Ciascun individuo , durante tutto il corso della vita, realizza un proprio percorso culturale che si colloca, unitamente a quello dei suoi contemporanei, a mezza via tra quanto l”umanità ha svolto fin dalla sua prima esistenza sulla terra e quanto sarà in grado di svolgere nei tempi che verranno.
L”uomo, infatti, nel corso della storia si è distinto dagli altri esseri viventi soprattutto perchè è riuscito a sviluppare un elaborato sistema di comunicazione che gli ha consentito di scambiare informazioni con altri suoi simili.
Il linguaggio, pertanto, o meglio i linguaggi, sono nati da una precisa esigenza umana: la comunicazione. Quindi, come nello sviluppo del genere umano, così nello sviluppo dell”adolescente, il linguaggio assume un ruolo di primaria importanza ponendosi come fattore indispensabile e propedeutico ad ogni tipo di apprendimento e allo sviluppo dei processi mentali superiori.
È soltanto nel primo anno di vita che il linguaggio e il pensiero si sviluppano lungo linee diverse: la lallazione infatti, attraverso la quale il bambino prova un piacere fisico nell”emissione di suoni privi di valore semantico, che sono stati definiti “internazionali”, costituisce di fatto un monologo connesso alla vita biologica e rappresenta una fase preintellettuale che pertanto non ha alcun legame con lo sviluppo del pensiero.
Successivamente le linee del pensiero e del linguaggio si incontrano per non separarsi più nel corso della vita dell”individuo, generando nuove forme di comportamento.
La verbalizzazione del pensiero e la razionalizzazione del linguaggio costituiscono così quella splendida rivoluzione quasi magica , che si evolve a mano a mano che il “capitale di parole” possedute e diviene spendibile in un poliedrico e progressivo ampliarsi di possibilità.
Il parlante, in particolar modo nella fase adolescenziale, nel veicolare un messaggio che possa essere decodificato da un destinatario, acquisisce, sulla base di un bagaglio esperenziale posseduto, una capacità di espressione in crescita combinando in modo variato, quel ristretto numero di 21 fonemi che danno vita al nostro linguaggio.
Le differenze di capitale linguistico, qualitativo e quantitativo, di cui ogni adolescente è portatore dipendono dall”interazione che si è verificata tra lui e gli adulti che si sono presi cura di lui o comunque dell”ambiente socio-culturale economico nel quale egli è cresciuto.
Comprendiamo allora il ruolo essenziale che un minore o maggiore possesso di capacità linguistiche svolge nello sviluppo dell”adolescente e quanto le possibilità di azione sul reale possano essere accresciute da una competenza linguistica ricca, variata ed elaborata per esprimere il ricco, variegato e ed elaborato mondo dell”adolescente fatto di variopinte e talvolta incontenibili emozioni che egli stesso non è sempre in grado di comunicare.
L”OSSERVATORIO DEGLI ADOLESCENTI
L’ADOLESCENTE E “IL CAPITALE LINGUISTICO”
L’ALTRA FACCIA DELLE PAROLE
Il prof. Eligio Ligio si chiama proprio così. Suoi sono sia il nome che il cognome. Stavolta non c”è lo zampino del collega ed amico Geremia, che da sempre confessa il suo disappunto per non aver potuto esercitare la sua creatività nomignolesca, dato che al curioso connubio aveva già provveduto il caso o qualcun altro all”inizio della catena generazionale degli Eligio/Ligio, quando si era accoppiato per la prima volta quel cognome con quel nome proprio, per burla, forse, o per un riconoscimento ufficiale di una coscienziosa osservanza dei doveri del proprio stato, chissà!
Il prof. Fantasia tuttavia si è autoconcesso e continua di tanto in tanto a concedersi, un modesto risarcimento per la defraudazione subita, ora apostrofando l”amico, che siede davanti a un tomo ponderoso, tra l”assente e il distratto: “Caro Eligio, stamane ti vedo un po” grigio!”. Battuta che serve a far sorridere l”apostrofato, alzandogli subito il livello d”umore depresso, ora sussurrando una battuta alquanto greve e salace ad altro amico, assente l”interessato, riferendosi alla sua (del prof, Ligio) abitudine di permettersi qualche apprezzamento su una bella donna accostandola alla Venere callipigia: “È insolitamente in ritardo il nostro Eligio Callipigio!”
Il prof. Eligio è un insigne docente di Latino e Greco e nutre una ammirazione per la classicità così fervida da sfiorare il fanatismo, alla quale accompagna, come è naturale, un profondo, viscerale e malcelato misoneismo. Spesso intavola brevi ma intense conversazioni con il collega Carlo, che si risolvono in uno scambio culturale di gran pregio ed interesse, per orecchie interessate, s”intende.
A proposito dell”ambiguità del linguaggio, il prof. Carlo ha appena finito di dire che un significativo esempio di ambiguità è dato dall”indovinello.
“L”indovinello –continua- è costruito proprio sulla caratteristica del linguaggio di avere due o più significati. Si tratta di un “breve componimento, spesso in versi”, nel quale coesistono due significati, uno proclamato ufficialmente e un altro nascosto da indovinare: si descrive una persona, un oggetto un fatto, una situazione con parole che possono riferirsi e quindi significare altra persona, altro oggetto e altra situazione. È come una medaglia con le sue due facce: se ne mostra una e si chiede di indovinare anche l”altra. Infatti basta un leggero movimento, della mano nel caso della medaglia e del pensiero nel caso dell”indovinello, per vedere e conoscere la parte nascosta”.
“Si potrebbe parlare –lo interrompe il prof. Eligio– del gioco della doppia verità o perfino della concezione relativistica della verità:”
“Senza andare necessariamente nel campo filosofico, mi sembra la tua una considerazione importante per individuare un qualche fine pratico di questa operazione della mente che a prima vista appare come un puro gioco, di intelligenza, ma sempre gioco, quello cioè di un allenamento mentale che permetta più agevolmente di non fermarsi, nel leggere e nell”interpretare la realtà, alle mere apparenze, ma di andare a vedere cosa c”è e ci può essere dietro e oltre.
Vorrei citare un indovinello tra i tantissimi che conosco, che mi sembra di rilievo per la sua attualità. È di Fan (Gianfranco Riva), ripreso da Stefano Bartezzaghi nelle sue “Lezioni di enigmistica” (Einaudi,Torino, 2001):
Thoeni si supera nello slalom
“Dopo un”evoluzione che in teoria
è apparsa piuttosto discutibile
col suo arrivo “mondiale” ha migliorati
nel tempo i precedenti suoi primati”.
Si tratta “di un vero e proprio discorso sull”uomo, nascosto sotto il discorso sullo sciatore: l”uomo infatti, dopo aver subito un”evoluzione antropologica (la cui “teoria” è stata molto controversa: discussa e quindi “discutibile”), con il suo “arrivo al mondo” ha costituito un “miglioramento” delle “specie dei primati” (in questo caso plurale di “primate” e non di “primato”) che lo hanno “preceduto””. (Bartezzaghi)”
“Scusami, caro Carlo, ma tra gli indovinelli che hanno come soluzione “l”uomo”, ritengo insuperato, per la sua icasticità significativa, quello classico per eccellenza, quello che la Sfinge, mostro con volto di donna e corpo di leone, figlia secondo Esiodo della Chimera, proponeva ai viandanti alle porte di Tebe, uccidendoli se non sapevano dare la soluzione:
“Qual è l”essere che di mattina ha quattro zampe,
di giorno ne ha due e di sera ne ha tre?
Si sa che fu Edipo a dare la soluzione e la Sfinge dalla rabbia per la sconfitta subita si gettò in un burrone e morì”.
(Continua)
LA RUBRICA
“LA MARCIA SU ROMA!”
L”inizio dell”anno 1922 è segnato dalla morte del papa Benedetto XV. Al trono di Pietro è eletto, così, il 6 febbraio, il cardinale Achille Ratti, arcivescovo di Milano, che prende il nome di Pio XI. Il nuovo pontefice dichiara subito la sua avversione sia all”idea liberale che a quella marxista. Guarda, invece, al fascismo –osteggiato da molti preti e dall”Azione Cattolica, oltre che dal segretario del partito popolare, don Luigi Sturzo, costretto alle dimissioni- con sereno ottimismo, tanto da definire Mussolini “l”uomo della provvidenza”.
E proprio Mussolini, col silenzio complice del re e del governo, si accinge a prendere in mano le sorti d”Italia. A Milano, rivolto ai suoi uomini, il nuovo leader della destra dichiara: “Io vi dico con tutta la solennità che il momento impone: o ci daranno il Governo o lo prenderemo calando su Roma”. Le forze dell”ordine sono tutte dalla parte del movimento fascista. Nel luglio del 1922, un prete vicentino racconta: “Carabinieri girano in camion con i fascisti, si puntano all”occhiello il loro distintivo, cantano i loro inni, mangiano e bevono coi fascisti”. Anche i prefetti guardano con simpatia a destra; solo il prefetto di Bologna, Cesare Mori, è un feroce oppositore all”aggressività fascista ma è subito trasferito in una cittadina del sud.
Nessuna istituzione si preoccupa, perciò, della minaccia mussoliniana. Tace il Governo guidato da un incolore avvocato piemontese –Luigi Facta-, tace –cosa ancor più grave- il re e, senza levare nemmeno una parola di dissenso, lasciano che un “esercito” irregolare di quasi 25.000 uomini, la notte del 28 ottobre 1922, muova alla volta di Roma. Anzi, la mattina seguente la marcia sulla capitale il re –dopo aver incassato le dimissioni di Facta ed il rifiuto a sostituirlo di Salandra- chiama Benito Mussolini e lo nomina presidente del consiglio dei ministri. Il discorso alla Camera del nuovo primo ministro non lascia spazia ad alcun fraintendimento:
“Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Mi sono rifiutato di stravincere e potevo stravincere:Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti:Io non voglio, finchè mi sarà possibile governare contro la Camera, ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento, fra due giorni o fra due anni”. Per le strade squadre di giovani in camicia nera cantano “Giovinezza, giovinezza/ primavera di bellezza/ della vita nell”asprezza/ il tuo canto squilla e va!”.
Cadono nel vuoto le parole di opposizione al nuovo governo di Giacomo Matteotti e Filippo Turati.
Il nuovo regime si presenta con i suoi veri panni nel 1923, quando nasce la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il cosiddetto braccio armato di Mussolini. La Milizia serve al capo del fascismo per punire le teste calde, gli oppositori. Serve a far menar le mani agli squadristi, tanto è vero, che da questo momento le azioni di violenza diventano innumerevoli. In una di queste viene assassinato ad Argenta, in provincia di Ferrara, il prete don Giovanni Minzoni.
Intanto, due eventi caratterizzano il governo Mussolini: la legge Acerbo e la riforma Gentile. Giacomo Acerbo è il deputato fascista, che dà il nome alla legge di riforma elettorale: il partito che ottiene il 25% dei voti si aggiudica anche un premio di maggioranza, che lo porta ad attribuirsi il 65 % dei seggi. In pratica è una legge truffa (approvata con 223 voti contro 123 ed il consenso personale dei deputati Giolitti, Salandra ed Orlando!), che garantisce al fascismo la possibilità di controllare due terzi della Camera!
Giovanni Gentile è l”ideatore, invece, della riforma scolastica, che prevede una scuola elementare di cinque anni, un”istruzione secondaria di otto anni e, quindi, l”università. La riforma è basata sull”istruzione umanistica a tutto svantaggio di quella tecnica. Alla fine della scuola secondaria superiore è introdotto l”esame di maturità con le commissioni esterne.
IL 28 OTTOBRE 1922
COSA INSEGNAVANO A SCUOLA
BUON 1° MAGGIO A TUTTI!
Di Raffaele Scarpone
Caro Direttore,
non posso, certo, tacere del 1° maggio, festa del lavoro! Un tempo, nemmeno troppi anni fa, gli operai e gli impiegati, gli agricoltori ed i ferrovieri, insomma, tutte le categorie lavorative, sfilavano in corteo, ringraziavano per i diritti acquisiti e ne rivendicavano di nuovi e sacrosanti. Tutti (ma proprio tutti) sapevano che quella data simbolo, nata in ricordo dei martiri di Chicago (la città americana in cui, nel 1886, un grande corteo di 80 mila lavoratori lasciò sul lastrico alcune vittime, nella rivendicazione delle otto ore come limite legale all”attività lavorativa) e sancita, nell”agosto del 1891, dal II Congresso dell”Internazionale, era la “festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale essi dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà”.
Direttore, io li ricordo quei cortei; anzi, ti dirò di più, partecipavo proprio alla sfilata del 1° maggio. Per le strade di Napoli si muoveva un lunghissimo e gioioso serpentone: c”erano le tute blu dell”Italsider, i caschi bianchi dell”Enel, i pompieri con le tute verdi, gli autoferrotranvieri con gli abiti grigi ed i fregi dorati, gli agricoltori a bordo dei loro rumorosi trattori e, poi, insegnanti, studenti, impiegati ed anche casalinghe. Nei luoghi di concentramento finale, poi, l”oratore di turno (un politico, un sindacalista) rinnovellava il valore del 1° maggio e ricordava, sempre, i caduti della strage di Portella della Ginestra (Pa), il luogo in cui, nel 1947, più di un migliaio di contadini s”era dato appuntamento per festeggiare la fine della dittatura ed il ripristino delle libertà, ignorando che si sarebbe trasformato in bersaglio vivente alle doppiette mafiose della banda di Salvatore Giuliano (ci furono 11 morti, di cui 2 bambini, ed oltre 50 feriti!).
Caro Direttore, sembra siano passati secoli e secoli dai fatti che ti ho appena ricordato. Ho provato a chiedere a dei giovani il significato della festa del 1° maggio: niente, nessuna risposta; qualcuno ha detto perchè la data è segnata in rosso sul calendario. Non parliamo, poi, di quelli che ignorano del tutto –giovani ed adulti- la storia del 1° maggio ed anche la strage di Portella della Ginestra. Molti, però, sanno del megaconcerto, che si terrà a Roma, in Piazza San Giovanni. Perchè? Perchè, ogni anno, il 1° maggio, si tiene un grande concerto a Roma; quest”anno ci sarà anche Vasco Rossi; basta!
“Quid est veritas? Questa domanda latina rivolta dal governatore della giudea all”uomo di Nazaret trova risposta nell”anagramma est vir qui adest. Ma l”anagramma è un gioco e comunque non si usa più. Vuol dire che la verità è chi ti sta di fronte? È nel tuo specchio? Ma nessuno conosce l”essenza degli specchi e nessuno penetra il loro segreto tranne Alice nel paese delle meraviglie” (Luigi Pintor, “I luoghi del delitto”, Bollati Boringhieri, 2003).
Caro Direttore, a parte la preziosa presenza (ultimo baluardo di moralità e democrazia: che gli Dei lo conservino a lungo!) dell”infaticabile ed indistruttibile Presidente Napolitano, sicuramente qualche responsabile del governo prenderà la parola, rilascerà qualche intervista, parteciperà a qualche convegno. E, magari, dirà che il nostro Paese è uscito dalla crisi; anzi, questa recessione è stata una breve parentesi e si è risolta molto prima del previsto. L”Italia resta pur sempre il paese del bengodi, la terra di eldorado. Eppure, c”è un panorama da tragedia. Le morti bianche non si contano.
Come non si contano i disoccupati, i giovani che non avranno mai un lavoro insieme a quelli che, dopo averlo avuto un lavoro, lo perdono improvvisamente. Qualche giorno fa, Ivan Scozzaro, un giovane torinese di 29 anni, dopo che l”azienda in cui lavorava (la Johnson Electric) ha chiuso i battenti e mandato a casa 113 dipendenti, si è tolto la vita, lanciandosi da un ponte. Però, i nostri responsabili della politica e dell”economia dicono che “il peggio è passato”.
Lo dice anche Sergio Marchionne, l”amministratore delegato Fiat, mentre l”azienda annuncia altre “sospensioni temporanee” dei lavoratori per tutto il 2009: ne sanno qualcosa anche i dipendenti di Pomigliano d”Arco! E gli allegri tagli nelle scuole? E gli esercizi commerciali costretti a chiudere? Ed i giovani che si dilaniano per occupare provvisoriamente un posto in call center? Ed i co.co.co. senza, ormai, alcuna speranza?
Nel 1971, Nanni Balestrini, nel romanzo “Vogliamo tutto” (Feltrinelli) racconta dell”operaio-massa, del proletario meridionale, che va a lavorare a Torino, alla Fiat, e lì è costretto a vivere miserabilmente:
“Nichelino è un dormitorio alle porte di Torino. Caratteristiche delle abitazioni di Nichelino: assenza pressochè totale di servizi. Fitti in continuo aumento. Ricatti continui da parte dei padroni di casa con la minaccia dello sfratto[:]. Lì il bilancio di una famiglia operaia è il seguente: il salario di una fabbrica di Nichelino per 8 ore di lavoro varia dalle 60.000 alle 80.000 mensili. L”affitto, anche 10.000 a vano, varia dalle 20.000 alle 35.000, più 2.000, 4.000 per le spese e altrettanto per il riscaldamento. Restano dalle 30.000 alle 50.000 per vivere, per cui le ore di lavoro devono salire a 10, 14. Chi lavora alla Fiat non migliora per niente il proprio bilancio. Il costo e le ore non pagate di trasporto, almeno due ore giornaliere, assorbono le differenze salariali”.
Caro direttore, anche questa descrizione sembra appartenere a situazioni di tanto tempo fa. E, invece, non è cambiato quasi niente, solo le lire sono diventate euro. Anzi., tutto il contesto è totalmente peggiorato. Chissà se il ministro Brunetta, sedicente socialista, se ne è mai accorto. Buon 1° maggio, direttore.
AMMINISTRAZIONI E CAMORRA. IL VERO NODO DA SCIOGLIERE
Di Amato Lamberti
La camorra è diventata quasi un genere letterario. Sono ormai diecine i libri dedicati alle “cronache infernali” della criminalità omicida che insanguina i territori della Campania. Sappiamo ormai tutto dei vari Schiavone detto Sandokan, Bidognetti detto Cicciotto “e mezzanotte, Giuseppe Setola, Di Lauro, Zagaria, Mazzarella, Sarno, ecc.,ecc., della loro violenza, della loro efferatezza, del modo in cui esercitano il loro potere, dei loro scontri, delle loro alleanze, delle loro ville, del modo opulento con cui vivono. Molti autori danno quasi l”impressione di essere affascinati da questi eroi del male, eccessivi in ogni loro manifestazione, ributtanti nella loro noncuranza della vita e di ogni regola di convivenza civile.
Ma si tratta pur sempre di delinquenti, organizzati in bande, clan, gruppi criminali, che fanno i delinquenti, cioè si occupano di affari criminali, dalle estorsioni, allo spaccio di droga, al traffico di rifiuti tossici e nocivi, al contrabbando di combustibili e carburanti. Sono feroci, spietati, animaleschi, come sono sempre stati i delinquenti-criminali. Ma la camorra, intesa come associazione mafiosa, è un”altra cosa. Mettere l”etichetta “camorra” ai fatti criminali, significa solo caricare simbolicamente fatti talmente banali, nella loro bestialità, da non meritare alcun alone leggendario.
Così come enfatizzarne la pericolosità e la capacità di colpire chiunque e dovunque significa accreditarli di poteri e capacità che non hanno e che non hanno mai dimostrato. Anche la magistratura dovrebbe cominciare a rivedere il suo registro d”azione. Gli studiosi più seri di questi fenomeni distinguono due livelli di criminalità organizzata, quella “orientata al denaro” e quella “orientata al potere”: la criminalità mafiosa, e, quindi, la camorra, è solo quella “orientata al potere”.
Il mafioso vuole governare, amministrare, decidere; vuole sostituirsi allo Stato impadronendosi dello Stato, a cominciare dalle sue articolazioni locali, i Comuni. Non si può pensare di combattere il disegno mafioso di occupazione dei poteri dello Stato, concentrando l”attenzione sulla delinquenza organizzata che è solo il braccio armato delle organizzazioni mafiose e camorriste. L”analisi dei provvedimenti di scioglimento dei Comuni per condizionamento mafioso, che sto portando avanti con una certa puntigliosità, ha proprio lo scopo di fare vedere come questa occupazione delle amministrazioni locali viene portata avanti dalla camorra, con la complicità anche di coloro che sarebbero chiamati a fare argine, a contrastare questo disegno criminale.
Ci sono realtà del nostro territorio vesuviano nelle quali viene il dubbio che questo processo di sostituzione dello Stato da parte della camorra si sia realizzato e stabilizzato per lungo tempo. Come nel caso di Poggiomarino, il feudo di Pasquale Galasso, sciolto una prima volta, il 30 settembre 1991; una seconda volta, il 4 dicembre 1995; una terza volta, il 9 febbraio 1999. Gli amministratori, dopo i 18 mesi, ogni volta, di commissariamento, restano sempre gli stessi. All”atto dello scioglimento del 1999, gli amministratori tornano ad essere quelli sciolti nel 1991, a testimonianza che il potere, sul territorio, non cambia di mano nonostante gli interventi dello Stato.
Una situazione paradossale che dovrebbe far riflettere, non per giudicare inutili i provvedimenti di scioglimento, ma per introdurre, ad esempio norme che escludano definitivamente dalla vita politica e amministrativa, il personale politico, tecnico e amministrativo delle amministrazioni colpite da provvedimenti di scioglimento; ma anche, l”estensione agli amministratori, dirigenti e funzionari, dei provvedimenti di confisca dei beni illecitamente accumulati che, ad oggi, riguarda solo gli appartenenti alle organizzazioni mafiose. Il problema di fondo è che bisogna spostare l”attenzione dai delinquenti sanguinari ai camorristi-imprenditori e ai camorristi-amministratori che, attraverso il controllo dei Comuni, si mangiano i fondi destinati alla collettività.
Certo sarà più difficile, per giornalisti, scrittori e magistrati, scrivere articoli e romanzi di successo, grondanti di facce lombrosiane e fiotti di sangue, ma, forse, il disegno della camorra, di conquistare la sovranità politica ed economica del territorio, potrà cominciare ad essere arginato.
CITTÁ AL SETACCIO
GLI ADOLESCENTI E LA “CONOSCENZA”
Fin da quando ero adolescente anch”io, ho avuto della conoscenza e della cultura l”immagine di un immenso puzzle poliedrico al quale giorno dopo giorno, mi sono sforzata di aggiungere un particolare “pezzetto” che si è incastonato tra gli altri già in mio possesso: è il percorso che ogni individuo, nel corso della propria vita , in modo svariato, compie.
Un”emozione, una competenza, un”abilità, una parola, un concetto, una competenza, prendono forma in un”immagine che si fa via via più nitida, più chiara, più concreta. Contemporaneamente la nostra capacità di elaborare pensieri sempre più elevati diviene consistente a mano a mano che il nostro “capitale verbale” accresce consentendoci di approdare così ad una evoluzione conoscitiva e culturale che si realizza con velocità esponenziale grazie alla comunicazione.
Comprendiamo ,allora,come l”adolescente di ogni tempo si sia mosso e si muova attraverso l”intricato “labirinto del sapere”, all”interno del quale le strade convergono verso un percorso unitario che può divenire più agevole grazie al fatto che noi, aiutandoli con discrezione ad esplorarne ogni angolo, ne facilitiamo il passaggio, rendendoli capaci di far tesoro di ogni esperienza conoscitiva .
Certamente il ruolo dell”adulto, nell”attuale società dell”immagine, del suono, della comunicazione prevalentemente non verbale, è molto più complesso di un tempo in cui era lui il detentore del sapere e del sistema per veicolare il sapere stesso.
Pertanto, nella veste di educatori , familiari o istituzionali, dobbiamo porci in linea con i nuovi linguaggi per far sì che il giovane possa avvantaggiarsi del nostro supporto e guida per decodificare i messaggi , talvolta subliminali , a lui rivolti.
Ecco quindi che l”alfabetizzazione multimediale diviene non un sistema di accattivarsi l”attenzione egli interessi dell”educando, bensì un” attivazione di un processo di democrazia che renda praticabile la capacità critica e consapevole della costruzione del proprio sapere e di una cittadinanza attiva e partecipata.
È quindi assolutamente conciliabile il tradizionale sistema conoscitivo-comunicativo con la multimedialità; anzi quest “ultima favorisce l”arricchimento culturale e conoscitivo che si concretizza “nella ricerca”, facilitata da sistemi sempre più innovativi e che dura tutta la vita, “del vero sapere”.
L”OSSERVATORIO SUGLI ADOLESCENTI
SANT”ANASTASIA. ORGANIZZIAMO L’URBANISTICA DEL TERRITORIO
L”ORGANIZZAZIONE URBANISTICA DEL TERRITORIO
(Continua da articolo 2)
Generalità sulla pianificazione delle aree per attrezzature, spazi pubblici, rete viaria
Come riportato negli articoli precedenti, l”intensa attività edificatoria degli anni passati ai fini residenziali non è stata accompagnata da una corrispondente urbanizzazione d”aree per l”uso collettivo: istruzione, parcheggi, verde attrezzato, attrezzature per il tempo libero, ecc.
Scopo prioritario del PUC è d”intervenire sul tessuto urbano esistente per conseguire la cosiddetta “autosufficienza funzionale” dei nuclei abitati. Far sì che, all”interno di ciascun centro o, al limite, nelle immediate adiacenze, gli abitanti trovino, oltre la residenza, gli spazi collettivi che consentano loro di vivere pienamente il quartiere, senza doversi sempre spostare altrove per soddisfare ogni loro minima esigenza.
In aree specifiche, invece, vanno ubicate tutte le attrezzature d”interesse comunale o che non trovano posto all”interno dei singoli quartieri.
Analoghe carenze ed insufficienze si riscontrano sull”esistente rete di comunicazione viaria.
Vediamo nel dettaglio queste varie problematiche a partire dalla rete viaria.
Rete di comunicazione viaria
In quest”ambito si riscontrano le maggiori carenze ed insufficienze. A parte le due statali 268 e 162 che sono d”attraversamento del territorio comunale, la circolazione all”interno è ancora accentrata sui tre assi viari di Via D”Auria-Via Arco, Via Pomigliano, Via Romani.
Vediamo le possibili soluzioni a cominciare da Via Pomigliano. È indubbio che quest”arteria avrebbe bisogno di un raddoppio della carreggiata, cosa non realizzabile perchè in diversi tratti costeggia edifici residenziali. Bisognerà limitarsi ad una sostanziale ristrutturazione con la realizzazione di rotatorie in corrispondenza degli incroci, di marciapiedi e di slarghi per la sosta temporanea degli autoveicoli.
Naturalmente questi provvedimenti miglioreranno l”attuale situazione, ma di certo non saranno risolutivi. È indispensabile costruire una nuova arteria per collegare Sant”Anastasia Centro con il quartiere Starza ed il territorio di Pomigliano, superando gli attuali ostacoli costituiti dalla ferrovia Circumvesuviana, la statale 268 e la ferrovia ad alta velocità.
La strada dovrebbe iniziare da Via Somma, giungere sino a Via Rosanea, innestarsi su Via Del Pruneto, che va potenziata con adeguato allargamento della sede, e giungere nel territorio di Pomigliano in prossimità degli svincoli autostradali.
Rimaniamo nel quartiere Starza e prendiamo ora in esame l”arteria principale che l”attraversa, costituita da Via Rosanea. Strada senza marciapiedi, con molti edifici ai margini della strada e con un difficile accesso da Via Pomigliano. Anche in questo caso, oltre alla solita ristrutturazione, risulta necessaria la costruzione di una nuova arteria che si sviluppi da Via Pomigliano, prospiciente la Chiesa di Ponte di Ferro, sino a Via del Pruneto, costituendo in tal modo con Via Rosanea un anello intorno al quartiere.
Passiamo a Via D”Auria-Via Arco. Occorre anche qui la costruzione di una strada parallela che consente di bypassare il Santuario di Madonna dell”Arco e crearvi intorno un”isola chiusa al traffico veicolare. Allo scopo va prolungata Via E. Merone (ex Circumvallazione) sino a Via Romani.
Per quanto riguarda Via Romani, è opportuno rettificare il primo tratto a partire dalla Piazza Madonna dell”Arco sino all”incrocio con il prolungamento previsto di Via Merone, alfine d”eliminare la doppia curva esistente e distanziare il traffico veicolare dal Santuario. La qual cosa era già prevista dal Piano di Fabbricazione e confermata dal vigente Piano Regolatore e mai attuata. Ovviamente dovrà essere spostato il parco gioco esistente. Indispensabile, poi, la solita robusta manutenzione.
(Continua al prossimo articolo) PER APPROFONDIMENTI
neAnastasis
Associazione Civica
Di seguito, gli articoli correlati:
– L”avvio del confronto
– Il secondo contributo
“DAL CAOS VIENE FUORI IL FASCISMO”
Di Ciro Raia
Passato l”entusiasmo provocato dalla guerra; superati i lutti delle perdite in uomini e sostanze; sopravvissuta alla tremenda epidemia della “spagnola”, la febbre che miete decine di migliaia di vittime tra il 1919 ed il 1920, l”Italia si accorge, con amarezza e delusione, di essere un paese povero e in ginocchio.
Le industrie belliche non prosperano più e gli operai sono licenziati. In altri opifici, invece, il licenziamento tocca solo alle donne: devono far posto agli uomini tornati dalla guerra. I contadini, invece, non avendo avuto assegnate le terre loro promesse, devono tornare a lavorare per gli antichi padroni. I negozianti offrono inutilmente le loro merci: la miseria non consente nemmeno l”acquisto di generi di prima necessità. Un chilo di pane costa 2 lire! Per vivere dignitosamente, una famiglia ha bisogno di spendere 180 lire al mese; ma il guadagno medio a famiglia è di solo 120 lire al mese. Come fare?
L”unica forma di protesta possibile da opporre ad una situazione simile, sembra lo sciopero. Così si decide di fermare i trasporti e le poste, di occupare le fabbriche, i cantieri navali, le officine metallurgiche. L”Italia è, così, attraversata da una ventata rivoluzionaria soffiata dal movimento operaio. Arrivano anche alcune conquiste come l”aumento della paga, del 10-12%, ai metallurgici o il pagamento delle giornate di occupazione delle fabbriche; ma questi pochi miglioramenti riconosciuti agli operai inducono gli industriali e la borghesia a guardare con sempre maggiore favore al movimento fascista, che con veemenza comincia ad opporsi alle azioni di protesta della classe operaia (nella foto un gruppo di picchiatori fascisti).
Il primo ministro in carica, Francesco Saverio Nitti, non riesce a raddrizzare le sorti del paese. Nella confusione più totale egli ha ottenuto solo l”approvazione di una legge, che cambia il sistema elettorale dall”uninominale al proporzionale. Le dimissioni di Nitti sono, perciò, inevitabili. A succedergli è chiamato di nuovo Giolitti, che costituisce il suo quinto ministero. A comporlo sono chiamati eminenti rappresentanti di tutti i partiti costituzionali, tra cui il conte Carlo Sforza agli Esteri, il filosofo Benedetto Croce alla Pubblica Istruzione ed Ivanoe Bonomi al Ministero della Guerra.
Il nuovo governo Giolitti, che fa approvare subito l”abolizione del prezzo politico del pane, dura in carica circa un anno, dal giugno 1920 al luglio del 1921. Un tempo breve in cui si assiste a delle svolte epocali: la FIAT annuncia il licenziamento di 1.500 operai e la riduzione dell”orario settimanale di lavoro; alcuni stabilimenti, occupati dai licenziati, sono immediatamente chiusi; a Livorno (gennaio 1921) nasce il Partito Comunista d”Italia. A volere la nuova formazione sono Antonio Gramsci, Umberto Terracini ed Amadeo Bordiga, che, nel corso del XVII congresso del Partito Socialista, si staccano dall”ala riformista socialista di Filippo Turati e Giacinto Menotti Serrati.
Il movimento fascista, intanto, diventa sempre più massiccio, pericoloso e violento; cominciano, infatti, a non contarsi più le aggressioni ai danni degli operai e di quanti non condividono le idee dei seguaci di Mussolini, siano essi anche donne, anziani o preti. A questo punto, perciò, Giolitti ritiene che la composizione politica della Camera non rispecchia il vero volto del paese. È necessario –secondo il capo del governo- andare alle urne; non senza aver favorito, però, un”alleanza tra i liberali ed i fascisti, utile, nelle intenzioni del primo ministro, a ridimensionare i partiti della sinistra.
Le nuove elezioni si tengono il 15 maggio 1921. I liberali conquistano 265 seggi, i popolari 108, i socialisti 123, i comunisti 15. Ma bisogna contare anche i seggi della destra: 35 al movimento di Mussolini e 10 ai nazionalisti.
Il paese è, a questo punto, ingovernabile. Lo squadrismo viene legittimato; gli accordi di lavoro ed i miglioramenti conquistati dagli operai vengono ignorati; militari, agrari e borghesi sentono di poter alzare la voce. Il fascismo si trasforma da movimento a partito. Nel mese di ottobre 1921 nasce il Partito Nazionale Fascista, con oltre 200.000 iscritti.
Giolitti si dimette. Al suo posto è chiamato il social-riformista Ivanoe Bonomi. Ora il tempo dello statista piemontese è definitivamente tramontato. Anzi, a seppellire la sua era, concorre anche la nascita dell”Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, voluta dal francescano Agostino Gemelli e nata per “elaborare una cultura cattolica da contrapporre a quella laica: formare dei soldati di un”Idea per il trionfo del regno di Cristo”.
IL 25 APRILE. STORIA E MEMORIA
Di Raffaele Scarpone
Caro Direttore,
dopodomani è il 25 aprile, una data particolare, storica, simbolica, ricca di fascino e di speranze per chi ha lottato –pagando anche con la vita- per restituire la libertà agli Italiani, per chi ha creduto in una patria finalmente libera, democratica ed antifascista. Pensa al sacrificio dei tanti giovani caduti in nome di un ideale, di un valore. Pensa alle ingiurie ed alle violenze subite dai tantissimi antifascisti, ai lutti portati nei cuori e nella mente, oltre che negli abiti. Poi, un radioso giorno di aprile del 1945 l”Italia –la patria- è libera dai soprusi, dalle armi, dal rancore, dalle ideologie totalitarie.
Natalia Ginzburg, nella prefazione al testo di G. Falasca, “Letteratura partigiana in Italia” (Editori Riuniti, 1984), scrive: “Le parole patria e Italia che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola, perchè sempre accompagnate dall”aggettivo “fascista”, ci apparvero d”un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta”. Sai, direttore, in tempi lontani, quando a scuola mi assegnavano il solito tema “In quale epoca storica ti sarebbe piaciuto vivere”, io scrivevo sempre che mi sarebbe piaciuto vivere nell”Italia partigiana, tra quei coraggiosi che lottarono, morirono, si sacrificarono, donarono se stessi ed i propri affetti in nome della parola “libertà!”.
Oggi, in verità, mi chiedo sempre più spesso quale valore ha la data del 25 aprile! Se cade vicino alla domenica, è utile per fare un ponte, per andare in vacanza; se cade in mezzo alla settimana, serve per riposare o riprendere un hobby; se cade di domenica, che sfortuna!, si è perso un giorno di festa! Caro direttore, ho la sensazione –o quasi la certezza- che la data simbolo della Liberazione, l”apice della Resistenza sia, forse, troppo distante –cronologicamente- dalle nuove generazioni, specie se, nelle famiglie, per ragioni di età, viene a mancare la trasmissione diretta dell”esperienza di chi ha vissuto quegli epici giorni di rinascita, di resurrezione, di rifioritura per un intero popolo.
Sai, i grandi saggi, che siedono al governo, vogliono mettere le mani sui testi scolastici e tentano di cambiare il senso della storia. I grandi saggi, in effetti, sotto l”etichetta del revisionismo storico, cercano di far passare il concetto ambiguo di “memoria condivisa”, un artificio per dire che i morti sono tutti uguali (sia quelli che caddero per difendere la libertà di tutti che quelli che morirono per negarla a tutti!) e tante altre corbellerie simili! Pensa che con questa convinzione (il ricordo di parte) il nostro attuale capo di governo non sa ancora se partecipa alle manifestazioni pubbliche per il giorno della Liberazione (ieri era orientato verso il sì; oggi chissà, comunque è poco convinto)!
Negli anni precedenti, le volte in cui ha ricoperto la stessa carica di capo del governo, non ha mai preso parte a nessuna cerimonia pubblica: si sentiva e si sente troppo parte in causa, troppo vicino al suo vate ispiratore, a un signore che tutto può, che tutto controlla, che tutto compra, a cui tutto è concesso, che si fa fotografare tra terremotati e tra i grandi del mondo, tra le soubrette e i nani patologici. E pensa che, non più tardi di qualche anno fa, lo stesso capo di governo andava in giro raccontando che gli antifascisti non erano stati mandati in esilio da Mussolini: erano stati mandati in villeggiatura, beati loro! Ed anche l”attuale presidente della Camera dei deputati, negli anni scorsi, da segretario politico di A.N., pur avendo chiesto scusa agli Ebrei, non ha mai partecipato alle celebrazioni pubbliche per il giorno simbolo della Liberazione!
Caro direttore, tu pensa cosa succederà quando sarà, purtroppo, scomparso l”ultimo testimone: non si parlerà più di Liberazione, di Resistenza, di partigiani? Credo che la scuola –in assenza di partiti politici senza storia e senza memoria- debba farsi carico di questa responsabilità ed eredità, proponendo un insegnamento senza revisionismi, fornendo strumenti logici (capacità di analisi, di sintesi, di critica), offrendo testi di grande spessore culturale. Altro che scuola-azienda!
Non ci si può chiudere nel proprio privato. Le responsabilità sono di tutti, nel bene e nel male; il popolo, le masse fanno la storia, non solo i capi, i duci (“Tebe dalle sette porte, chi la costruì?/ Ci sono i nomi dei re, dentro i libri./ Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?[:]”, B. Brecht [Poesie e Canzoni]).
Caro direttore, so che questa settimana non ho molto guardato ad una realtà, come dire, più territoriale. Ma ho scritto con i sentimenti che mi bollivano dentro. Tu, come sempre, hai potere di vita e di morte (si fa per dire) sui tuoi collaboratori: è la legge del padrone! Per cui, volendo, puoi anche decidere di farmi saltare la rubrica settimanale. Se, in stato di grazia, decidessi, invece, di essere indulgente nei miei confronti, allora mi piacerebbe ricordare –a te e a chi, eventualmente, ancora mi legge- queste poche righe di Giuseppe Salmoirago, un commerciante novarese di 41 anni, fucilato, senza processo dai tedeschi, il 15 ottobre del 1944, a Vico Canavese: “Cara moglie e bambine, non piangete e siate orgogliose del vostro caro marito e padre, a 18 anni feci diciotto mesi di carcere, e ora a 41 dò la vita mia per il mio ideale e per la libertà della nostra patria [:]” (Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Einaudi, 1973).
AVVISO AI CANDIDATI ALLE PROSSIME ELEZIONI
Di Don Aniello Tortora
Nel 2009 ricorrono il cinquantenario della morte di Luigi Sturzo (1871-1959) e il novantesimo anniversario della fondazione del Partito Popolare.
E questa settimana, carissimi lettori, vorrei intrattenermi un po” con voi su questa grande figura di prete e di persona attenta alle dinamiche politiche e sociali.
Ho l”impressione che tutti, oggi, si ispirino a don Sturzo, se ne approprino quasi della sua personalità, del suo profondissimo pensiero, ma pochissimi applicano i suoi principi morali nella prassi politico-amministrativa.
Don Luigi Sturzo ha avuto una concezione profondamente morale della politica, ha vissuto una spiritualità incarnata nel contesto sociale del suo tempo e ha esercitato la sua carità pastorale attraverso un impegno culturale, sociale e politico di ampio respiro.
Di fronte alla cruda realtà della corruzione nella vita pubblica e alla separazione tra morale e politica, don Sturzo non si rifugia in sacrestia, non considera la politica tout court una “cosa sporca”, non ha paura di frequentare le strade, le piazze, i municipi e i ministeri, ma si impegna, rischiando di persona, per dare speranza al popolo umiliato e offeso attraverso una profonda riforma morale fondata sull”educazione delle nuove generazioni ai principi cristiani della giustizia e dell”amore.
Sia la politica che l”economia per Sturzo sono intrinsecamente sociali, perciò razionali e morali.
Il fine della politica consiste nel bene comune, che per essere a vantaggio di tutti non può prescindere dal bene morale.
Sturzo afferma l”assolutezza dei valori morali ma insiste anche sulla impoliticità della immoralità politica. Per lui l”economia e la politica, senza morale, sono sempre antieconomiche ed impolitiche.
Per Sturzo non esiste il dilemma fra l”utile e il bene, perchè quando l”utile è veramente l”utile di tutti, esso coincide con il bene di tutti, cioè con il bene comune.
Nella concezione cristiana vanno coniugati insieme autorità e libertà, giustizia e carità, anzi la carità diviene il cardine della vita morale e quindi anche della vita politica.
Luigi Sturzo sentì come una sua missione quella di introdurre la carità nella vita pubblica nella convinzione che la carità cristiana non può ridursi solo alla beneficenza o all”assistenza ma deve essere l”anima della riforma della moderna società democratica nella quale le persone sono chiamate a partecipare responsabilmente alla vita sociale per realizzare il bene comune.
I principali punti cardini dell”antropologia sociale sturziana sono il primato della persona sulla società, della società sullo Stato e della morale sulla politica, la centralità della famiglia, la difesa della proprietà con la sua funzione sociale come esigenza di libertà, l”importanza del lavoro come diritto e dovere di ogni uomo, la costruzione di una pace giusta attraverso la creazione di una vera comunità internazionale.
Voglio riportare qui, di seguito, alcuni pensieri di don Sturzo. Penso proprio che sono attualissimi:
– “Non è di tutti saper fare della politica, ma di coloro che ne sono dotati. Come ogni arte anche la politica ha i suoi grandi artefici e i suoi artigiani; naturalmente vi saranno anche dei mestieranti; il pubblico sceglie i suoi beniamini anche fra i mestieranti”.
– “È primo canone dell”arte politica essere franco e fuggire l”infingimento; promettere poco e mantenere quel che si è promesso”.
– “Si crede che la menzogna sia un obbligo in politica; non è così. La menzogna viene sempre a galla; a parte la sua natura immorale, ritorna più a danno che ad utile”.
– “È più facile dal no arrivare al sì, che dal sì retrocedere al no. Saggio consiglio è non impegnarsi senza avere riflettuto a tempo ed avere formata la convinzione di poter mantenere l”impegno preso”.
– “Non ti circondare di adulatori. L”adulazione fa male all”anima, eccita la vanità e altera la visione della realtà. Rigetta fin dal primo momento che sei al potere ogni proposta che tenda alla inosservanza della legge per presunto vantaggio politico”.
– “È meglio tenere lontano i parenti dalla sfera degli affari statali; anche senza volerlo compromettono sempre. Se poi entrano nella sfera dei collaboratori facilmente abusano della parentela. Il nepotismo è sempre dannoso”.
– “Chi è troppo attaccato al denaro non faccia l”uomo politico nè aspìri a posti di governo. L”amore del denaro lo condurrà a mancare gravemente ai propri doveri”.
– “Fare ogni sera l”esame di coscienza è buon sistema anche per l”uomo politico”.
Mi fermo qui. Ne abbiamo di materiale per poter tutti riflettere. Particolarmente i candidati alla prossima tornata elettorale hanno il dovere morale di meditare seriamente. È in gioco il bene comune, che è “di tutti e di ciascuno”.
Buona settimana a tutti.

