SOSTENIAMO IL PROGETTO CHANCE

Il progetto pedagogico è a rischio a causa dei tagli operati dal Ministero. Negli anni, “Chance” ha recuperato alla vita civile tanti giovani destinati all”emarginazione.

Si è conclusa il 31 Ottobre scorso, presso il Cinema Modernissimo di Napoli, la prima fase della Maratona di Letture “Fuori le voci”, finalizzata a sostenere la rinascita del progetto Chance e la salvaguardia delle caratteristiche che ne hanno fatto un progetto pedagogico di punta.
Nel corso di una intensa settimana di riflessione, attraverso testimonianze dirette ed indirette, dalla voce di giovani adolescenti , di docenti, esperti, pedagogisti, cittadini, educatori, artisti, nella sala Videodrome, si sono susseguite le “voci” di un variegato stuolo di sostenitori del Progetto Chance che, con argomenti modalitĂ  , toni e lessico spesso fortemente differenziati hanno costituito un unisono coro.

Anch”io ho voluto offrire il mio piccolo contributo di lettore facendomi portavoce di un augurale “divenire” del Progetto attraverso una significativa pagina del libro “Diario di scuola” di Daniel Pennac, che infiniti spunti ci offre sul tema delle iniziative educative che conducano al successo e al benessere dell”educando/ formando.
Pennac racconta l”esperienza dello “studente somaro”, sul cui capo pesano l”ignoranza, il sentirsi non all”altezza, i fallimenti scolastici più clamorosi. A cambiare il suo status l”incontro con alcuni insegnanti innamorati della propria materia a tal punto da spingere gli alunni quasi ad uno spirito di emulazione.

Ma quanti questo incontro non lo fanno? Quanti dopo aver sperimentato di non “essere portati per la scuola” accrescono la “passione del fallimento”, o ancor peggio la “vocazione alla delinquenza”, vista come “l”investimento segreto nella furbizia di tutte le facoltĂ  dell”intelligenza”.

Il progetto Chance, per 12 anni, ha tentato di far sì che questo incontro si realizzasse recuperando alla vita civile dei giovani che, a partire dal mancato sviluppo delle competenze di base fornite dalla scuola, avevano un destino di emarginazione. Lo ha fatto mettendosi in gioco, sperimentando metodologie che hanno avuto una forte convalida dalla comunitĂ  scientifica e dall”opinione pubblica. Ciononostante per questo anno scolastico in corso il MIUR ha deciso di sottrarre la risorsa docenti a questo progetto e la Regione Campania sta provvedendo a sostituire queste risorse con i propri mezzi.

Il timore di questa evoluzione è stata espressa in questi giorni dagli operatori tutti del progetto che sono molto preoccupati di un possibile, per quanto involontario, snaturamento del progetto. Lo scorso 16 Ottobre, presso il Polisportiva Partenope, ai Cavalli di Bronzo di piazza Municipio, circa 150 ragazzi Chance hanno offerto una testimonianza viva delle attivitĂ  che il Progetto svolge attraverso numerosissime prove d”opera descritte dai protagonisti stessi , dagli educatori e dai docenti in una vivace e stimolante giornata di sport e arte che ha offerto la possibilitĂ  illustrare cosa significa “insegnare e imparare in territori difficili”.

Questa manifestazione, insieme all” impegno profuso dal gruppoufuorilevoci@googlegroups.com, ha costituito l”occasione per richiamare l”attenzione delle autoritĂ  su una metodologia, tuttora poco riconosciuta.
Le rappresentanze istituzionali, presenti ai lavori della Tavola Rotonda sulle evoluzioni del Progetto Chance, hanno assunto confortanti impegni riguardo alle risorse finanziarie e professionali necessarie: fin dall”inizio di quest” anno scolastico sei docenti sono stati distaccati presso la Regione per sostenere lo sviluppo delle nuove equipe.

La strada si presenta complessa, i timori e le perplessitĂ  sono tante, ma Chance di percorsi difficili ne ha incontrati e si spera che possa uscire da questa esperienza rafforzato e vincente.
(Fonte foto: maestridistrada.blogspot.com)

CHANCE. I PERCHÉ DI UN PROGETTO IMPORTANTE

PILLOLE DI STORIA. I FAVOLOSI ANNI “60

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Nonostante le mille contraddizioni, l”Italia cresce, aumentano il reddito e i consumi. Tra il 1960 e il 1969 viene inaugurata una stagione di riforme fenomenali.
Di Ciro Raia
Nel paese, che è cresciuto troppo in fretta e in modo non armonico, si manifestano le prime difficoltĂ . Molte zone del centro sud nemmeno sono sfiorate dal boom economico; gli organi statali non sono in grado di far fronte ai compiti richiesti.
L”intesa politica tra le forze cattoliche e quelle socialiste (i comunisticontinuano ad essere tenuti lontani per la loro “diversitĂ ” politica) inaugura una stagione di riforme. Nel 1962 sono varate la nazionalizzazione dell”energia elettrica, la riforma della scuola dell”obbligo e la nascita della scuola media unificata. Tutti i cittadini sono tenuti a frequentare la scuola sino al compimento del 14° anno d”etĂ ; il corso di studi è uguale per tutti, in quanto sono eliminate le classi differenziali e quelle d”avviamento professionale. Agli alunni delle elementari, poi, sono distribuiti gratuitamente i libri di testo. Nel pacchetto riformatore è inserita anche una norma che riduce la censura sulle opere teatrali.
Nel 1963 è istituito l”assegno di studio universitario, che garantisce l”accesso agli atenei agli appartenenti alle classi meno abbienti.
Qualche anno dopo, nel 1966, è approvata, invece, la legge sulla giusta causa per i licenziamenti. La nuova norma prevede che le aziende con più di 35 dipendenti non possano licenziare se non con giustificato motivo, previo avviso (sessanta giorni prima) al lavoratore. Ma la novitĂ  più importante risiede nel fatto che nessun lavoratore rischia più di perdere il posto per motivi politici, sindacali o religiosi.Precedentemente era stato riconosciuto il divieto di licenziare le lavoratrici, prima e dopo il parto.
Nel 1969 è riconosciuta, quindi, la pensione sociale agli ultrasessantacinquenni sprovvisti di reddito. Una crescita abnorme, però, si ha nel riconoscimento delle pensioni per invaliditĂ .
Il miglioramento economico dei lavoratori e l”incremento del reddito netto di ogni cittadino (£.535.300 nel 1962, £.584.800 nel 1965, £.692.500 nel 1968) consentono, ovviamente, un aumento dei consumi. A metĂ  degli anni “60 crescono in numero vertiginoso i proprietari delle auto e degli apparecchi televisivi: cinque milioni le auto nel 1965, 6 milioni nel 1966 e 7 nel 1967. Gli apparecchi televisivi, invece, sono in numero di 6.855.298 nel 1966, 7.685.959 nel 1967 e ben 8.346.641 nel 1968. L”apparecchio televisivo, spesso pagato con rate superiori a quelle di un”abitazione, rivoluziona i costumi culturali, perchè entra in tutte le case, anche le più povere.
Nel 1961 la televisione dĂ  l”avvio alle trasmissioni anche del 2° programma e, nel 1969, riesce a coprire il 90% del territorio nazionale. Contemporaneamente, poi, i programmi televisivi cominciano ad abbracciare anche fasce non rigidamente serali: è possibile, così, seguire trasmissioni dalle 12,30 alle 14 insieme ad un nuovo telegiornale, che rende immediatamente percepibili gli avvenimenti quotidiani. Tutti gli italiani possono vivere, così, in diretta l”alluvione di Firenze (3 novembre 1966) e la discesa del primo uomo sulla luna (21 luglio 1969).
La televisione consente anche una maggiore comprensione degli avvenimenti politici. È del 1960, infatti, l”avvio di Tribuna elettorale (foto), il programma che permette ai telespettatori di avere un contatto ravvicinato con i maggiori esponenti dei partiti politici italiani. Tra i conduttori delle Tribune elettorali diventano famosissimi i nomi di Jader Jacobelli e Ugo Zatterin.
Molto seguita è anche la trasmissione –in fascia preserale- Non è mai troppo tardi, condotta dal maestro Alberto Manzi, che impartisce delle vere e proprie lezioni “televisive”, consentendo così l”ampliamento di una iniziale alfabetizzazione per molti telespettatori analfabeti. La trasmissione di Manzi colleziona la bellezza di 484 puntate, ogni settimana, dal lunedì al venerdì, dal novembre del 1960 a tutto il 1968.
Un”altra trasmissione, Telescuola, condotta dal maestro Enrico Accattino, va in onda dal 1958 al 1966. il programma, che riesce a fare 4 milioni di ascolto giornaliero, è diretto a favorire il completamento degli studi ai ragazzi, in etĂ  dell”obbligo, residenti in localitĂ  ancora prive di scuole.
(Fonte foto: Rai, RadioTelevisione Italiana)

COL CAOS CHE C’É IN GIRO NON CI RESTA CHE SOGNARE!

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I disservizi, il mal funzionamento di settori essenziali per la vita comune, come Scuola e SanitĂ , ci rendono impotenti di fronte alla realtĂ . Al punto che si è costretti a sognarla diversa da come la subiamo.

Caro Direttore,
per una volta vorrei essere più leggero, più aereo e meno terreno (o meno realista); mi piacerebbe parlare di sogni, dei tuoi sogni, dei miei sogni e di quelli delle poche persone che conosco ma che non confesserebbero mai la loro vita onirica. Gli antichi credevano che i Sogni fossero figli della Notte, fratelli della Morte e del Sonno. Omero, nell”Odissea, sosteneva, da parte sua, che i sogni fossero inspiegabili ed ambigui e che le loro porte d”accesso fossero una di corno e l”altra d”avorio.

I sogni che provenivano dalla prima porta danneggiavano soltanto; quelli provenienti dalla seconda porta, invece, si avveravano. Senza farla troppo lunga, sui sogni si sono giocati le fortune dei popoli, le sorti delle guerre e dei soldati, le premonizioni, i desideri personali, le pulsioni erotiche, anche le più inconfessabili. Dalle nostre parti, poi, l”interpretazione dei sogni ha decretato il successo del gioco del lotto e quella dei sedicenti veggenti o oniromanti. Anche mia suocera, senza troppo pretese scientifiche e senza lucro, si avventura nella lettura dei sogni e nei simboli che ne deduce: il mare è abbondanza e rinascita, il serpente è risveglio anche sessuale, il ragno è disagio, lo scorpione è appagamento, il gatto è tradimento e i denti, invece, sono amore.

Qual è il codice di traduzione dell”anziana donna? Non lo so. So solo che, una volta, sono stato spedito, fuori stagione, alla conquista di un fico nero (che nel suo dialetto ella continua a chiamare “fica nera”), il cui mancato possesso avrebbe portato (sempre secondo lei) una serie di disgrazie per la nostra famiglia.
E tu, Direttore, sogni? In bianco e nero o a colori? Io, se la cosa ti può interessare (mi suona giĂ  nelle orecchie la tua scorbutica risposta), ho smesso da tempo i sogni pruriginosi; ora sogno solo l”irreale, senza simboli terreni (ma non ne sono certo), l”impossibile, insomma, sogno (non è un gioco di parole) la pura aspirazione, il desiderio, l”utopia.

Sogno la politica come arte di governare e i politici come artisti del governo. Per cui sogno una polis, una cittĂ , un luogo, un territorio in cui la democrazia sia veramente una forma di governo esercitata dal popolo e dai suoi rappresentanti. Sogno il monte Somma-Vesuvio restituito alla sua lussureggiante natura, agli anfratti ricovero di Spartaco ma anche di innumerevoli boscaioli indigeni, senza case abusive, senza sentieri carrozzabili, senza Suv che vi scorazzano, senza la natura costretta a diventare matrigna (frane, alberi sterili, frutti avvelenati).

Sogno una scuola statale funzionante (art. 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti. L”istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” [ma la Gelmini non lo sa!]), una universitĂ  senza baronie (carriere precluse agli studenti senza quarti di nobiltĂ  “accademica”; percorso di studi più brillante se condito, talvolta, da affettuosa disponibilitĂ  a donarsi. Per non parlare dei test d”ingresso a medicina: tutti dicono che per superarli bisogna essere o raccomandati o ricchi, ma nessuno denuncia veramente il presunto reato);

un servizio sanitario non ammalato (andateci in una delle nostre aziende sanitarie: se non vi affidate ad un usciere con i galloni di dirigente, se non vi garantite un”appartenenza politica, se non vi dichiarate –con prove provate- “clientes”, inutile sperare nel disbrigo di una pratica di invaliditĂ , in un”assistenza che vi spetta e, forse, sin”anche nel rinnovo della patente!).

Sogno l”eguaglianza sociale (Art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignitĂ  sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”), il rispetto delle minoranze (etniche, linguistiche, religiose. Gli extracomunitari trattati come uomini e non come individui da compiangere o da biasimare), sogno le pari opportunitĂ  (quante sono le donne veramente inserite nei gangli della societĂ ? E cosa hanno dovuto pagare [rinunzie, ricatti, maldicenze, sevizie psicologiche], per arrivare, quando ci sono riuscite, dove sono arrivate?). E, poi, non so quante altre cose sogno!

“Sbucarono dei soldati che lo circondarono ridendo. Erano vestiti di bruno ed avevano tricorni sulla testa. In una mano tenevano il fucile e nell”altra una bottiglia di vino. Il loro capo era un nano mostruoso, con una testa piena di bitorzoli. Tu sei un traditore, disse il nano, e noi siamo i tuoi carnefici. Federico Garcìa Lorca gli sputò in faccia mentre i soldati lo tenevano fermo: poi, sentì un colpo e sobbalzò nel letto. Stavano picchiando alla porta della sua casa di Granada con il calcio dei fucili”. (Sogno di Federico Garcìa Lorca poeta e antifascista, in Antonio Tabucchi, “Sogni di sogni”, Sellerio, 1992).

Direttore, è fantastico avere la capacitĂ  di sognare ed è ancora più fantastico sperare e cercare di tradurre i sogni in realtĂ . Io sogno sempre, a volte con intensitĂ  inaudita, e mi capita come in quel verso di De Andrè, “Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso”, (Fiume Sand Creek).
Cosa augurarti, Direttore? Mantieni intatta, anche tu, la capacitĂ  e la voglia di sognare. Almeno quella!
(Fonte foto: Rete Internet)

PERCHÉ I GENITORI URLANO AI FIGLI?

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Questa settimana, la rubrica di Silvano Forcillo, si occupa della difficoltĂ  di interagire con gli altri, e del perchè prevalgono rapporti rabbiosi e distruttivi, anche nella relazione con i figli.

Rispondo ponendomi la domanda, da un altro punto di vista: “:perchè le persone che si amano, per esempio due innamorati, non urlano, ma parlano soavemente, o sussurrano ciò che desiderano dirsi e, in molti casi, non hanno neanche bisogno di parlare, o sussurrare, ma semplicemente guardarsi negli occhi”?

Le persone che amano o che vivono, secondo il proprio modo di sentire e che si fanno guidare unicamente dal “cuore” non urlano, perchè non sono schiave dei fatti, delle situazioni, degli avvenimenti, dei problemi, o degli altri, nè ritengono che tutte queste cose siano più importanti di se stessi, della propria vita, dei propri affetti e delle proprie potenzialitĂ . Le persone che scelgono di essere in contatto, con il proprio mondo interiore, con i propri sentimenti e le proprie emozioni non sperimentano gli effetti deleteri e devastanti della “rabbia” e sapranno facilmente vincere il bisogno irrefrenabile di doverla scaricare sugli altri per liberarsene.

Tutti sanno che si grida contro un”altra persona quando si è arrabbiati, perchè quando si è arrabbiati, si è lontano dal proprio cuore e dal “cuore dell”altro”. Lontano dal cuore si è vicino solo alla propria mente e alla “mente dell”altro” e i rapporti e le relazioni del tipo “mente-mente”, sono rapporti superficiali, rabbiosi e distruttivi. Per questo motivo i genitori urlano ai figli piuttosto che, parlare o condividere con loro, oggi è così, oggi fanno tutti così: i genitori parlano e urlano ai figli, i docenti parlano e urlano agli alunni, gli adulti parlano e urlano ai giovani, i preti parlano, ammoniscono e urlano ai fedeli, i politici parlano, mentono e urlano agli elettori. Tutti sono in preda al fare, all”agire, al capire, al consumare e nevroticamente gestire e controllare la propria vita e quella degli altri.

Bisogna ritornare al più presto a parlare “con gli altri” e non più “agli altri”: i genitori devono parlare con i figli, i docenti devono parlare con gli alunni, gli adulti devono parlare con i giovani, i preti devono parlare con i fedeli, i politici devono parlare con gli elettori, senza più urlare, aggredire, nè gestire, controllare o comandare. Bisogna ritornare a scuola, bisogna che, soprattutto, i genitori e i docenti ritornino a scuola per imparare di nuovo a comunicare e imparare a parlare e comunicare “con” e non più “a”.

I genitori e i docenti dovranno imparare ad acquisire imprescindibili e inderogabili competenze e abilitĂ  per potere svolgere al meglio il difficilissimo compito di educare, istruire e far crescere, nel pieno e completo sviluppo psicofisico, gli adolescenti loro affidati: rispetto, ascolto, sensibilitĂ  attenzione, interesse, congruenza ed empatia per la Persona. Non è esattamente facile interagire efficacemente con gli altri nei rapporti interpersonali rispettando il proprio sentire e le proprie emozioni, io stesso, in quanto genitore di 5 figli, 28, 25, 12, 8, 2 , mi trovo, spesso, a fare i conti con il frenetico e nevrotico ritmo che ci impone la vita odierna e che ci sbatte di fronte a tantissime preoccupazioni, a cose da pensare e da fare allontanandoci inesorabilmente dal nostro amare, sentire e comprendere.

Bisogna prestare molta più attenzione alla nostra dimensione sensibile ed interiore, occorre imparare ad ascoltare, anche la nostra rabbia, specie nei momenti difficili e, nei momenti in cui si è persa la calma. È dietro la rabbia, infatti, che si celano i nostri più profondi, veri, sinceri e personali sentimenti, che preferiamo nascondere a noi stessi e all”altro, con urla, aggressione e cattiveria. Per questo motivo l”ASPU ha voluto creare, per prima in Italia e in Europa la “Scuola di formazione permanente per Genitori”, perchè si possa diventare il “Genitore desiderato e amato dai propri figli”.

Genitore non si nasce, s”impara a diventarlo così, come s”impara a leggere, a scrivere e a fare tante altre cose, pertanto, se si vuole fare il genitore in modo efficace, sereno e positivo, si dovrĂ  andare a scuola e, soprattutto, per imparare a non urlare più, a non aggredire e avvilire la personalitĂ  e la vita dei propri figli.
(Fonte foto: Rete Internet)

PER APPROFONDIMENTI

LA RUBRICA

CLAN RUSSO. ECCO CHI STA TREMANDO DOPO GLI ARRESTI

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I Russo avevano sotto schiaffo l”intera area nolana. Controllavano non solo le attivitĂ  economiche ma soprattutto le amministrazioni comunali. Ora, sono molte le persone che staranno tremando.
Di Amato Lamberti

L”arresto di Salvatore e Pasquale Russo ha segnato una importante vittoria dello Stato contro il potere di una organizzazione criminale che era stata capace di mettere sotto controllo malavitoso un intero territorio. Ad essere controllate dal clan Russo non erano soltanto le attivitĂ  economiche ma soprattutto le amministrazioni comunali dell”intera area nolana e con esse tutte le opportunitĂ  di vita e le speranze di futuro dei cittadini.

In pratica chi voleva fare impresa non solo doveva soggiacere alle richieste estorsive del clan ma si doveva in qualche modo associare per partecipare alla spartizione degli appalti pubblici egemonizzati dal clan attraverso il controllo di amministratori, dirigenti, funzionari di Comuni ed Enti pubblici. Una fittissima ragnatela di complicitĂ  e di collusioni da anni è stesa sul territorio nolano e comprende politici, amministratori, imprenditori, rappresentanti dello Stato, liberi professionisti, oltre a dirigenti e impiegati pubblici. In alcuni Comuni, come ho più volte scritto, non si muoveva foglia senza il benestare e la partecipazione del clan criminale dei Russo.

Anche quando il potere criminale sembrava tutto nelle mani di Carmine Alfieri, i Russo avevano una autonomia che permetteva enormi accumulazioni di denaro perchè si giocava sull”acquisto di terreni e su rapidissime varianti urbanistiche che trasformavano terreni agricoli in aree edificabili. Compravano a dieci terreni incolti e rivendevano a dieci milioni appartamenti e palazzi di cinque-sette piani, senza neppure farsi carico degli oneri di urbanizzazione, tanto a sanare le situazioni provvedevano politici e amministratori interessati e compiacenti. Oggi, dopo gli arresti di Salvatore e Pasquale Russo, sono molte le persone che staranno tremando avendo perso la copertura che garantiva incolumitĂ  alle loro malefatte amministrative e gestionali.

L”azione della magistratura non dovrebbe infatti fermarsi all”arresto dei capi di uno dei clan più pericolosi perchè profondamente innervato nell”economia e nella politica del circondario nolano. Dopo gli arresti si dovrebbe passare al recupero dei beni accumulati con l”attivitĂ  criminale e al portare alla luce la ragnatela di collusioni e compartecipazioni che ha divorato gli appalti pubblici ma anche tutte le opportunitĂ  che passano attraverso le pubbliche amministrazioni, dai Comuni, alle ASL, agli ospedali, fino agli Enti, alle Agenzie territoriali e alle cliniche private.

GiĂ  beni per 300 milioni di euro sono stati confiscati ai Russo, ma il patrimonio accumulato, come ben sanno i cittadini del nolano, è molto più ingente perchè è fatto anche di imprese, societĂ , cooperative, in compartecipazione con altri soggetti che hanno costruito le loro fortune grazie al sostegno politico e amministrativo del clan criminale. Ma i Russo non avrebbero mai potuto realizzare una tale signoria criminale sul territorio senza un adeguato sostegno politico a livello locale, provinciale, regionale e nazionale. Questi “perversi legami” vanno portati finalmente alla luce se si vogliono realmente sconfiggere i poteri criminali che strozzano il presente e il futuro delle comunitĂ  nolane.

Non lo si è fatto dopo l”arresto di Carmine Alfieri, consentendo ai gruppi criminali che agivano sotto il suo controllo di diventare clan autonomi con ancora maggiore potere di penetrazione e di condizionamento; non vorremmo cha anche questa volta ci si accontentasse della vittoria in una battaglia e si perdesse la guerra contro la camorra perchè non si è puntato sulla disarticolazione della rete di collegamenti che ne assicurava forza e potere.

Senza collegamenti con la politica, con le pubbliche amministrazioni, con il mondo imprenditoriale, con le istituzioni, con i poteri finanziari, la camorra non ha nessun potere: è ridotta ad una associazione di malfattori, come si diceva una volta, capace di commettere reati ma non di controllare e governare un territorio. La nostra speranza è che la politica non fermi ancora una volta l”avvio di quella guerra di liberazione del territorio dalla camorra che i cittadini “onesti” aspettano da sempre.
(Fonte foto: www.repubblica.it)

CITTÁ AL SETACCIO

ARTICOLO CORRELATO

L’IMPORTANZA DEGLI IMMIGRATI

L”immigrazione oggi: il punto di vista del mondo ecclesiale. Riflessioni a margine dopo la presentazione del Dossier “Migrazioni e Migrantes” da parte della Cei.
Di Don Aniello Tortora

È stato presentato a Roma dalla Commissione Episcopale Migrazioni e Migrantes della CEI (Chiesa italiana) il Dossier Statistico Immigrazione 2009. Mons. Bruno Schettino, Presidente della Commissione Episcopale Migrazioni e Migrantes ha svolto una bellissima riflessione cui mi riferisco per il contributo di questa settimana.
La presentazione del Dossier è stata l”occasione per fare il punto sulla posizione della Chiesa cattolica italiana sul fenomeno migratorio.

Il Concilio Vaticano II insegna che, specialmente sulle grandi questioni, la chiesa nel suo complesso deve restare in ascolto della societĂ , delle sue preoccupazioni e delle sue aspettative, cercando di costruire insieme a tutte le persone di buona volontĂ  una convivenza più solidale. È proprio in forza di questa capacitĂ  di ascolto che alla chiesa viene riservato un grande credito, anche sul tema dell”immigrazione.

Bisogna prendere atto dell”immigrazione come nuovo segno della societĂ .
Il rapporto si presenta come un osservatorio che considera sua funzione essenziale quella di pubblicare e commentare le statistiche sull”immigrazione, mettendole a disposizione dell”intera societĂ .
Sappiamo tutti che la conoscenza è un prerequisito essenziale dell”azione. A questa esigenza risponde l”impegno per la raccolta dei dati sull”immigrazione. È, infatti, convinzione della chiesa che gli interventi in materia migratoria vadano preparati con una serena riflessione sulle statistiche, confrontandosi cioè da vicino con la realtĂ  e cercando di riflettere su di essa, mentre una diversa impostazione sarebbe di grave pregiudizio alla crescita dei cittadini, dei politici e dell”intera societĂ .

Dai dati statistici risulta chiaro che l”immigrazione è una dimensione strutturale della societĂ  italiana. Nel recente passato le cose non stavano affatto così e l”Italia era un paese di emigrati all”estero. La presenza all”estero è rimasta, ma nel frattempo siamo diventati anche un grande paese di immigrazione e le due popolazioni pressochè si equivalgono: 4 milioni di cittadini italiani all”estero e 4 milioni di cittadini stranieri in Italia. Nel 1970 vi era un cittadino straniero ogni 400 residenti, nel 1990 uno ogni 100.
Oggi è di origine straniera 1 ogni 14 abitanti e nel 2050 secondo le previsioni dell”Istat lo sarĂ  1 ogni 6 abitanti. Questa forte progressione non può non colpire.

I flussi in entrata stanno diventando più consistenti di quelli in uscita dall”Italia dopo la seconda guerra mondiale, quando in centinaia di migliaia ogni anno ci trasferivamo all”estero. Attualmente non c”è altro paese al mondo, se non la Spagna, che stia sperimentando un ritmo di crescita così elevato della popolazione immigrata.
Tutti gli indicatori statistici sono concordi nel presentare il futuro dell”Italia come sempre più caratterizzato dall”immigrazione. Questo fenomeno sociale non è passeggero, come certe prese di posizione farebbero pensare, ma al contrario è contrassegnato da caratteri di stabilitĂ  sempre più marcati.

Il Dossier si sofferma ripetutamente su questi aspetti come, ad esempio, l”equilibrio tra i due sessi, la prevalenza del carattere familiare dell”insediamento, l”aumento dei figli degli immigrati e la loro rilevante presenza nelle scuole, la consistente crescita di quanti sono nati in Italia (le seconde generazioni superano giĂ  il mezzo milione di unitĂ ), l”incidenza crescente nel mondo del lavoro, la fortissima presenza delle collaboratrici familiari nelle nostre famiglie, il radicamento nella societĂ  attestato dall”acquisto delle case, e, per farla breve, dal desiderio di partecipazione a livello culturale e sociale.
Possiamo concludere questo primo punto, dicendo a ragione che l”immigrazione è un aspetto rilevante della societĂ  italiana di oggi.

Capire le ragioni della crescita dell”immigrazione.
Siamo, allora, tutti, chiamati a giudicare questa realtĂ  di fatto, a pronunciarci sul suo aspetto qualitativo. Non sono pochi i cittadini, e anche i fedeli, che in buona fede inquadrano l”immigrazione come un fattore che ha contribuito a peggiorare l”andamento dell”Italia. Cito alcuni degli addebiti negativi più ricorrenti sollevati nei confronti degli stranieri: non condividono i valori del nostro passato storico-culturale-religioso, non mostrano interesse a integrarsi, pregiudicano la stabilitĂ  della nostra occupazione, con la loro delinquenza e il loro modo di comportarsi rendono le nostre cittĂ  più insicure, pretendono solo la concessione di sempre nuovi diritti senza volersi fare carico dei doveri. La lista potrebbe continuare, ma tanto basta per fare qualche precisazione.

Se una realtĂ  produce in prevalenza effetti negativi e si può evitare, penso che tutti possiamo concordare sul dovere di rimuoverla dalla societĂ  o, quanto meno, di ridimensionarne la portata. Le cose però non stanno così. Parlando di immigrazione prevalgono, infatti, di gran lunga i benefici che essa arreca sugli inconvenienti che comporta. Inoltre, non si tratta di un fenomeno eliminabile a piacere, anche perchè la presenza immigrata è funzionale allo sviluppo del Paese, essendo un puntello al nostro malandato andamento demografico e alle carenze del mercato occupazionale.
Dagli anni “90 l”Italia sta registrando un andamento demografico negativo, in quanto il numero dei decessi supera quelli dei nuovi nati. La popolazione italiana diminuirĂ  con un ritmo accentuato, ma fortunatamente questo impatto negativo è temperato dalla popolazione immigrata, che è più giovane e ha un tasso di natalitĂ  più elevato.

Un ragionamento analogo va fatto per la necessitĂ  di forza lavoro aggiuntiva. Un”esigenza che spiega perchè i lavoratori immigrati abbiano raggiunto la quota di due milioni, concentrandosi specialmente in alcuni settori, come quello della collaborazione familiare, dell”edilizia o dell”agricoltura.
Queste stesse ragioni spiegano perchè gli immigrati, che attualmente sono 4 milioni, saranno 6 milioni nel 2017, pari al 10% della popolazione residente, e nel 2050 diventeranno 12,3 milioni, pari al 18% dei residenti secondo le previsioni dell”Istat.
In un contesto così caratterizzato bisogna fare di necessitĂ  virtù, non perchè lo dice la chiesa o si debba essere buonisti per forza, ma per essere realisti, capire il senso della storia e le esigenze del Paese.

In un mondo globalizzato, che avvicina tutte le aree del mondo, le migrazioni sono quei vasi comunicanti che permettono di effettuare uno scambio fruttuoso, a nostro beneficio sotto l”aspetto demografico e internazionale, a beneficio dei Paesi di origine per quanto riguarda le speranze di sviluppo. Rispetto ai grandi temi irrisolti dalla politica internazionale, quali sviluppo disuguale, la povertĂ , la divisione equa della ricchezza, gli immigrati sono un fattore equilibratore, una delle non molte ragioni di speranza.

Questo non vuol dire che il fenomeno migratorio non ponga anche dei problemi, cosa assolutamente impossibile anche in considerazione delle rilevanti dimensioni assunte dai flussi migratori; tra l”altro, i problemi dei quali spesso ci lamentiamo, sono in buona parte favoriti dalle nostre carenti politiche di integrazione. Se ci sforziamo con il Dossier di procedere a un calcolo del dare e dell”avere, il vantaggio per l”Italia è innegabile e rafforza la convinzione che, se gli attuali immigrati venissero a mancare e cessassero i flussi, si assisterebbe a un vero e proprio disastro.

Senza un “pacchetto integrazione” non c”è una vera politica migratoria.
Da più di un anno sentiamo parlare del “pacchetto sicurezza” che, con la sua insistenza, ha rafforzato il malinteso che sia fondato equiparare gli immigrati ai delinquenti. Poco, invece, si è sentito parlare del “pacchetto integrazione”, di un”impostazione più equilibrata che non trascura gli aspetti relativi alla sicurezza ma li contempera con la necessitĂ  di considerare gli immigrati come nuovi cittadini portandoli a e essere soggetti attivi e partecipi nella societĂ  che li ha accolti. La Chiesa, con toni meditati ma fermi e ripetuti, ha avuto modo di sottolineare che senza integrazione non c”è politica migratoria. La vera sicurezza nasce dall”integrazione.
Su questa impostazione ha influito l”esperienza maturata dalla Chiesa italiana in un secolo e mezzo di servizio agli emigrati italiani all”estero, quando essi rischiavano di essere considerati unicamente come braccia da lavoro.

Ancor più alla radice, su questa impostazione ha influito la concezione del migrante come persona portatrice di diritti fondamentali inalienabili, concezione collegata direttamente con la fede in Dio Padre di tutti. Le decisioni politiche trovano un limite nel rispetto della dignitĂ  delle persone.
È sulla base di queste motivazioni che l”eccessiva enfasi posta sul “pacchetto sicurezza” ha visto perplessa e contrariata la comunitĂ  ecclesiale. È eccessiva la sperequazione tra l”interesse a difenderci da eventuali problemi connessi con l”immigrazione e il dovere di accoglierla. Molto opportunamente il Dossier di quest”anno, ridimensionando l”allarme criminalitĂ , sottolinea che il clichè dell”immigrato-delinquente non trova riscontro nei dati statistici e che inizia a vacillare anche il clichè “italiani brava gente” a seguito dei ricorrenti atti di razzismo e intolleranza nei confronti degli immigrati.

Con serenitĂ , possiamo affermare che bisogna cambiare e favorire condizioni di vita più serene per noi stessi e per gli immigrati. A questo fine dobbiamo impegnarci per raggiungere una maggiore funzionalitĂ  della pubblica amministrazione negli adempimenti che regolano la vita degli immigrati. Dobbiamo favorire un loro inserimento nella societĂ , che certamente comporta da parte degli immigrati l”osservanza dei doveri di cittadini ma anche, da parte nostra, una loro maggiore accettazione a tutti i livelli: di inserimento lavorativo (come si è fatto con l”ultima regolarizzazione), di cittadinanza (come è stato fatto con una recente proposta di legge), religioso (evitando che Dio venga invocato per contrapporci gli uni gli altri), politico (con maggiori aperture a livello di voto amministrativo).

Dobbiamo, allora, abituarci a inquadrare con maggiore equilibrio il fenomeno delle migrazioni, accettandone la necessità. Cerchiamo di essere vicini agli immigrati, aiutandoli concretamente a conciliare le loro differenze – religiose, socio-culturali, linguistiche – con il nostro sistema normativo. Preveniamo gli inconvenienti, che non mancano, ma apprezziamo anche il loro apporto per la crescita del Paese.

Raccogliamo la sollecitazione del Papa a impegnarci “in prima persona”, con la condivisione dei bisogni e delle sofferenze degli altri, e spingiamo anche i politici in questa direzione, perchè solo così la societĂ  italiana ne uscirĂ  rafforzata. Lungo le vie del futuro, non servono tanto i divieti quanto la condivisone di obiettivi comuni.
Don Tonino Bello ha sempre sognato –e noi insieme con lui, oggi più che mai– che nel mondo si realizzasse la “convivialitĂ  delle differenze”.
(Fonte foto: Rete Internet)

L’AGIO, IL DIS-AGIO E LA SCRITTURA

Abbiamo giĂ  scritto che l”adolescente che scrive (soprattutto di sè) opera delle scelte. Quest”oggi, facendo riferimento ad un film americano, possiamo aggiungere che l”uso della parola scritta aiuta a superare il disagio di vivere…

La scrittura, pur costituendo un prodotto a noi esterno, produce qualcosa che, prima di esistere, giĂ  ci appartiene. Essa, infatti, ferma pensieri che, se affidati alla sola oralitĂ , andrebbero perduti, e costituisce, pertanto, la produzione di idee e di immagini recuperate dallo spazio della parola.
Attraverso una pagina di diario, un”autobiografia sviluppiamo l”arte del nostro pensiero, vivendo la scrittura stessa in una sorta di funzione maieutica che crea luoghi di risposta creativa al nostro mondo interiore.

Se tutto ciò è vero per il mondo degli adulti, tanto più è significativo per l”adolescente che ha la possibilitĂ  di sperimentare nell”esperienza dello “scrivere”, l”opportunitĂ  di uno scambio non conflittuale con il suo dis-agio.
Egli può, così, sperimentare una condizione favorevole, scrivendo, magari, in prima persona, implicandosi, esprimendosi al punto da realizzare una sintonia fra esperienza e rappresentazione scritta che produce “agio”.

Scrivere di sè diviene così scrivere per sè, per il proprio benessere e tale esercizio al contempo comporta nel nostro giovane, un” occasione di esperienza espressiva con conseguente arricchimento personale.
Numerose esperienze ci insegnano che la scrittura crea condizioni e opportunitĂ  di maturazione di abilitĂ , competenze ed attitudini civili e cultural: impossibile non fare riferimento a “Freedom writers”, un film del 2007 diretto da Richard LaGravenese, tratto dal libro “The Freedom Writers Diary: How a Teacher and 150 Teens Used Writing to Change Themselves and the World Around Them”, che racconta la storia vera dell’insegnante , la signora Gruwell e della sua classe di studenti problematici di un liceo californiano (nella foto un fotogramma del film).

I protagonisti di questa storia si definirono così, ispirandosi ai “Freedom Riders”, gli attivisti per i diritti civili che nel 1961 percorsero il Sud degli Stati Uniti per protestare contro la segregazione razziale. I giovani californiani infatti, sotto la guida della loro insegnante, imparano ad usare la “parola” come strumento di “liberazione”: alcuni di loro riusciranno a diplomarsi e diversi di loro riusciranno anche ad andare al college e tutti in qualche modo riusciranno ad usare la parola scritta per operare il faticoso passaggio dal dis-agio all”agio del vivere e affrontare la propria esistenza in tutta la sua complessitĂ .

OSSERVATORIO ADOLESCENTI

LINGUAGGIO GLOBALE (O TORRE DI BABELE)

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La rubrica “Lingua in Laboratorio”, anche oggi è animata dal dialogo dei suoi soliti personaggi. Stavolta, sotto la lente troviamo l”invasione dei termini stranieri nella nostra lingua.
Di Giovanni Ariola

Sono appena usciti dal nostro Laboratorio, al quale giungono dai locali dell”attigua biblioteca persistenti i rumori del martello pneumatico e di altre attrezzature dei muratori che procedono alacremente (!?) alla ristrutturazione programmata, il prof. Geremia Fantasia e il giovane professore Piermario Z.

Intelligenza inquieta ed appassionata quest”ultimo, tanto quanto quieta, moderatamente riformatrice e vagamente sognatrice quella dell”altro, non sopporta l”immobilismo e s”accende di sdegno ogni qualvolta viene in contatto con persone che difendono situazioni mummificate o con eventi che impediscono un mutamento innovativo e, secondo lui, migliorativo.
Il prof. Fantasia ha da tempo esercitato con lui il suo talento inventivo nell”arte nomignolesca, soprannominandolo “il rivoluzionario”, ma ora, dopo l”ennesimo alterco, durante il quale il giovane prorompe in affermazioni di radicalitĂ  inaudita, lo ribattezza “l”incendiario”.

– Non si può – era stata l”ultima frase del prof. Fantasia – accettare una invasione così sfacciata e prepotente di parole straniere nella nostra lingua:
– Il vostro strepito di puristi parrucconi – aveva subito ribattuto il professorino, diventando rosso come un peperone e accennando un passo quasi di danza nervosa – non fermerĂ  lo scorrere ineluttabile del presente nel futuro:.bisogna azzerare, azzerare quanto più è possibile, per lasciare che il nuovo trovi campo libero e si affermi:
Le loro voci avevano poi accompagnato i loro proprietari che erano usciti e si erano allontanati.
– Sono d”accordo con Geremia – disse amaro il prof. Eligio, quasi parlasse a se stesso – non posso non essere preoccupato:bisogna assolutamente opporre una qualche resistenza al processo di cambiamento selvaggio, sconsiderato che sta subendo la nostra lingua:

– E tuttavia si può fare ben poco contro questa corrente continua, inarrestabile:- ribatte pensoso il prof. Carlo – Si tratta di un fenomeno che interessa tutto il pianeta e che è legato alla globalizzazione. Vi sono stati più cambiamenti in questi ultimi cinquanta anni che nei secoli precedenti da Dante in poi:Dovresti ricordare, ancora negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, venivano considerati, e noi, molto disciplinatamente e alquanto pedissequamente, considerammo sconvenienti, inopportuni e comunque da evitare, i termini stranieri. Atteggiamento che era un retaggio del periodo fascista e conseguenza del divieto di usare soprattutto vocaboli della lingua dell”odiata e “perfida Albione”:

– Che però si collegava – aggiunge e precisa il prof. Eligio – ad un filone di pensiero che come sai arriva fino all”Accademia della Crusca:
– Certo – ammette il prof. Carlo – e che dura tuttora:Ricordo ancora il mio insegnante di italiano: “attenzione ai forestierismi o, per meglio dire barbarismi (gli piaceva pronunciare questa parola e lo faceva con un tono tra il sadico e il dispregiativo): non si dice e non si scrive garage ma autorimessa, non si dice e non si scrive pullman bensì corriera, a bar è da preferire caffè, anche la parola sport è bene sostituirla con attivitĂ  fisica:
– E ora? – chiede e si chiede l”altro prof.
– GiĂ :e ora:Voglio leggerti questa lettera di una mia allieva ad una sua amica, lettera che, non so come, mi è capitata tra le mani e che io, dopo averla letta, ho ritenuto di dover fotocopiare e di conservare come documento dello stato della nostra lingua come è diventata nell”uso corrente.

Inutile dire che ho cancellato i nomi delle persone, mittente e destinataria, per rispetto della privacy :ahimè! Mi rendo conto di aver usato la parola di moda:avrei potuto dire rispetto della vita privata. Ma ecco la lettera.
“Ti comunico che il prossimo week- end andrò con il mio boy friend (fidanzato) sul Cervino, dove abbiamo prenotata una camera per tre giorni in un Bed & Breakfast. Venerdì sera salteremo sul nostro suv (Sport Utility Vehicle, fuoristrada) e via. Ne abbiamo proprio bisogno. Siamo davvero stressati. In ufficio è diventato un inferno. Ti ho parlato del mobbing (comportamenti violenti di vario genere da parte di un superiore o di un collega) a cui sono sottoposta. Per giunta sono stata vittima di uno scippo da parte di una baby gang (banda di ragazzini) Lui poverino appresso al suo capo con il suo lavoro di ghostwriter (segretario personale con il compito tra l”altro di redigere lettere discorsi per il suo superiore), costretto a correre da una cittĂ  ad un”altra in aereo o in auto: la settimana scorsa sono rimasti un”intera notte nella hall (grande sala d”ingresso), precisamente nel terminal (aeroporto) di Amsterdam, dove s”erano recati a visitare uno dei supermarket e alcuni dei negozi della catena franchising (affiliazione commerciale) di outlet (punto vendita che offre prodotti a prezzi scontati) di proprietĂ  del suo boss (capo di un”organizzazione o di un”azienda).

Per tre giorni vogliamo stare lontani da tutto questo e dalla nostra vita di tutti giorni. Soprattutto niente movida (vita notturna molto vivace e movimentata, frequente nelle grandi cittĂ ). Lontano da pub (locale pubblico, birreria), happy hour (ora dell”aperitivo) e simili. Solo footing (corsa praticata in scioltezza come attivitĂ  fisica salutare) e trekking (escursioni in luoghi solitari di montagna). A contatto con la natura. Perciò abbiamo scelto una localitĂ  poco conosciuta, non frequentata da vip (Very Important Person, persona molto importante) o esponenti della top class (la classe più alta della societĂ ). Solo gente semplice, acqua e sapone. Naturalmente gli ho vietato di portare con sè il computer e forse spegneremo i cellulari. Non vogliamo nè mandare nè ricevere telefonate, sms (da Short Message System: brevi messaggi), e-mail (messaggio inviato per posta elettronica)”.

– Per non parlare – aggiunge il prof. Eligio – di certa mania di festeggiare qualche –day (giorno) particolare sul modello del Columbus day:.tipo birthday (compleanno)..e non mancano espressioni esilaranti come vaffaday (giorno della manifestazione di protesta organizzata dal comico Beppe Grillo) o Jatevenne day:sì proprio così, hanno chiamato così il giorno di protesta contro l”occupazione di un ex convento nella zona di Materdei a Napoli da parte degli estremisti di destra “Casa Pound”.
– Non sai se devi ridere o piangere. Ci avviamo verso il linguaggio globale o verso una nuova torre di Babele?

LINGUA IN LABORATORIO

É L’ITALIA DEL BENESSERE…

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I meridionali abbandonano terre e case per il miraggio del posto certo e del salario garantito. L”Italia antifascista rifiuta l”appoggio della destra ai governi a guida DC. Moro e Nenni inaugurano gli esecutivi di centro-sinistra col PSI…
Nel 1960 il giornale francese “Combat” scrive che “l”Italia è la terza grande del Mercato Comune”, dopo la Francia e la Germania. Il giudizio è confortato anche dal Financial Times, che assegna l”Oscar della moneta alla nostra Lira. È segno che l”economia tira. I dati, infatti, parlano chiaro: nell”anno in corso si sono vendute circa 1 milione di autovetture, con un raddoppio, quasi, delle vendite rispetto all”anno precedente. E i dati del benessere si riscontrano anche nel passaggio delle auto che, ogni giorno, percorrono le corsie della nuovissima Autostrada del Sole: in meno di 6 mesi si sono contati oltre 1 milione di passaggi.
Le cittĂ  del nord, con le loro fabbriche, richiedono una numerosamanodopera (a buon mercato), che si sposta dal sud. Si rinnovano i fenomeni d”emigrazione, per andare a lavorare in fabbriche che non garantiscono le norme sulla sicurezza, non versano i contributi previdenziale ed esigono turni di lavoro massacranti. Le campagne ed i paesi del sud sono abbandonati per il miraggio di un mensile certo. Intere famiglie dei paesi meridionali si stabiliscono nelle cinte periferiche delle capitali industriali del nord. Nei primi anni della seconda metĂ  del secolo scorso ben 200.000 meridionali si trasferiscono nel triangolo industriale Genova-Milano-Torino.
In questa situazione di grande prosperitĂ  si inaugurano, a Roma, i giochi della XVII Olimpiade. La capitale accoglie 5.337 atleti, rappresentanti di 87 nazioni, oltre ai giornalisti di tutto il mondo. I giochi olimpici –come del resto ogni altra manifestazione sportiva- sono fruibili da tutti: c”è, infatti, la televisione, che porta nelle case l”immediatezza e la particolaritĂ  degli avvenimenti. Il popolo degli sportivi, ma non solo, gioisce e si commuove per le vittorie dell”etiope Abebe Bikila e della statunitense Wilma Rudolph. Ma il tripudio vero è riservato alle vittorie degli atleti di casa: Livio Berruti, Nino Benvenuti, Sante Gaiardoni, Giuseppe Beghetto, Sergio Bianchetto, Giuseppe Delfino, Francesco De Piccoli, Francesco Musso, Edoardo Mangiarotti, Raimondo d”Inzeo.
In politica la temperatura è molto “alta”. Il nuovo primo ministro, il democristiano Fernando Tambroni, che è stato eletto con i voti della DC, del MSI e di 4 monarchici, si regge su di una maggioranza molto risicata. Quando il Movimento Sociale decide di tenere il suo congresso a Genova, cittĂ  medaglia d”oro della Resistenza, sorgono le opposizioni antifasciste che non gradiscono, innanzitutto, l”appoggio del MSI al governo. Scioperi e tumulti si hanno, così, oltre che a Genova, a Roma , a Palermo ed in altre cittĂ . A Reggio Emilia, nel corso di scontri tra dimostranti e forze dell”ordine, si contano 5 morti. In Sicilia, a Licata e Catania, ci sono 6 caduti. Di fronte ad avvenimenti così drammatici la DC induce Tambroni a dimettersi; il governo è affidato di nuovo alla guida di Amintore Fanfani.
Ma il fermento politico non si esaurisce. Nel corso del XXIV congresso del PSI (1961), Pietro Nenni esclude una ripresa di collaborazione con il PCI e dice di guardare con fiducia all”esperimento delle prime giunte di centrosinistra, “un”audace tentativo di abbattere gli steccati artificiali che da un secolo dividono lavoratori socialisti e masse cattoliche”. Intanto, però, per l”elezione (6 maggio 1962) del nuovo Presidente della Repubblica, Antonio Segni, necessitano nove scrutini e 443 voti di uno schieramento di centrodestra, con il suffragio determinante del MSI e dei monarchici.
Il governo, con Fanfani costretto a dimettersi, dopo una breve esperienza guidata da Giovanni Leone, è affidato al democristiano Aldo Moro, che inaugura gli esecutivi di centrosinistra con la partecipazione del PSI. Ma l”ala massimalista dei socialisti non condivide l”orientamento governativo della segreteria ed esce dal partito, fondando il PSIUP (Partito Socialista di UnitĂ  Proletaria).
Da parte sua, invece, la Chiesa ha una nuova caratterizzazione. Il papa Giovanni XXIII ricorda ai vescovi che lo scopo della Chiesa è di mettere il Vangelo “al di sopra di tutte le opinioni e dei partiti che agitano e sconvolgono la societĂ ”. L”11 ottobre del 1962, poi, quando lo stesso papa apre il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella consapevolezza che la dottrina della Chiesa deve essere aggiornata, dice: “Nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo a un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e al di lĂ  della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di disegni superiori inattesi”.
Con l”emanazione dell”enciclica “Pacem in terris”, (11 aprile 1963) poi, papa Giovanni XXIII stabilisce due principi fondamentali: non è possibile continuare a pensare alla guerra come ad uno strumento di giustizia; bisogna abbattere le barriere ideologiche e rispettare la cultura dell”avversario.
(Fonte foto: www.lelefante.it)

MEGLIO CONFORMISTA O MINORANZA RUMOROSA?

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Via via che gli anni passano la coerenza delle proprie idee diventa un problema. Per uno che ancora crede nell”eguaglianza, solidarietĂ  e giustizia sociale, è rimasto lo spazio stretto della riserva indiana.

Caro Direttore,
ti devo confessare che non ricevo posta da alcuni anni. Nella mia cassetta per le lettere abbondano solo pubblicitĂ  commerciali (quand”è il tempo anche pubblicitĂ  elettorali, i noti santini), fatture, bollette di utenze da pagare e qualche cartolina di miei vecchi allievi. Anche sul mio indirizzo di posta elettronica arriva ben poco. Per non parlare, poi, degli sms: zero. Solo a Natale e Pasqua (di recente è di moda anche a ferragosto) degli auguri stereotipati (buone feste a te e famiglia), in quanto facente parte di qualche mailing list di amici e conoscenti generosi.

Eppure, nel fine settimana scorso ho ricevuto, tutti insieme e nello stesso giorno (sabato), ben tre sms. Il primo, a firma di un noto esponente politico della nostra zona, mi ricordava “domenica 25 ottobre partecipiamo alle primarie per un PD forte e unito. Votiamo Bersani”; il secondo, a firma di un altro noto esponente politico, mi ricordava, invece, di votare Franceschini. Il terzo sms mi è stato inviato, infine, da una mia collega di lavoro: “Bersani o Franceschini? Che dilemma!”. Erano le 18, 26 di sabato 24 ottobre. É stato, quest”ultimo, il messaggio a cui ho anche risposto, alienandomi sicuramente una vecchia amicizia: “É un dilemma da coglioni!”.

Domenica mattina, di proposito, ho fatto un giro in alcune realtĂ  territoriali a noi (vesuviani) ben note. Caro direttore, ho assistito ad una grande lezione di partecipazione politica e civile. Molti esponenti di partito (alcuni erano stati storici esponenti di partiti opposti al PD), nei loro abiti buoni della domenica, presidiavano i seggi elettorali (un modo pomposo per indicare il luogo in cui si tenevano le primarie del PD), cercando di carpire, ai pochi elettori, ancora entusiasti e liberi, un suffragio per la lista di Bersani o di Franceschini (Marino era pressochè inesistente, un fantasma).

Molte auto, poi, circolavano, senza un posto libero a bordo, trasportando elettori che, prelevati a casa propria, vi erano di nuovo riaccompagnati, dopo aver adempiuto al loro dovere! Insomma, direttore, una grande lezione di “sovranitĂ  del popolo” o, a dirla tutta, una bella lezione di forza, messa in piedi dai soliti padroni delle tessere. Pensa che i referendum, massimi strumenti di democrazia diretta, non hanno sempre riscosso tanto successo! Ti è noto, infatti, direttore, la difficile vittoria della Repubblica nel referendum istituzionale del 1946.

E ti sono altrettanto noti i risultati di alcuni referendum abrogativi, per i quali i partiti non si sono per niente impegnati, quando non si sono anche svenati, per scongiurare la partecipazione popolare e decretarne l”archiviazione con l”etichetta di “risultato non valido”. Te ne ricordo qualcuno? Disciplina della caccia, giugno 1990, un”affluenza alle urne solo del 43% degli aventi diritti. Abrogazione dell”uso dei pesticidi nell”agricoltura, giugno 1990: 43% degli aventi diritto. Abolizione dei limiti per essere ammessi al servizio civile in luogo del servizio militare, giugno 1997, 30% degli aventi diritto. Eliminazione del rimborso spese per consultazioni elettorali e referendarie, maggio 2000, 32% degli aventi diritti. Estensione del diritto al reintegro nel posto di lavoro, per i dipendenti licenziati senza giusta causa, giugno 2003, 25% degli aventi diritto. Abrogazione della possibilitĂ  per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione, giugno 2009, 23% degli aventi diritto.

Bastano? Ed in questa evidente dissipazione di risorse umane e finanziare, molte volte (purtroppo), molti esponenti di partito –anche di sinistra- hanno esortato gli elettori ad andare al mare piuttosto che alle urne!
A bocce ferme, Bersani l”ha spuntata. Ancora non è chiaro cosa potrĂ  avvenire nel futuro dei democratici. Scissioni, separazioni, correnti, ripensamenti? È ancora presto per saperlo con certezza.
Caro direttore, dopo quanto ti ho scritto, sono certo che non riceverò mai più un sms. E non arriveranno neppure le cartoline, dai luoghi di villeggiatura, da parte dei miei vecchi allievi. Molti di essi, infatti, giĂ  non mi scrivevano da tempo, perchè avevano abbracciato l”ideologia della destra in doppiopetto, quella di potere e non potevano, di sicuro, intrattenere corrispondenza con un vecchio arteriosclerotico con idee di eguaglianza, solidarietĂ , giustizia sociale e così via.

Un numero altrettanto sostanzioso di vecchi allievi aveva deciso, poi, di non scrivermi più, perchè, volendo giustificare la propria scelta di galleggiare, nella vita come nella politica, aveva fatto la scelta del partito dalla fusione fredda. Cosa, quest”ultima, che mi aveva fatto ridere fragorosamente e mi aveva allontanato, perciò, gli ultimi sodali.

E dopo quanto ti ho scritto, non mi invierĂ  alcun sms nemmeno la mia collega di lavoro, quella che veste solo con abiti firmati (è il diavolo che veste Prada?), frequenta costosi ristoranti e beve solo vino d”annata, fa più di un periodo di vacanza in luoghi rigorosamente esotici, prova fastidio per gli extracomunitari, crede in una scuola di base fortemente selettiva, non disdegna raccomandazioni pur di raggiungere i suoi traguardi, è sensibile al fascino del potere (dovunque vale la massima che “”o cummanĂ  è meglio do” fottere!”). Però ha il dilemma di chi scegliere tra Bersani e Franceschini. E Marino? Ma, dai, quello aveva giĂ  perso in partenza!

“L”ultima era la lancia della posta. Il colonnello la guardò attraccare, con un”angosciosa inquietudine. Sul tetto, legato ai tubi del vapore e protetto da un”incerata, vide il sacco della posta. Quindici anni di attesa avevano acuito la sua percezione:Il dottore ricevette la corrispondenza col pacco dei giornali. Nel frattempo, l”impiegato distribuì la posta tra i destinatari presenti. Il colonnello osservò la casella che portava l”iniziale del suo cognome [:]. Il medico interruppe la lettura dei giornali. Guardò il colonnello. Poi guardò l”impiegato seduto davanti all”apparecchio del telegrafo e poi di nuovo il colonnello.
Andiamo-, disse. L”impiegato non alzò la testa. -Niente per il colonnello-, disse. Il colonnello provò vergogna. -Non aspettavo niente-, mentì. Rivolse al medico uno sguardo del tutto infantile. -A me non scrive nessuno.” (Gabriel Garcìa MĂ rquez, “Nessuno scrive al colonnello”, Mondadori, 1982).

Direttore, mai ti è mai capitato di vivere come se fossi fuori dal mondo? O come se abitassi nei fotogrammi di un film o nelle pagine di un racconto, di un romanzo? Per un momento ti senti quasi vivo, protagonista. Pensi: allora, certe situazioni non nascono solo nella mia fantasia, possono esistere davvero nella mente di un altro, nella realtĂ  virtuale o letteraria che sia, diventare un film, una sceneggiatura? Poi, qualcuno interrompe la pellicola, chiude il libro e tu ritorni nei tuoi dubbi, nelle tue depressioni, nei tuoi pensieri brutti. A me sta capitando sempre più spesso. E a te?
(Fonte foto: Rete Internet)

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