Ottajano, luglio 1832: la Madonna del Carmine esce in processione e fa piovere, Lei, da sola, dopo tre mesi di siccità…

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J. Volaire, Il Palazzo Medici di Ottajano

Fu un luglio di fuoco, quello del 1832: per la siccità, per i guai del cassiere comunale e perché le “frazioni” San Giuseppe, San Gennarello e Terzigno chiesero l’autonomia da Ottajano. Il ruolo di un grande sindaco, Michele Ranieri, ottajanese del quartiere San Giovanni. Il carisma del dono della pioggia i Vesuviani lo attribuivano, in genere, oltre che alla Madonna del Carmine, anche alle Madonne della Salute e di Costantinopoli e a San Giorgio.

La processione del 1832 si tiene la domenica successiva al 16 luglio, giorno sacro alla Madonna del Carmine. E’ certamente una processione solenne: lo dimostra il fatto che il sindaco Michele Ranieri ordina che resti chiusa, per tutta la giornata, la “cantina” condotta da Giovanni Iovine, che inalberava la sua frasca in piazza San Giovanni, sul lato sinistro, appena si entra in piazza, per chi scende dal Carmine. Questa “cantina”, in cui era consentito il gioco delle carte, fu spesso teatro di risse, anche sanguinose, alimentate dal vino e dal gioco e, talvolta, dalla presenza di donne di costumi troppo liberi per l’epoca: qualche parroco coraggioso protestò con tanto di carta scritta, ma le autorità civili, misericordiose, smussavano, attutivano e annacquavano, essendo lo Iovine un uomo di peso. Lo Iovine capì che quando nella chiesa di San Giovanni si svolgevano funzioni sacre dalla cantina non dovevano venir fuori schiamazzi, e capì anche che in certe situazioni bisognava subire e tacere. Egli tacque e subì, per amore della Madonna, nel luglio del ’32, così come aveva subìto e taciuto,nel maggio del ’31, quando Michele Ranieri aveva disposto la chiusura della “cantina” perché nulla turbasse la pubblica “mangiata” che egli, il Ranieri, aveva offerto, in piazza San Giovanni, la sua piazza, ai cari sangiovannari, per festeggiare con loro le nozze di una sua nipote.
Era un luglio di fuoco: da qualche settimana i tre “quartieri”, San Giuseppe, San Gennarello e Terzigno, avevano presentato all’Intendenza di Napoli articolate richieste di autonomia amministrativa: insomma, era partito il primo attacco, strategicamente coordinato, contro il Centro Abitato di Ottajano. Torneremo su questo episodio, che è una delle matrici della storia ottajanese di oggi. La richiesta era stata accompagnata e confortata da un fiotto di “lettere” che denunciavano lo strapotere e i misfatti del sindaco e dei consiglieri del Centro Abitato: alcune di quelle lettere erano firmate, portavano il nome dei “decurioni”, cioè dei consiglieri comunali, e di influenti cittadini dei tre “quartieri” che chiedevano l’autonomia: molte lettere, invece, non portavano firme, nemmeno quelle firme false di cui si servono certi “guerrieri” di oggi. In una di esse, indirizzata al principe di Conca, Sottintendente di Castellammare, fedelissimo ai principi di Ottajano, l’anonimo autore spiegava che un consigliere comunale del Terzigno si era schierato contro l’autonomia del suo “quartiere” perché faceva parte, con alcuni consiglieri del Centro Abitato, di quella “famosa società” che teneva in mano, “come è anche noto all’ Eccellenza Vostra”, il mercato del vino e dell’olio.
La risposta che tra l’agosto e il settembre Michele Ranieri diede agli autori delle lettere, a quelli dichiarati e a quelli anonimi è, tra i molti documenti che ho letto sulla storia di Ottajano, uno dei più memorabili, per l’ingegnosa malizia con cui il sindaco usa come armi d’attacco le frecce stesse degli accusatori, e per l’uso abilissimo del sarcasmo. Anche per questo documento, ma non solo per questo documento, Michele Ranieri è uno dei più grandi sindaci di Ottajano: e lo dico nel rispetto delle richieste di autonomia formulate dai tre “quartieri”. Ma quel luglio era di fuoco anche per la siccità che incombeva implacabile sulla campagna ottajanese dai primi giorni di maggio: già nella seconda settimana di giugno gli amministratori avevano dovuto attivare il trasporto d’acqua dal fiume Sarno per riempire le cisterne ormai quasi vuote. Perciò quella processione fu ancora più solenne: uno dei carismi della Madonna del Carmine era il dono della pioggia benefica per la campagna, e del resto, dal 1661 gli Ottajanesi hanno una certezza: che non c’è problema che la Madre di Ottajano non possa risolvere. Lo scarno documento dell’ufficio di Cancelleria del Comune non ci dice se anche in quella processione di luglio i parroci recitarono una preghiera particolare per invocare la pioggia, come l’avevano recitata durante la siccità di dieci anni prima, chiamando in soccorso, con la Madonna del Carmine, anche San Giorgio, la Madonna della Salute e la Madonna di Costantinopoli. Sappiamo che il corteo salì fino al Palazzo Medici, muovendosi con cautela lungo gli argini del Vallone del Rosario, che venivano sistemati e consolidati, in quei giorni, dalla ditta di Giovanni Cuomo, fratello di quell’Angelo che per caso era consigliere comunale del Centro Abitato: il caso talvolta si diverte. Sappiamo che il martedì seguente piovve, e fu una pioggia “che non arrecò danni” agli argini dell’alveo: fu, dunque, una pioggia benefica per la campagna. Il funzionario di cancelleria, essendo forse uno scettico, registrò l’evento in un linguaggio freddo e neutro: la sua nota, non a caso, si chiude con un riferimento ai 5 ducati che erano stati versati al predicatore della “novena”, un “frate di Sarno”. Ma forse quel funzionario pensava a questioni più urgenti: forse si chiedeva se la Madonna avesse fatto la grazia al cassiere comunale Biagio Cola, il quale si trovava in un guaio nero, perché lo avevano accusato di aver usato per le sue spese private cospicue somme prelevate dalla cassa del Comune: poteva capitare, in quei tempi.
Non credo che abbiano partecipato al rito i due consiglieri comunali uno del Centro Abitato, l’altro di San Giuseppe che davano in fitto al Comune i carri speciali, i cavalli e i cocchieri che andavano a Sarno a prendere l’acqua: a loro la siccità non dispiaceva. Dietro alla statua della Madonna, tra i cittadini armati di ceri accesi, c’era, sicuramente, il consigliere comunale Domenico De Rosa, ai fratelli del quale il sindaco nell’aprile aveva concesso il privilegio di sperimentare, in una vasta porzione della masseria comunale Ponte al Piano, la coltivazione del carrubo. E c’era certamente il sangiovannaro Salvatore Annunziata, di anni 37, detto “il cavallaro”, che nel marzo era tornato libero dopo aver trascorso 13 anni in carcere, accusato di aver fatto parte di una “comitiva” di briganti che agiva lungo la strada Nola- Acerra e nelle masserie dell’Acerrano. Avevano chiesto la grazia per lui la vecchia madre e le due sorelle: e non avevano fatto mancare il loro consenso né il sindaco, né il parroco di San Giovanni, né il giudice regio Francesco Amantea, che era anche un poeta, né alcuni influenti cittadini: e tra questi Giuseppe Medici, che, essendo il padre Michele gravemente malato, era il Principe facente funzione…