“Napoli, un paradiso abitato da diavoli”: il primo a dirlo fu Michel Guyot De Merville

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La “sentenza” divenne famosa grazie a Goethe e a B. Croce. Un “colorato” elenco di diavolerie dei Napoletani. Il De Merville (1696-1755), che credeva di essere un valente autore drammatico, fu sonoramente bocciato sia dal pubblico francese che dalla critica. Forse il suo libro più importante è proprio quel “Voyage historique d’Italie” in cui scrisse la “sentenza” su Napoli, che egli visitò tra il 1717 e il 1721. Correda l’articolo l’immagine di un quadro su Napoli di Salomon Corrodi.

 

Dunque, perché quello di Napoli è un popolo di diavoli? “Perché – scrive il francese – tutte le prigioni della città sono piene di delinquenti, poi perché non passa un giorno senza che si senta parlare di qualche furto o di qualche omicidio, infine perché non vi è una settimana in cui qualche napoletano non venga impiccato. La sola occupazione di questo popolo, continua il francese, pare sia quella di imbrogliare il prossimo, soprattutto i viaggiatori stranieri: e per realizzare l’obiettivo hanno portato a perfezione l’arte della recitazione e sanno condire ogni loro discorso con belle sentenze moraleggianti: “coloro che credete siano le persone più oneste, più sante e, in una parola, le migliori sono invece i truffatori più scaltri.”. Perciò, predica questo gentiluomo, non giocate mai con i napoletani, né a carte, né a qualsiasi altro gioco con i soldi: perché i napoletani sono inarrivabili imbroglioni, e se vi accorgete dell’imbroglio, non smascherateli apertamente, non protestate, accontentatevi di perdere i soldi e di salvare la vita; questi imbroglioni sono pronti anche a mettersi in dodici contro uno. Non è facile sfuggire alle trappole dei napoletani, anche perché sono aiutati, nei loro inganni, dalle “donne di piacere: a Napoli ce n’è un numero incredibile. E quello che è peggio è che esse sono a tal punto graziose e seducenti che bisogna essere pieni di virtù per non finire sugli scogli.”. Ai donnaioli impenitenti il Mezzacalzetta consiglia di andare da queste terribili signore con pochi soldi in tasca, e di non andarci mai in inverno: “correreste il rischio di prendere il raffreddore”, perché quelle, se non trovano i soldi, vi portano via anche la camicia, e le più violente vi faranno firmare a forza delle obbligazioni che sarete costretti a pagare, se volete restare in città. Il De Merville chiarisce che non parla di queste cose per esperienza diretta, – ci mancherebbe -, ma per averle apprese da testimoni degni di fede. E questi testimoni gli hanno detto e garantito che molte di queste donne così belle e seducenti sono afflitte dalle “malattie veneree”, dalla sifilide che a Napoli chiamavano “mal francese”. Un tempo queste signore erano obbligate a farsi visitare ogni tre mesi da un dottore che, accertate la buona salute e l’assenza delle “veneree”, rilasciava idonea certificazione: poi, di tanto in tanto, passavano i poliziotti a controllare che le carte fossero in regola. Il francese esorta i lettori a non invidiare medici e poliziotti che avevano, diciamo così, mano libera sulle belle signore e potevano godere di esse gratuitamente. I dottori che, vinti dalla bellezza e dai gratuiti “servizi”, falsificavano il certificato e dichiaravano sane le signore che sane non erano correvano il rischio di essere condannati a morte dal tribunale; e venivano uccisi dai “protettori” delle signore se, accertata la presenza della velenosa infezione, decidevano di certificarla. Ma “oggi”, dice il francese, il problema non esiste più, perché non c’è più controllo. “Oggi”, garantisce questo nemico di Napoli, il mestiere più diffuso in città è quello del “falso testimone”. “Questo mestiere è divenuto ormai talmente pubblico che nessuno si vergogna di ammettere: sì, faccio il falso testimone”. Racconta la Mezzacalzetta che un giorno, a Napoli, un piemontese venne portato davanti a un giudice perché un napoletano, sostenuto dalle dichiarazioni di due “falsi testimoni”, lo accusava di non voler restituire all’accusatore una notevole somma di danaro che gli doveva. Il piemontese, che conosceva i costumi napoletani, non negò di aver ricevuto la somma, che non aveva ricevuto: ammise invece di averla ricevuta, ma dichiarò che l’aveva restituita tutta intera: confermarono la sua dichiarazione quattro “falsi testimoni” che egli aveva ingaggiato. E il napoletano andò in carcere per tentata truffa. Il prudente Mezzacalzetta dichiara che questo ritratto che lui fa dei Napoletani “si limita solo al popolo, senza coinvolgere le persone dell’alta società, che, poiché ad esse nulla manca, pensano solo a divertirsi e a trascorrere il tempo nel miglior modo possibile”. Oggi in quale partito sarebbe schierato? Sullo splendore paradisiaco di Napoli il De Merville non dice nulla che non sia già stato detto da altri visitatori: qualche riflessione originale egli la fa sulla luce del sole, che conferisce al rosso, al giallo e all’azzurro dei toni che non è possibile trovare in nessun’altra città.