Melania Rea, depositate le motivazioni della sentenza: “delitto d’impeto”

0
607

L’avvocato Mauro Gionni, legale della famiglia Rea: “Siamo soddisfatti, il giudice di Appello ha recepito le nostre conclusioni e argomentazioni”. Parolisi non avrà la custodia della piccola Vittoria che ora vive a Somma Vesuviana con i nonni.

Sono state depositate ieri le motivazioni della sentenza di condanna a trent’anni di reclusione emessa dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila nei confronti di Salvatore Parolisi per l’omicidio della moglie Melania Rea, giovane mamma di Somma Vesuviana. La donna venne uccisa con 35 coltellate il 18 aprile 2011 nel bosco di Ripe di Civitella. In primo grado Parolisi, l’ex caporalmaggiore dell’esercito, era stato condannato all’ergastolo. La Corte sostiene che il risalto mediatico dato al caso potrebbe “avere inevitabilmente influito sulla genuinità dei ricordi delle persone informate sui fatti”, ricordi “inconsapevolmente contaminati dalle notizie e dalle immagini ripetutamente diffuse dai mass media”.

Insomma, la costante, continua presenza in varie trasmissioni televisive, la notevole per non dire massiccia attenzione al caso di Melania potrebbe aver deviato i ricordi di qualche testimone. A parte il singolare passaggio di cui sopra che andrebbe però applicato al giorno d’oggi a tutti i delitti, da Cogne (che ha fatto scuola) all’omicidio di Sarah Scazzi, nella sentenza di primo grado del delitto Rea il tribunale di Teramo ha “in modo del tutto apodittico, senza la benchè minima motivazione, irrogato la pena perpetua, senza esplicitare, nemmeno per inciso, le ragioni, in fatto e in diritto, che, a fronte del rito premiale prescelto, dovevano ritenersi inadeguate al fine di evitare al Parolisi il carcere a vita”.

Lo dicono i giudici al termine delle 148 pagine delle motivazioni della sentenza di condanna a 30 anni, in secondo grado, nei confronti di Salvatore Parolisi per l’omicidio della moglie Melania Rea. Secondo i giudici le acquisizioni processuali “dimostrano con certezza” che Salvatore Parolisi “ha fornito una falsa ricostruzione dei suoi movimenti e di quelli della moglie, collocando non solo se stesso, ma anche la vittima, in concomitanza del lasso temporale in cui la donna è stata uccisa, in un luogo lontano da quello del delitto; condotta che può trovare una ragionevole spiegazione solo per il diretto coinvolgimento dell’imputato nell’evento omicidiario”.

Inoltre, “nelle fasi cruciali dell’attività investigativa” Salvatore Parolisi “ha segnalato una circostanza che sapeva essere assolutamente irrilevante per le indagini in corso, impegnando le Forze dell’ordine in inutili verifiche, forse, e, anzi, senza forse, al malcelato scopo di ritardare l’accertamento della verità sulla tragica sorte della moglie, a lui già nota”. Dunque i giudici di secondo grado riconoscono il “dolo d’impeto” per l’omicidio di Melania. Salvatore Parolisi “ha reso dichiarazioni incontestabilmente mendaci anche sul suo rapporto coniugale, nascondendo la relazione sentimentale che, ininterrottamente, da circa due anni, intratteneva con un’ex allieva conosciuta in caserma”.

Così i giudici si esprimono sulla relazione extraconiugale di Parolisi nella sezione delle motivazioni dedicata al movente dell’omicidio di Melania Rea di cui lo ritengono colpevole. Nella dinamica dell’uccisione di Melania Rea secondo i giudici d’appello si riscontra il “dolo d’impeto”: la donna è stata uccisa con “35 coltellate sferrate disordinatamente, senza una pianificazione operativa, uno sfogo rabbioso e sintomatico del profondo coinvolgimento emotivo dell’agente, ma anche della sua superiorità fisica e della capacità di aggressione, da riconoscere a un istruttore dell’esercito, un militare addestrato, che, per quanto indolente o non particolarmente brillante, come assume la difesa, vanta al suo attivo lunghe ore di esercitazioni e impegnative missioni in zone di guerra”. Gli indizi sono definiti gravi, consistenti, attendibili, convincenti.

“Nel caso in esame – spiega la Corte – la regola di giudizio va necessariamente posta in relazione con l’indubbio carattere indiziario del compendio probatorio raccolto nel giudizio di primo grado”. Intanto uno dei due difensori di Parolisi, l’avvocato Valter Biscotti, ha già annunciato il ricorso in Cassazione contro la sentenza di secondo grado; i termini per presentarlo decorrono dal prossimo 28 dicembre. Per la Corte, l’imputato ha poi “evidentemente mentito” sulla sua presenza nella zona delle altalene visto che “tutte le persone presenti hanno avuto modo di vedersi e ricordare di essersi viste reciprocamente, ma nessuno ha visto Parolisi e la figlia nei pressi delle altalene”.

Il 18 aprile del 2011 Melania era uscita dalla sua casa di Folignano (Ascoli Piceno) con il marito, all’epoca caporalmaggiore del Rav Piceno, e Vittoria, la loro bambina di 18 mesi, per fare alcune visite mediche: non vi fece più ritorno e venne ritrovata due giorni dopo, uccisa con 35 coltellate, nel boschetto di Ripe di Civitella (Teramo). In primo grado, il 26 ottobre 2012, Parolisi fu condannato all’ergastolo in un processo con rito abbreviato: il Gup di Teramo, Marina Tommolini, aveva giudicato l’uomo colpevole di omicidio, aggravato dalla crudeltà, dal vincolo di parentela e dalla minorata difesa, togliendogli anche la patria potestà.

“Sono innocente” ripeteva Parolisi ai suoi legali in quella circostanza, scoppiando poi in lacrime mentre faceva rientro al carcere di Castrogno. Secondo le motivazioni a scatenare la furia di Parolisi contro la moglie sarebbe stato un rapporto sessuale negato. In secondo grado, lo scorso 30 settembre, i giudici d’ appello, nel computo complessivo della pena, sono arrivati all’ ergastolo, che, per effetto del rito abbreviato, è stato poi convertito nella condanna a 30 anni. In primo grado i giudici avevano concluso per il carcere a vita con l’aggiunta della pena accessoria dell’isolamento diurno: condizione che aveva determinato ugualmente la condanna all’ergastolo. Parlano di “dubbi” i difensori di Parolisi, Biscotti e Nicodemo Gentile: a una prima lettura, dicono, “la Corte ha di fatto cancellato nei tratti più rilevanti la sentenza di primo grado impugnata. Ma la riforma dei contenuti della sentenza è unidirezionale contro l’imputato”.

“Siamo molto soddisfatti perchè il giudice di appello ha recepito le nostre conclusioni e le nostre argomentazioni, in particolare quella relativa al fatto che Parolisi non è passato per San Marco, e che il movente è l’imbuto tra Melania e l’amante in cui si trovava Salvatore”. Così commenta le motivazioni della sentenza di secondo grado nei confronti di Salvatore Parolisi, Mauro Gionni, l’avvocato della famiglia di Melania Rea. “Un altro movente – aggiunge il legale – è che Parolisi aveva paura che Melania rivelasse la relazione che aveva all’esercito”. I giudici hanno inoltre ribadito che l’uomo non può ottenere la potestà della piccola Vittoria, la figlia avuta con Melania e che ora vive a Somma Vesuviana con i nonni materni.
(</>Fonte foto: Rete internet)