Per i Greci il nume della sapienza non poteva essere che una donna, la dea Atena

0
277

Nel quadro che Botticelli dipinse tra il 1482 e il 1483 (tempera su tela, cm. 207x 148) Pallade-Atena è la Ragione che doma gli istinti selvatici e ferini dell’uomo, di cui è precisa immagine il centauro. Ma c’è anche un’altra lettura: Pallade-Atena rappresenta Firenze che annulla le trame del Papato, la cui mira era quella di indurre il Regno di Napoli a schierarsi con lo Stato della Chiesa- il selvaggio centauro – contro Firenze e contro i Medici. E il tratto di mare che si vede in fondo alla tela sarebbe il golfo di Napoli.

 

Furio Iesi ha disegnato un luminoso ritratto di questa dea, e mi è sembrato opportuno parlarne in occasione dell’8 maggio, anche se considero riduttivo “celebrare una giornata internazionale della donna”: il ruolo delle donne va osannato ogni giorno. I Greci non sapevano quale fosse l’etimologia dei nomi “Atena” e “Pallade” e furono capaci di immaginare che la dea nascesse, già adulta e armata, dal cervello di Zeus che aveva ingoiato la madre di lei, Metis. Era forse un modo rapido per dire che Pallade Atena era la concreta figura del pensiero di Zeus, e del re degli dei condivideva quasi completamente la sovranità. La dea era la “Kore”, la “Vergine”, non aveva uno sposo, non aveva figli, non era invischiata in quelle trame erotiche che venivano attribuite a tutte le altre dee: ma non era, diciamo così, una donna anomala: lo dimostrano ampiamente la protezione e le cure che ella accordò a eroine, eroi, uomini e donne comuni, segnati e spesso travolti dalla potenza dell’amore, della passione, dei sensi. I Greci non le misero accanto un marito o un amante, perché non volevano che la sua luce venisse offuscata dall’ombra del maschio. Sulle monete attiche del VI sec. a.C. la testa di Atena è raffigurata accanto alla civetta o accanto al capo della Gorgone. La civetta era simbolo della conoscenza, perché i suoi occhi vedevano chiaramente anche nell’oscurità, e le Gorgoni erano mostri che rappresentavano le terribili potenze degli inferi: mentre lo sguardo di Pallade portava luce e conoscenza, lo sguardo delle Gorgoni pietrificava chi aveva la sventura di fissarlo.

La vittoria della dea su questi esseri demoniaci era compiuta metafora del ruolo e delle virtù di Pallade Atena. “D’origine iniziatica poteva essere la tradizione che attribuiva alla dea la tutela delle arti femminili e in generale di tutte le attività artistiche: tradizione celebrata in modo particolarmente solenne dall’offerta di un peplo ad Atena compiuta da un corteo di fanciulle durante le grandi Panatenee. Per iniziazione, in un contesto di tale ampiezza, dovremmo intendere l’introduzione alla vita associata, alla cultura, alla polis” (Furio Iesi). La lancia e l’elmo ci ricordano che la dea era anche patrona della strategia militare, della guerra condotta con piani razionali: la guerra fatta solo di follia, di stragi e di violenza era sotto il “governatorato” di Ares, il Marte dei Romani. Non ci dobbiamo meravigliare del fatto che in un coro della tragedia “Eraclidi”, opera di Euripide, la dea è chiamata “madre”. Essa era la “madre” della città di Atene e dei suoi valori: nel “Partenone” si conservava la statua della dea in oro e in avorio scolpita da Fidia e altre statue e edifici sacri a Pallade si trovavano sull’Acropoli, dove Atena e Poseidone si erano sfidati per il possesso dell’Attica e la dea aveva donato agli Ateniesi il primo ulivo, da allora eletto simbolo della pace. Sull’ Acropoli si celebravano le “Panatenee”, la festa più importante di Atene, e le cerimonie di questo culto ispirarono il fregio del Partenone, opera di Fidia (immagine in appendice). Pallade Atena era, insomma, la dea della sapienza, dei mestieri femminili e maschili, della pace, della guerra “ragionata”, di tutte le forme dell’arte. I Romani non vollero capirlo l’importanza di Pallade Atena, diventata Minerva.