Norman Lewis descrive una città in cui il mondo si rovescia con grande naturalezza e la camorra tenta di stabilire di cosa deve interessarsi la polizia. Nel libro recente di Isaia Sales la camorra è vista non come l’anti –Stato, ma come un’istituzione.
E all’improvviso escono due libri seri sulla storia della camorra, “La mala setta” di Francesco Benigno e “Storia dell’Italia mafiosa” di Isaia Sales. Libri seri, in tutti i sensi: non dipingono “cartoline” e luoghi comuni, non ci raccontano, per la milionesima volta, che Garibaldi entrò in Napoli scarrozzando camorristi e “maeste” di varia taglia, e non coinvolgono nelle vicende del figlio il padre di Raffaele Cutolo, di cui perfino Francesco Barbagallo, che pure è storico scrupoloso e profondo della camorra, scrive che era “ricco contadino e prestatore di danaro” e che fu lui, e non il figlio Don Raffaele, ad acquistare “il castello mediceo”. Il che non è. Ma Francesco Barbagallo ha pubblicato, nel novembre scorso, “Napoli, Belle Epoque”, prezioso affresco di un momento storico in cui Napoli appare ancora una capitale, e la camorra, liberatasi grazie al processo Cuocolo di schemi e modelli malavitosi ormai logori, si adegua velocemente ai ritmi della modernità.
Il libro di Isaia Sales è destinato a segnare una svolta nella storiografia della camorra, perché non si limita a demolire il luogo comune che descrive le “mafie” come l’ “anti-Stato”, ma sostiene, al contrario, che esse sono una struttura del sistema statale, sono una istituzione. Sembra un giochetto verbale, ed è invece un radicale rovesciamento di prospettiva, che mette a posto tutti i fili della trama e consente finalmente di leggere la storia della camorra come un ordinato dipanarsi di eventi, che esclude interruzioni e salti. Dell’istituzione camorra si servirono i Borbone, Garibaldi, i Savoia, i liberali, si servì il fascismo napoletano, e si servirono, tra il 1943 e il 1944, gli Alleati. Decido di scrivere un primo articolo sul libro di Sales, e vado a controllare il testo del passo in cui Norman Lewis parla di Vito Genovese, il boss della mafia americana, nato a Risigliano di Tufino, emigrato negli Stati Uniti, “allievo” di Lucky Luciano, ritornato precipitosamente in Italia dopo aver ucciso il compaesano e collega Ferdinando Boccia, e in Italia diventato amico di fascisti che contavano. Crollato il fascismo, Vito Genovese venne “arruolato” dagli Americani come interprete personale di Charles Poletti, responsabile degli “Affari civili” presso la V e la VII Armata.
Norman Lewis è l’autore di “Napoli ‘44”, un capolavoro: Napoli vi è descritta con il “sentimento” del viaggiatore inglese dell’Ottocento, e con la “prudenza” dell’ufficiale del servizio di sicurezza aggregato alla Quinta Armata, che non ha una grande opinione degli alleati americani e che ha il compito di cercare, tra i napoletani, dei “contatti”, degli “informatori” attendibili. Il 5 gennaio del ’44 a Norman viene affidato l’incarico di controllare alcuni Comuni a nord di Napoli, Casoria, Afragola, Aversa, Acerra, “tutti all’interno della famigerata zona di camorra”. “I nuovi sindaci”, insediati dagli Alleati al posto dei podestà fascisti, “si dice che siano in gran parte uomini della camorra. Tutti sanno che sono stati nominati con i buoni uffici di Vito Genovese, il gangster americano”, la cui posizione di potere in seno al governo militare “è pressoché inattaccabile”. E ora dovrei dedicare l’articolo a questo “interprete” che dalla sua posizione di potere controlla e protegge la macchina del contrabbando, ma il libro di Lewis, ancora una volta, mi distrae.
Ancora una volta vado a leggere le pagine su Lattarulo, il primo “contatto”, l’avvocato affamato, che, quando Norman lo porta a prendere un marsala all’uovo nel Bar Vittoria, come vede il barista accingersi a rompere l’uovo nel bicchiere, lo blocca, sgomento, e chiede il permesso di portarsi l’uovo a casa. Lattarulo fa l’avvocato e, prima della caduta di Mussolini, per arrotondare lo stipendio, faceva, nei funerali, la parte dello “zio di Roma”. Uno “zio di Roma” onora il defunto e accresce il prestigio della famiglia, soprattutto se lo zio si presenta “davanti al basso, nel vicolo, su un’Alfa Romeo – con la targa Roma e una placca SPQR – dalla quale scende con il suo abito da mattino di buon taglio e con il nastrino di Commendatore del Regno sul risvolto della giacca.”. Il 12 febbraio del ’44 Lewis arresta a Pomigliano Cesare Rossi, il fidato collaboratore di Mussolini, che era stato travolto dalla vicenda del delitto Matteotti. “E’ uno degli uomini più dignitosi che abbia mai conosciuto” – scrive Lewis – e dalla “modestia dell’appartamento, e da un certo odore di rispettabile povertà” si capisce che egli, pur essendo stato tra i fondatori del Partito fascista, ne ha “ricavato pochissimo per sé”.
A chi ama l’immagine di Napoli come “teatro” piace certamente quello che Lewis scrive il 25 ottobre del 1943: poiché i bombardamenti hanno distrutto case, corredi e guardaroba, i napoletani indossano “bizzarre combinazioni di indumenti”: ho visto “un uomo con addosso una vecchia giacca da sera, pantaloni alla zuava e scarpe militari… A Posillipo una signora ben vestita, con una piuma sul cappellino, si era accovacciata per mungere una capra. Più sotto, sulla riva del mare, due pescatori avevano legato insieme alcune porte recuperate dalle macerie, ci avevano ammucchiato sopra le loro cose e stavano per uscire a pesca”. Le autorità militari hanno ordinato che nessuna imbarcazione prenda il mare, ma il decreto non parla di “zattere”. Dunque, i due pescatori stanno in regola. “Tutti improvvisano e si adattano”.
Non credo che ci sia improvvisazione, in quella zattera. Uno dei cardini della sapienza napoletana è che nessuna norma scritta può prevedere tutte le possibilità dell’essere: in fondo al corridoio non c’è mai un muro cieco, c’è sempre un varco, che aspetta di essere trovato e attraversato. Scrive Lewis: “ I camorristi appartengono alla criminalità organizzata su vasta scala, e tollerano la polizia perché questa tiene al suo posto la piccola delinquenza.”. A Lewis ammiratore di Swift e di Wells non risultò difficile entrare nell’animo di una città in cui le scale dei valori si rovesciavano e il mondo si capovolgeva con tanta naturalezza: le ragioni della logica fecero sì che anche lui arrivasse a capire che la camorra era una istituzione. Lewis non si meravigliò quando gli dissero che il tesoro di San Gennaro da Roma era stato riportato a Napoli, intatto, nonostante i briganti e i soldati sbandati che infestavano le strade, dal re di Poggioreale, don Giuseppe Navarra, guappo e contrabbandiere.
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