Scoppia il caso Google.

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Dopo Microsoft tocca ad un altro colosso americano difendersi contro le accuse dell’Antitrust.

 

Martedì notte il Wall Street Journal annuncia che la Commissione Europea ha formalmente presentato una serie di accuse contro Google per aver violato le leggi antitrust dell’UE.

Le indagini duravano da diversi anni, e solo dopo una lunga serie d’indugi e di negoziati con l’azienda statunitense stessa, per le sue pratiche nei servizi di ricerca, il Commissario antitrust dell’Unione ha deciso di fare causa a Google.

A contare da mercoledì la società ha dieci settimane di tempo per rispondere alle accuse.

Ciò che la commissione denuncia è l’abuso di posizione dominante e concorrenza sleale.

Sostanzialmente Google gestirebbe in maniera scorretta il suo servizio di Shopping online, trattando in maniera diversa i propri servizi da quelli altrui in maniera tale che al momento della ricerca gli utenti non otterrebbero le informazioni e i risultati davvero rilevanti, ma quelli che Google decide di mostrare (i suoi). La norma che in primis sarebbe violata è quella per cui il mercato delle ricerche generiche online deve essere differenziato da quello per la comparazione dei prezzi dei prodotti che si possono acquistare su Internet. Nel primo mercato Google ha in sostanza una posizione di monopolista ma ciò non vale nel secondo, dove i concorrenti sono (o sarebbero) invece molteplici.

L’abuso che Google fa della sua posizione dominante, non solo direttamente viola norme antitrust, a detta di Bruxelles, ma ha anche effetti indiretti sulla concorrenza.

In primis tale condotta impatta negativamente sull’esperienza dei consumatori, perché l’algoritmo che sta alla base della ricerca dell’utente, il quale dovrebbe generare una serie di risultati rispondenti alle sue esigenze, non usa parametri uguali per tutti i servizi, falsando così il prodotto finale e riducendone la qualità.

Altro effetto cruciale della concorrenza sleale implementata da Google è il freno messo all’innovazione. La società americana controlla il 90% circa del mercato dei motori di ricerca in Europa, lasciando pochissimo spazio ai concorrenti, invalidando una possibile concorrenza alla pari e riducendo così, al minimo, gli incentivi ad innovare dei possibili competitors.

La situazione è molto controversa e dall’esito del tutto imprevedibile.

Ciò che viene chiesto a Google, oltre al pagamento di una multa che sfiora i 6 miliardi di euro, è di rivelare il funzionamento dei suoi algoritmi usati per stabilire l’ordine di importanza dei link nelle sue pagine dei risultati. L’azienda statunitense per il momento si dichiara disposta a collaborare con Bruxelles anche se ritiene di non avere infranto nessun regolamento europeo.

Il tema della concorrenza s’intreccia con quello della trasparenza. La diffusione di informazioni private se da un lato potrebbe essere necessaria per rendere il mercato più trasparente, dall’altro potrebbe avere un effetto perverso sulla concorrenza e sulla tutela del consumatore, per esempio avvantaggiando i gestori dei siti a servirsene per promuovere i propri prodotti anche se di bassa qualità.

Ciò che la legge dovrebbe garantire è una concorrenza basata e finalizzata al miglioramento dei prodotti.

Il problema sembra essere che la tecnologia corre troppo più veloce della giustizia, tanto da non fare in tempo a invertire i meccanismi innescati da pratiche anticoncorrenziali.

Ricordiamo che nel 2002 la sentenza di Microsoft si concluse con la ratifica di un accordo tra la società ed il Dipartimento di Giustizia che imponeva a Microsoft una serie di limitazioni e di obblighi nei confronti dei suoi concorrenti.