Il quadro “La persistenza della memoria” (olio su tela, cm.24,1 x33) venne dipinto da Salvador Dalì nel 1931: la spiaggia della scena è quella di Port Lligat, che il pittore rappresentò anche in altre opere. Compaiono qui i protagonisti della stagione “surrealista” di Dalì, e cioè gli orologi “molli”, che egli paragonò a “filetti di sogliola”, “destinati ad essere ingoiati dagli squali del tempo”. Il pittore rivelò che aveva pensato all’immagine di questi orologi dopo aver mangiato abbondanti porzioni di formaggio camembert filante.
Questo quadro obbedisce a uno dei princìpi elencati da André Breton nel manifesto del surrealismo che egli pubblicò nel 1924: La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l’antico fanatismo umano. Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima. Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso. Ridurre l’immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene chiamato sommariamente felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi”. Sulla “poetica” del Surrealismo influirono certamente le riflessioni sull’”inconscio” sviluppate da Sigmund Freud, e l’idea, accettata anche da intellettuali che non ammiravano Freud, che nella nostra percezione della realtà alle “cose” inquadrate realmente dai sensi si sovrappongano sempre le immagini costruite dalla nostra immaginazione. A Dalì non piaceva parlare dell’inconscio: diceva che le immagini “surreali” dei suoi quadri nascevano solo dai giochi della sua tumultuosa fantasia, dal suo metodo “paranoico critico”. E tuttavia continuava a ripetere in ogni pubblica manifestazione “Il surrealismo sono io”. E André Breton si incavolava di brutto: a tal punto che lo espulse dal movimento e dichiarò che l’anagramma di “Salvador Dalì” è “avida dollars”: ma il pittore non negò mai che gli piacessero i soldi. Ma ora parliamo del quadro. C’è nell’opera “un’attenta gradazione di toni”, come ha notato Clare Meredith: si va dallo scuro primo piano, steso con colori di terra, al bagliore giallo della luce che “apre” il cielo e suggerisce la profondità della scena: la luminosità lascia tracce sulle scogliere, sui contorni e sui vetri degli orologi. La tecnica pittorica di Dalì tiene conto dei modelli della pittura accademica dell’800, e qualche studioso ha sostenuto che il pittore aveva studiato accuratamente l’uso del colore che avevano fatto Vermeer e Velazquez, Maestri del ‘600. Dunque, la tecnica del colore adottata da Dalì è la concreta testimonianza dell’avversione, talvolta anche aspra, che egli provò per gli artisti del ‘900, da lui giudicati superficiali imitatori dei più grandi Impressionisti. Ha scritto la Meredith: “La combinazione di tecnica realistica e di forme surrealistiche serve a Dalì per proporre un’immagine credibile della realtà e, allo stesso tempo, indebolire le idee convenzionali su di essa. Oggetti morbidi diventano duri e oggetti duri diventano morbidi, e la dimensione relativa delle cose è spesso mutata. Gli orologi sciolti significano la natura fugace dei momenti, la transitorietà del tempo e l’elasticità delle nostre esperienze temporali. Gli orologi pendenti drappeggiati su vari oggetti evocano un senso di resa al passaggio inesorabile del tempo”. Dalì creava ciò che egli stesso denominò “fotografie di sogni dipinte a mano”, mondi a volte bizzarri, scenari terrificanti, ma ipnotici, che al giorno d’oggi continuano ad affascinarci. Scrive la psicologa Valeria Sabater che Dalì “produceva” le immagini dei suoi quadri nello “stato ipnagogico, che è lo stato di coscienza in cui avviene la transizione dalla veglia al sonno”. Come Vermeer Dalì usava piccoli pennelli di zibellino e colori liquidi che gli consentivano di stendere velature lievi e senza grumi: era così attento ai particolari (l’attenzione “paranoica” di Velazquez) da usare, quando dipingeva tele di piccole dimensioni come questa, una lente di orafo e un appoggiamano: per tutte le tele egli partiva da accurati disegni preliminari.