l”Italia conta 23.109 abbonati, 212 posti pubblici urbani, 83 reti urbane e 43 linee interurbane.
Intanto, nel paese la lotta sociale diventa sempre più aspra. Gli scioperi degli operai sono sempre più violenti: a Buggerru, in Sardegna, il 4 settembre 1904, la polizia non esita a sparare sui minatori in agitazione. Si contano tre morti e numerosi feriti. Altri morti, per azioni analoghe, si contano a Castelluzzo di Trapani e a Sestri.

I deputati socialisti, repubblicani e radicali chiedono, allora, a Giolitti l”emanazione di una legge che proibisca gli scontri a fuoco tra forze dell”ordine e dimostranti. Giolitti rifiuta, sostenendo che non può accettare indicazioni da una frazione del Parlamento e che le azioni di sciopero impongono una verifica politica nel paese. Ottiene, perciò, dal re lo scioglimento delle Camere.
Le elezioni del novembre 1904 decretano la vittoria del liberale Giolitti. L”opposizione radicale perde voti e seggi. Nel nuovo governo, il ministro della Pubblica Istruzione Vittorio Emanuele Orlando estende l”obbligo scolastico fino a dodici anni.

Nel 1905, poi, complice una forte influenza, Giolitti si dimette da primo ministro. A succedergli è chiamato Alessandro Fortis, un deputato di Forlì molto introdotto negli ambienti della finanza e dell”industria. Ma anche quest”ultima esperienza governativa è di breve durata; infatti, il governo Fortis cade e la presidenza del consiglio è affidata a Sidney Sonnino, che dura in carica, però, solo cento giorni. Ritorna, quindi, primo ministro Giolitti, che guida il governo sino alle elezioni del 1909, quando alle urne si presenta a votare il 65% degli aventi diritti, circa due milioni di elettori.

IL “900 ITALIANO

LA CAMORRA PADRONA

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I nostri territori sono diventati brutti e invivibili a causa del micidiale connubio camorra-politica e del controllo pressochè totale che la criminalità esercita sul mercato dell”edilizia.
di Amato Lamberti

Il controllo che la camorra esercita sull”intero mercato dell”edilizia produce effetti disastrosi anche a livello di urbanistica e, più in generale, sull”uso e sul consumo del territorio. Alcuni esempi possono servire a far comprendere meglio il ruolo della camorra nella realizzazione di politiche del territorio finalizzate alla speculazione più selvaggia, ignorando ogni vincolo, compreso quello dell”autorizzazione a costruire. L”esempio forse più vistoso è quello delle lottizzazioni costiere per la realizzazione di case e villini per le vacanze che hanno interessato, a cominciare dalla fine degli anni “70 e che continuano impunite ancora oggi: il litorale domizio, da Castelvolturno fino a Mondragone; tutte le zone costiere del Cilento; le coste calabresi.

In queste aree sono stati costruiti più di centomila complessi abitativi, anche plurifamiliari, generalmente senza licenze edilizie, mancando il sostegno di piani regolatori, o con licenze edilizie irregolari, in presenza di normative paesaggistiche che vietavano costruzioni sull”arenile o immediatamente a ridosso. I clan camorristi, del napoletano e del casertano, hanno comprato i terreni a destinazione agricola a basso prezzo, costringendo spesso i piccoli proprietari a vendere, anche con forti intimidazioni. Hanno, poi, venduto i terreni come edificabili ad imprenditori spesso molto contigui agli stessi clan, i quali, hanno cominciato a costruire, senza autorizzazioni o in attesa di autorizzazioni, con la protezione “attiva” degli stessi clan criminali che, dietro pagamento di forti tangenti, assicuravano il rifornimento dei materiali, la realizzazione delle opere necessarie di sbancamento e trasporto terra, il silenzio-assenso di amministratori, vigili urbani, forze dell”ordine.

Molti imprenditori erano essi stessi camorristi ma dovevano comunque pagare la protezione attiva dei clan criminali. In pratica, la camorra ha ideato la speculazione e ne ha protetto la realizzazione attraverso il controllo, con un mix di corruzione e intimidazione, delle pubbliche amministrazioni e delle forze di controllo sociale. Un altro esempio significativo è quello di Marano, un Comune, oggi di 40.000 abitanti, dell”area Nord di Napoli, letteralmente governato fino a metà degli anni “80 dal clan dei Nuvoletta.

Questo clan, sul suo territorio, aveva realizzato un vero e proprio monopolio del comparto edilizio, dalle costruzioni al movimento terra, alla fornitura di calcestruzzo, di laterizi, di infissi, di igienici e sanitari, di vernici, fino all”impianto di citofoni, con imprese perfettamente in regola con la certificazione antimafia, grazie alla disponibilità di commercialisti, “al di sopra di ogni sospetto”, ad assumere le funzioni di amministratore delegato delle stesse imprese. Con questo sistema, grazie anche al controllo totale della amministrazione comunale e degli apparati locali di controllo dello Stato, i Nuvoletta hanno realizzato, dal 1975 al 1983, decine di parchi abitativi, dal nome gentile di “Città giardino”, “Parco delle rose”, “Parco delle viole”, con migliaia di abitazioni, su terreni vincolati a forte rischio idrogeologico.

La città di Marano è passata, in venti anni, da 20.000 a 40.000 abitanti, senza un piano regolatore e senza sistema fognario. Anche in questo caso il livello “militare” del clan protegge i livelli imprenditoriali riconducibili al clan ma che vedono anche la partecipazione di soggetti imprenditoriali, commerciali, finanziari, in qualche modo direttamente collegati. Altri esempi clamorosi sono quelli di Portici, Ercolano, S.Giorgio a Cremano, dove un incremento edilizio scriteriato e senza regole ha dato vita a conurbazioni invivibili, con una densità di abitanti superiore a 10.000 abitanti per chilometro quadrato, ingestibili anche solo dal punto di vista del traffico e dei parcheggi.

A Portici i grandi costruttori, con tanto di licenze edilizie, pur in assenza del piano regolatore sono stati i Vollaro, con imprese proprie o in associazione con grandi costruttori come i fratelli Sorrentino, che si occupavano anche dei rapporti con gli amministratori locali e con i politici eletti, con il loro sostegno, nell”area. Senza dimenticare Casalnuovo di Napoli, di cui abbiamo già parlato, ma che resta emblematica dei risultati che l”intreccio politica, impresa e camorra può produrre sul territorio. Nel 1975, quando Casalnuovo contava 16.000 abitanti, il Consiglio comunale approva un regolamento edilizio con una previsione di crescita fino a 75.000 abitanti. In pratica si rende edificabile tutto il territorio, in deroga ad ogni normativa e ad ogni razionalità. Sindaco e consiglieri erano tutti costruttori, molti notoriamente legati al clan Fabbrocino, egemone nell”area.

Oggi, dopo più di venti anni, dal 1985, di speculazione selvaggia ed abusiva, la popolazione ha superato i 60.000 abitanti. Si è costruito in deroga ad ogni normativa. Una intera città, se così si può chiamare un coacervo di palazzi accatastati, si è realizzata senza autorizzazioni e senza controlli, sotto l”ombrello protettivo di una camorra capace di controllare completamente l”Amministrazione comunale e gli apparati di vigilanza dello Stato, ma anche livelli politici di rilievo regionale e nazionale.
(Foto di Luigi Caterino)

LA QUESTIONE CASALNUOVO

UNA STORIA INCREDIBILE

CASALNUOVO. L’ABUSIVISMO NON É UN”ECCEZIONE

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Trenta anni fa Casalnuovo contava 15mila abitanti; oggi sfiora i 50mila. La quasi totalità delle case sono sempre state costruite abusivamente e poi condonate.

Con questo “pezzo” intendo rispondere ai commenti postati all”articolo “Chi governa per davvero le nostre città:” scritto per ilmediano.it.
Rispondo riproponendo un articolo pubblicato qualche tempo fa sul Corriere del Mezzogiorno, che sarà sfuggito agli autori dei commenti, che ha provocato forti rimostranze sia da parte degli amministratori del Comune (con verifica degli eventuali estremi per denuncia di diffamazione), che della stessa opposizione, che si è lamentata (con lettera inviata a tutti i giornali e con richiesta di pubbliche scuse) del fatto che nessuno spazio era stato dato al loro lavoro, per la verità oscuro, all”interno di un Consiglio comunale nel quale sono assoluta minoranza.
Al sig. Iovino, voglio anche dire che le sue denunce sono state a suo tempo regolarmente inoltrate alla magistratura e, mi sembra, che qualche esito l”hanno comunque prodotto.

A.L.


In questi giorni Casalnuovo ha dato spettacolo nelle trasmissioni televisive più impietose e/o irriverenti a livello nazionale, “Le Iene”, “Mi manda RaiTre”, “Striscia la notizia”. Spero che il Sindaco e gli altri protagonisti rivedano più volte le loro performances, almeno per verificare se sono ancora capaci di disgustarsi di fronte alla negazione dell”evidenza e della verità dei fatti. A Casalnuovo, lo dico ancora una volta, nessuno può tirarsi fuori: dal Sindaco alla cosiddetta “società civile”, sono tutti colpevoli. È inutile che facciano ora le vittime o, peggio, gli indignati. A Casalnuovo, i quattro quinti delle abitazioni, e, quindi, quasi tutte, sono state costruite abusivamente e, successivamente, condonate.

È una storia che va avanti da più di trenta anni, da quando Casalnuovo aveva circa 15.000 abitanti, ad oggi, quando gli abitanti sono quasi 50.000. Moltissimi, per non dire tutti, in questi trenta anni, hanno sempre comprato le case, costruite abusivamente con la complicità ben pagata di quanti dovevano esercitare i controlli di legge, sapendo di poter contare sull”immancabile condono ogni due anni e, soprattutto, sulla benevolenza dell”Amministrazione comunale e degli altri Enti erogatori di servizi, per cui le case, se pure abusive, sarebbero state fornite di acqua corrente, elettricità, telefono, internet, gas di città, impianto fognario, illuminazione stradale, raccolta giornaliera dei rifiuti, e in più sarebbero state fornite di certificato di abitabilità e regolarmente accatastate.

Gli unici disagi, se così vogliamo chiamarli, sarebbero stati i pagamenti dell”ICI e della TARSU, che però servivano a mettere come un suggello di legittimazione all”immobile acquistato. Per colpa di qualche giornale impiccione, il giocattolo, che ha funzionato così bene per tanti anni, facendo anche arricchire un po” di gente, si è rotto, e tutti quelli che fino ad oggi hanno taciuto, mezzi di informazione compresi- perchè basta andare su Internet e cliccare Casalnuovo, per scoprire che qualche “pazzo” che denunciava gli abusi c”era, anche se nessuno, magistrati compresi, lo prendeva in considerazione- sono diventati, tutti, vessilliferi della legalità e delle demolizioni.

Nessuno che abbia avuto il coraggio di dimettersi, di sparire dalla circolazione, non dico di fare mea culpa. Naturalmente, demolitori solo a Casalnuovo e solo relativamente ai palazzi e alle villette incriminate. Tutto il resto, anche nella stessa Casalnuovo, non interessa. Ma, cari ministri, sottosegretari, assessori regionali e provinciali, magistrati, carabinieri, Casalnuovo non è un caso eccezionale in un oceano di legalità: è solo un esempio, piccolo per giunta, di come vanno le cose (e le case) nella nostra regione.

L”abusivismo è la regola in tutta la regione, ma in modo macroscopico nella provincia di Napoli: quante costruzioni abusive sono state realizzate anche in zone a protezione integrale come le isole di Capri, Ischia e Procida, come i Campi Flegrei, come la Costiera sorrentina? Quanti vani abusivi sono stati costruiti a Napoli nel Centro storico come a Posillipo? Se si consultassero le aerofotogrammetrie di Napoli, degli ultimi venticinque anni, se ne scoprirebbero delle belle, anche in case e palazzi “insospettabili”.

Tutta questa storia, di per sè molto sporca, mette, comunque, in evidenza una necessità inderogabile: quella di nuove modalità di controllo del territorio, che, a mio avviso, andrebbero sganciate del tutto dalla politica e dalla realizzazione del consenso per essere eletti, dal Comune, alla Regione, al Parlamento. Ma su questo terreno nessun partito e nessun politico è stato finora disponibile ad aprire un confronto. Meglio una sceneggiata ogni tanto e poi lasciare le cose (e le case) come stanno!

IL “900 ITALIANO

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Da questo numero cominciamo a parlare di storia del “900. L”intento è duplice: sfatare la credenza che è solo materia di esperti, coinvolgere quanti più è possibile in questo viaggio.

Perchè una rubrica sulla Storia di un secolo?

Gli storici hanno sempre sostenuto –diversamente da come si suol dire- che la Storia non insegna. Hanno, altresì, sostenuto che una cultura, con radici nella Storia, può affinare notevolmente le capacità di capire il presente. Così ogni storia finisce con l”essere contemporanea, perchè chi la studia, la conosce o –semplicemente- ne parla vi porta la sua esperienza, e, se ne ha, anche le passioni del proprio tempo.

Con “ilmediano.it” –da oggi- comincia un viaggio attraverso la storia del Novecento italiano. Due sono gli intenti. Il primo è quello di correggere il senso comune, secondo il quale gli avvenimenti storici sono materia solo degli specialisti o, al massimo, una distesa per scorrerie di giornalisti e divulgatori, spesso, obbedienti alle suggestioni dei potenti, alle seduzioni dello scandalismo, alle mode correnti.

Il secondo è quello di attraversare, come un racconto, come lo srotolamento di una pellicola di un film, avvenimenti in cui ognuno –se è interessato e se vuole- può aggiungere o levare, interpolare, approfondire, organizzare diversamente, cogliere l”azione delle forze in gioco e le capacità di quanti hanno avuto ed hanno il compito di indirizzarne il corso.
C.R.

L”alba del nuovo secolo comincia per l”Italia nella giornata di capodanno con uno scandalo, che crea un aspro confronto tra i partiti politici: il generale Giuseppe Mirri, ministro della Guerra nel governo Pelloux, è costretto a dimettersi per aver esercitato pressioni sulla Magistratura a favore del deputato Raffaele Palizzolo, già consigliere comunale a Palermo, incriminato di amicizie e sostegni mafiosi ma, soprattutto, di essere stato il mandante, nel 1893, del delitto del marchese Emanuele Notarbartolo. Il nobile siciliano, vecchio sindaco di Palermo, dal 1873 al 1876, aveva conquistato la stima dei benpensanti e gli onori della cronaca per aver cercato di debellare il fenomeno della corruzione alle dogane.

Il clima surreale del nuovo secolo continua, poi, nella caldissima giornata di domenica 29 luglio 1900, quando, a Monza, il re Umberto I (1844-1900), figlio di Vittorio Emanuele II di Savoia e di Maria Adelaide d”Asburgo-Lorena, muore per mano dell”anarchico Gaetano Bresci. L”assassinio del discendente di casa Savoia –che già aveva subito precedenti attentati, nel 1878 per mano di Giovanni Passannante e nel 1897 da Pietro Acciarito– desta, dovunque e in chiunque, sentimenti di dolore, di indignazione e di impressione sconfinata. Tutti, infatti, piangono il re, che si era conquistato l”appellativo di buono, per il suo comportamento e la sua disponibilità nelle sciagure nazionali –tra cui la gravissima epidemia di colera a Napoli del 1884- che lo avevano vista in prima fila tra i soccorritori.

Umberto, però, è anche il re, che, nell”intento di voler fare dell”Italia una nazione ubbidiente, non aveva disdegnato di dare un”impronta fortemente militare ai suoi governi e di aver acconsentito allo scioglimento del partito socialista, delle Camere del Lavoro e delle Leghe Operaie. E così, come sempre capita, l”emozione suscitata dal regicidio finisce col prevalere sul ricordo della dura repressione attuata dal generale Fiorenzo Bava Beccaris ed approvata dal re Umberto I. Solo due anni prima, infatti, nel 1898, per sedare i tumulti provocati dai rincari del pane e dai bassi salari –la cosiddetta protesta dello stomaco-, il generale di corpo d”armata cuneese, non aveva esitato a sparare sulla folla in agitazione, rendendosi responsabile di un centinaio di morti ed un migliaio di feriti.
Ad Umberto I succede il figlio Vittorio Emanuele III (1869-1947), detto il “re soldato”, perchè assiduamente presente tra i combattenti della I guerra mondiale, o anche sciaboletta, per la sua bassa statura, per cui era costretto a portare una sciabola su misura, per evitare che strisciasse per terra.

L”erede al trono è raggiunto dalla notizia della morte del padre nei mari della Grecia, dove stava navigando, a bordo del panfilo Jela, con la giovane moglie Elena di Montenegro. L”intera nazione aspetta con fiducia ed apprensione l”indirizzo politico del nuovo sovrano. Dei sentimenti degli italiani si fa interprete Gabriele D”Annunzio, che così saluta il nuovo re: “T”elesse il Destino/ all”alta impresa audace./Tendi l”arco, accendi la face, /colpisci, illumina, eroe latino!”

L”11 agosto 1900 il re si presenta alle Camere con un discorso che riscuote consenso e simpatia. Vittorio Emanuele III, infatti, riesce a raggiungere il cuore del popolo, dicendo: “Impavido e sicuro ascendo al trono con la coscienza dei miei diritti e dei miei doveri. L”Italia abbia fede in me come io ho fede nei destini della patria [:] A noi bisogna la pace interna e la concordia di tutti gli uomini di buon volere. Raccogliamoci e difendiamoci con la rigorosa loro applicazione. Monarchia e Parlamento procedano solidali in quest”opera salutare”.

Con questo primo pezzo, e l”avvio della rubrica “Pillole di “900” inizia da oggi la collaborazione del prof. Ciro Raia con ilmediano.it.
Dirigente scolastico, ricercatore, storico, autore di numerosi libri, Ciro Raia, da par suo, ci parlerà dei fatti grandi e piccoli che hanno determinato la Storia del “900, col chiaro intento di farne prendere possesso anche a coloro che non sono storici di mestiere. Sullo sfondo, l”Italia così come andava formandosi, con l”eterna e mai risolta questione meridionale, che ci tocca molto molto da vicino ma che è andata via via scomparendo dal dibattito politico nazionale.

CHI GOVERNA PER DAVVERO LE NOSTRE CITTÁ:

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Al via la rubrica a cura del prof. Amato Lamberti. Si chiamerà “Città al setaccio”, e si occuperà del modo in cui viene gestito e governato il territorio dalle pubbliche amministrazioni.

“Città al setaccio”: il titolo della rubrica è già un programma che non ha bisogno di molte spiegazioni. Bisogna però dire che si fonda sulla mia esperienza di politico e di amministratore, prima al Comune di Napoli, dal 1993 al 1995, come Assessore alla Normalità, e, poi, dal 1995 al 2004, alla Provincia di Napoli, come Presidente dell”Amministrazione provinciale. Se non avessi fatto queste esperienze, forse, non continuerei ad occuparmi del modo in cui viene gestito e governato il territorio da pubbliche amministrazioni la cui forza sta nel mandato elettorale.

Un mandato, però, quasi sempre tradito sul nostro territorio napoletano e campano. Basta guardarsi intorno e confrontare le condizioni del nostro territorio rispetto a quelle di altri territori, in Umbria, in Toscana, in Veneto, in Trentino, in Emilia. Qui, il disordine, l”incuria, l”affastellarsi senza regola di costruzioni, i rifiuti sparsi dovunque; là, l”ordine, la cura del paesaggio, le strade pulite e ben mantenute, le costruzioni ordinate, ben tenute, con una identità architettonica ed urbanistica. Perchè questa differenza? Perchè quei territori sono governati da amministrazioni attente e che hanno cura dei beni collettivi, mentre i nostri territori, non essendo governati, nel vero senso della parola, da amministrazioni pubbliche, sono abbandonati alla speculazione edilizia, all”abusivismo, ad una imprenditoria primitiva ed incolta, quando non direttamente camorrista.

Gli amministratori ci sono, ma non governano niente, perchè, per loro, governare e amministrare non significa mettere delle regole e farle rispettare nel nome degli interessi collettivi, ma stare a rimorchio delle iniziative che gli stakeholder -i portatori di interessi- più spregiudicati, portano avanti senza nessuna attenzione per gli interessi della comunità, per la qualità della vita, per la tutela della memoria storica, per la salvaguardia dell”ambiente e del paesaggio. Naturalmente in questo stare a rimorchio, politici e amministratori, ci guadagnano sempre, se non altro in termini di voti e di consensi, perchè i soggetti che fanno scempio del territorio sono anche quelli economicamente più forti, quando non sono quelli che governano, con la forza della paura, realmente il territorio.

Questa dipendenza delle amministrazioni pubbliche, elette dal popolo, dai poteri forti, economici e/o criminali, che controllano la vita stessa della gente e del territorio, è la ragione dell”arretratezza, civile prima che economica, delle nostre città. Dove non ci sono regole nessuno sviluppo è possibile. Dove regnano paura, violenza, incertezza del futuro, anche i costumi delle persone si inselvatichiscono e i rapporti sociali sono regolati dalla prevaricazione e dalla corruzione. Il tentativo che voglio fare è semplicemente quello di mostrare che “un altro mondo è possibile”, dove regnino bellezza e armonia e non clientele, corruzione, camorra.

LA POLITICA E LO SCUDO OPACO DEL GARANTISMO

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La magistratura sta mettendo in luce la scarsa qualità dei politici meridionali e l”inquietante rapporto con gli imprenditori. Strumento economico per rinforzare la rete clientelare.

Da un po” di tempo la lettura quotidiana dei giornali mi lascia semplicemente esterefatto e con la convinzione di non capire più niente. La Iervolino continua a parlare di rimpasti in Giunta, ma non ci spiega mai a cosa dovrebbero servire, visto che sul tavolo non c”è alcuna proposta, non dico di rinnovamento, ma di decente inversione di tendenza di una esperienza unanimemente giudicata fallimentare. Si vuole mantenere in vita una sindacatura fino al suo naturale epilogo per evitare un ricorso alle urne che si presume catastrofico per l”attuale maggioranza?

Lo si dica senza troppi giri di parole, almeno i napoletani si metteranno il cuore in pace sapendo che per altri due anni dovranno continuare ad arrangiarsi, puntellando tutto quello che è possibile puntellare, in attesa di tempi migliori.
Il Partito Democratico punta sulla formazione, in particolare alla legalità, per rinnovare i suoi dirigenti e il suo personale politico e amministrativo, ma non spiega come farà a prendere voti senza il concorso dei “capibastone” che finora hanno assicurato la sopravvivenza del partito nonostante tutti i fallimenti, le incapacità, gli scioglimenti delle amministrazioni per infiltrazioni camorriste, le inchieste della Magistratura per malversazione, collusione, concussione.

Almeno avessero dato il segnale che nessuno degli inquisiti in questi ultimi quindici anni, compresi tutti quelli mandati a casa per scioglimento dei Consigli Comunali, sarebbe mai più stato candidato, ed anzi, sarebbe stato cacciato dal partito. Avrebbero rinnovato, in un sol colpo, il 50/60 % del partito, guadagnando anche il consenso dell”opinione pubblica. Ma hanno pensato ai voti che gli espulsi si sarebbero portati appresso e, difendendosi dietro lo scudo opaco del garantismo, non l”hanno fatto, nè lo faranno.

Gli opinionisti, dal canto loro, continuano a insistere sul personale politico e amministrativo meridionale che, secondo le parole di Nicola Rossi, è di scarsa qualità, senza mai interrogarsi sulle ragioni di una selezione che sembra sempre al rovescio ma finisce per assicurare maggioranze consiliari, posti di direzione e di comando, ma anche di manovra e di allocazione mirata delle risorse disponibili, come dimostra il fitto intreccio di segnalazioni e di raccomandazioni che viene fuori dalle ultime indagini della magistratura, a Napoli, come a Pescara e a Potenza.

Sembra quasi che nessuno, forse per non sporcarsi con le volgarità del quotidiano, voglia prendere coscienza del fatto che, nel mezzogiorno, fare politica significa occuparsi della propria rete clientelare, o se volete, di sostegno elettorale, per consolidarla ed allargarla.
Fondamentali, in questo quadro, risultano gli imprenditori, perchè sono grandi raccoglitori di consensi e di voti, possono sostenere economicamente le campagne elettorali, possono mettere a disposizione posti di lavoro che sono il pane per nutrire e far crescere la clientela, possono allargare l”area delle conoscenze del politico e far crescere il suo prestigio anche all”interno del partito.

Naturalmente, per il politico, questo rapporto con gli imprenditori, così elevato in termini di benefici, ha costi egualmente elevati. Ma i nostri politici, meridionali e non, sono tutti diligenti allievi del Machiavelli: il fine giustifica sempre i mezzi. Si possono correre dei rischi con la magistratura ma non sono mai certi e duraturi, e, comunque, non intaccano il consenso accumulato che, anzi, spesso si accresce, quasi che la condanna fosse un blasone.

Somma Vesuviana, la prima pietra della nuova scuola a Don Minzoni

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Di seguito, l’intervento della Dirigente scolastica del 2° Circolo, dott.ssa Rosaria Cetro, in occasione della cerimonia per la posa della prima pietra.   “Rivolgo a Voi tutti il mio più affettuoso saluto e ringraziamento per aver reso possibile tutto questo. Ringrazio il Sindaco per aver tenacemente sostenuto l’ampliamento della scuola Don Minzoni e quanti hanno collaborato con lui; in particolare l’assessore all’istruzione Vincenzo Carrella, l’assessore ai lavori pubblici Chiara Di Mauro, l’architetto Mena Iovine, responsabile dell’ufficio tecnico dl Comune. Ringrazio inoltre per la partecipazione le autorità civili, militari e religiose, i genitori e tutto il personale docente e non docente. Qualcuno ha scritto “Felicità è veder crescere qualcosa” e noi oggi siamo felici perché vedremo nascere e crescere sotto i nostri occhi la scuola tanto sognata, la più bella scuola elementare di Somma Vesuviana. Costruire una scuola è il miglior investimento che un’Amministrazione comunale possa fare. Significa investire in Cultura e Conoscenza e, quindi, puntare su un progetto per il futuro dei giovani. Educazione ed istruzione sono il bene più prezioso, l’unico che non teme la svalutazione delle crisi dell’economia; è un bene prezioso perché all’occorrenza non si può acquistare. Bisogna costruirlo nel tempo e per costruirlo i giovani hanno bisogno di una famiglia sana e di una scuola di qualità. Per fare una buona scuola, oltre a personale docente e non docente preparato, occorrono spazi adeguati; ambienti sani e sicuri, ariosi, luminosi, silenziosi favoriscono il miracolo dell’apprendimento. Oggi siamo più vicini all’Europa, abbiamo fatto un passo avanti nella realizzazione degli obiettivi che l’Europa ha fissato per lo sviluppo della società della conoscenza, dando la priorità a un’istruzione adeguata per tutti. Solo così sarà possibile costruire un mondo più civile e più giusto dove vivere in pace”.

LA CITTÁ DEL DANARO

La politica ha perso il contatto con la realtà sociale concreta. Usa la quantità come metro di valutazione, per cui un problema esiste solo se un sondaggio lo rileva. Manca la lungimiranza.

Per Martin Lutero i soldi sono lo sterco del diavolo, per noi rappresentano una finestra sulla dimensione della possibilità oppure uno scopo o, ancora, la condizione per non perdersi nei meccanismi sociali a cui, volenti o nolenti, dobbiamo adeguarci; infine essi possono essere la rappresentazione più precisa e plastica delle nostre città.
La Paperopoli disneyana e la regione antica della Frigia, il cui re era Mida, sono forse i due spazi metaforici che possono dirci qualcosa della città del denaro.

La prima città, compagna delle lunghe mattinate al mare, leggendo i fumetti di Zio Paperone e del povero Paperino, ci offre l’esempio di una ricerca spasmodica del guadagno, dell’arricchimento che non genera, però, alcun cambiamento: i ricconi continuano ad essere tali e si scannano fra di loro come Paperone e Rockerduk per un cent; i poveri imbecilli, nonostante tutti gli sforzi, continuano ad essere tali, come Paperino, che cerca di invertire, almeno una volta, ma invano, la direzione del suo amaro destino di nullatenente.

Intorno a loro un mondo sempre uguale, destinato a perpetuare una realtà senza scopi, in cui ciascun personaggio assume un ruolo del quale è prigioniero per sempre. Il simbolo del dollaro non ha alcuna attinenza con i soldi guadagnati per vivere, ma solo un feticcio il cui valore risiede in sè stesso.
Mida e la sua tragica e misteriosa storia, ci accompagna, invece, in un altro aspetto della città del denaro: il desiderio del possesso. La preghiera di Mida a Dioniso riguarda, infatti, la trasformazione in oro di tutto ciò che egli tocca. Il desiderio di cambiare la realtà, il sogno di poter imprimere una svolta al cammino viene realizzato non con lo sforzo umano, ma con l’illusione, o peggio con la velleità.

Cosa può celare l’insistenza sul toccare? Mida avrebbe potuto chiedere di far diventare oro i suoi pensieri o tutto ciò che avrebbe baciato o altro. Invece la sua richiesta si ferma sul tocco delle mani. Perchè? Forse perchè il denaro non fa parte del regno dello spirito; è nemico dell’invisibile amore per la gratuità, si oppone all’impagabile gusto di fare bene le cose (i latini lo chiamavano, pensate un po’, studium), senza alcun contraccambio. Non a caso a Mida spunteranno, in un altro bellissimo mito, delle orecchie d’asino: il possesso bruto delle cose ci allontana dalla preziosità degli oggetti, dalla voce della materia quando è accompagnata da un soffio di pensiero, “ci rende sordi a ciò che muta per la grazia del dono”. E le nostre città? Cos’hanno della città del danaro?

Sono tanti gli aspetti che potrebbero essere indicati. Ci limitiamo ad alcuni.
Chiedete ad un giovane diciottenne cosa desidera di più o qual è il cambiamento a cui più tiene nel varcare la soglia della maggiore età; vi risponderà l’automobile. I sogni di molti dei nostri giovani, sono i sogni a cui noi li abbiamo educati: il ruolo sociale dipende dalla quantità di soldi che abbiamo e, ovviamente, dalla sua visibilità: l’automobile, la griffe, lo stile di vita.
Direi di più: il metro di valutazione è quasi sempre la quantità; il demone della quantificazione.

Perfino i nostri politici ed (ahimè!) non solo il giovanilista Berlusconi, paperone – caimano, che inquina la nostra vita politica, ma anche politici avveduti e più dimessi, sono ossessionati dai sondaggi. Per la città del denaro i problemi sono tali solo se i sondaggi li indicano come tali; per cui se la disoccupazione attira l’attenzione degli intervistati è un problema, altrimenti la possiamo soppiantare con le notti in discoteca di qualche vitellone, o il doping di qualche atleta. E questi ultimi problemi saranno nell’agenda del Parlamento.

ATENE E LE NOSTRE MISERE CITTÁ DELLA BELLEZZA

I nostri Enti Locali pensano che le gare di bellezza siano progetti culturali. In realtà, a spese dei contribuenti, inebetiscono i giovani con quanto di peggio offre la TV.

Il cuore profumato della città, spazio sacro di tutta la grecità è l’Acropoli, spianata dall’intelligenza e dal fervore per ingraziarsi gli dei.
Atene rappresenta, da quando il tempo è diventato la misura della creatività umana, l’archetipo della bellezza, intessuta dalle trame dei racconti mitici e dalle tradizioni epiche dell’ulivo sacro ad Atena.

Nell’elenco delle città invisibili la città di Pericle rappresenta il sogno di una democrazia partecipata, che governa l’aspirazione alla bellezza, cioè alla profonda propensione umana a percepire come bello ciò che è giusto. Infatti per i Greci la kalokagathìa è una parola che condensa insieme il bello e il buono. La bellezza e l’armonia, che ne è il suo risultato, migliorano il mondo e quindi sono giuste, anzi definiscono la giustizia. La visione estetica della vita è indissolubilmente legata alla visione etica; non a caso Dostoevskij attribuisce alla bellezza l’incarico di salvare il mondo dalla turpitudine del male.

Dalle vette del dibattito, così vivo nella nostra società, passiamo alle depressioni stagnanti e putride delle nostre città visibili, in cui la bellezza è tramite di ambiguità e di perdita del senso del divino in noi.
A Somma, a Sant’Anastasia e in altri paesi, per esempio, la progettualità cosiddetta “culturale”, a spese dei contribuenti, pensa che aiutare i giovani a maturare la dimensione estetica, sia organizzare gare di bellezza: le selezioni del più bello d’Italia e della Miss Italia, la proposta dei momenti peggiori di trasmissioni televisive, vergognose speculazioni diseducative, che hanno come scopo l’applauso di una folla omologata e sprovvista di strumenti culturali.

Il mercato di corpi, le allusioni volgari, le atmosfere ambigue e goderecce vengono contrabbandate come legittima aspirazione di ragazzi e ragazze, per i quali l’unico scopo della vita è assomigliare a questo o a quel modello diffuso dallo scemenzario televisivo.
L’aspetto grave della situazione è che il disegno di inebetire le giovani generazioni viene proprio dagli enti locali, a volte dagli istituti scolastici, i quali si vantano di imprimere alle comunità un moto di rinnovamento giovanile. Il tutto immerso nello sfasciume urbanistico e nell’abbandono dei luoghi, dei monumenti, delle scuole della città che maggiormente avrebbero bisogno di essere curati.

Come si vede, educare alla bellezza non si esprime nell’educare al bene e al giusto, ma semplicemente nel perpetuare un inganno modaiolo ai danni della gioventù. Sono pochi i giovani che si accorgono del tentativo in atto di inquinare il loro immaginario, per i più tali povere iniziative rappresentano un’occasione di sentirsi vivi, mostrandosi.
E quale peggiore ingiustizia è quella di chi, avendo il compito di restituire ad una comunità la sua dignità morale ed estetica, la obbliga ad alimentare la nequizia dell’idiotismo becero e vacuo della velina di turno?

HINTERLAND, IL PROBLEMA É NON PENSARE PIù

Viaggio insieme ai giovani turisti delle città invisibili per capire dove stiamo andando. Nella valigia un pensiero minimo ma non lacrime e trionfi “da televisione” . La rubrica le città invisibili si è riempita di tante parole e di qualche silenzio, mi tiene compagnia da un bel po’ di tempo e mi aiuta a riflettere meglio sulle tante questioni che investono la nostra esperienza quotidiana. Un forum nasce quando una piazza diventa sensibile alla discussione e i suoi cittadini pensano che condividere i problemi sia già l’inizio di una risoluzione. Così sta accadendo con il problema dei rifiuti, che risveglia il bisogno di essere protagonisti delle scelte di un paese, ma accade meno quando i problemi, pur vissuti da ciascuno, non sono ancora percepiti come problemi collettivi. Perciò è il caso di continuare una riflessione che apra un dibattito educativo sulla partecipazione e la cooperazione, soprattutto quando essa è destinata ad esprimersi in un ambito legato alle problematiche giovanili. In questa prospettiva facciamo riferimento ai modelli socioculturali che i nostri giovani e noi stessi utilizziamo per dare un significato alla nostra quotidianità. Un modello culturale è alla base della costruzione di una comunità, a tal punto che analizzare i problemi della collettività vuol dire, essenzialmente, affrontare il discorso del modello antropologico sotteso ai comportamenti significativi di quella collettività. Il modello è subordinato alla definizione delle abitudini sociali, dei modi tipici di sentire, di pensare e di agire. Tali schemi, costruiti lungo il passare delle generazioni, vengono trasmessi ed appresi attraverso la mediazione di simboli, di archetipi, di metafore, che presto diventano patrimonio comportamentale della comunità. Per esempio: la pace e la guerra, la comunicazione, la competizione, lo scambio economico. Per questo motivo è essenziale affrontare ed approfondire tali modelli per comprendere dove stiamo andando, come ci evolviamo e, soprattutto, quali sono le rappresentazioni che di sè stessi danno i giovani, protagonisti assoluti dell’incarnazione dei modelli socioculturali. Seguendo lo scrittore Italo Calvino, che ha dato ad uno dei suoi libri più famosi, il titolo Le città invisibili, possiamo tentare, nella prossima serie di articoli, di svolgere come delle relazioni di viaggio immaginarie, che possano aiutarci a capire e a pensare le ragioni di ciò che ci accade intorno, convinto, come sono, che oggi il problema dei problemi è non pensare più. Scrive Calvino, riferendosi all’imperatore Gran Kan, che insieme a Marco Polo, è il protagonista del libro: “A questo imperatore malinconico che ha capito che il mondo sta andando in rovina, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili.”1 Pensare è assumersi una responsabilità; infatti chi non pensa, non è colpevole di ciò che fa, come suggerisce perfino il libro dei libri; ma chi pensa, deve assumere su di sè il peso dell’impegno. “Tu sei responsabile per sempre delle cose che ami” dirà la volpe al Piccolo principe ed Alioscia, il protagonista de “I fratelli Karamazov”, si chiederà spesso perchè il male vince lì dove il pensiero perde. Allora cercheremo di riprendere l’abitudine ad un “pensiero minimo”, ma controcorrente e forse antipatico, perchè non in linea con le lacrime e i trionfi di “Amici” o con le scemenze dei tanti “pacchi”, che andiamo aprendo nella nostra esistenza, nell’illusione di trovarci soluzioni che spettano, invece, solo a noi. Indagheremo le città del senso, forse perchè “sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili (:) Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio”2 , bisogna esplorarle, in maniera da individuare non le risposte, che servono a ben poco, ma le domande giuste da porci per capire i nostri giovani e noi stessi. Noi che abbiamo attraversato la giovinezza con l’inquietudine di una fiera vigorosa, ma braccata. 1 Calvino I. le città invisibili, ed. Oscar Mondadori p. VIII 2 Ibidem, p.IX