Licinio Verre, simbolo di una figura eterna: il politico ladro. Come Cicerone lo demolì.

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Licinio Verre, simbolo di una figura eterna: il politico ladro. Come Cicerone lo demolì.

Nel 70 a.C. i Siciliani accusano di concussione, di furti e di corruzione Gaio Licinio Verre, che dal 73 al 71 ha governato la provincia come propretore e ha commesso una serie di reati che, a ben vedere, lo rendono un “mito” per certi politici di oggi. L’accusato si affida al più quotato avvocato del momento, Quinto Ortensio Ortalo, mentre i Siciliani si rivolgono a un giovane, Marco Tullio Cicerone. Ortensio, candidato al consolato per il 69, accetta di difendere Verre per difendere il “sistema” senatorio che poi deve votarlo. Correda l’articolo un quadro di Hans Schmidt.

Il 27 luglio del 70 vengono eletti consoli per il 69 Ortensio e Quinto Metello, amico di Verre. L’esito delle votazioni viene interpretato come una garanzia per l’assoluzione dell’imputato. Mentre una grande folla accompagna a casa Ortensio, Gaio Scribonio Curione vede Verre nel corteo, va ad abbracciarlo, gli “ordina” di non essere più preoccupato e gli “comunica” che “grazie al voto di oggi tu sei stato assolto”. Ma non hanno fatto i conti con Cicerone. L’esordio della prima orazione contro Verre è clamoroso: basta, da sola, a dare la misura della grandezza di Cicerone. Sul banco degli accusati, accanto a Verre, c’è la credibilità dei tribunali romani: e la salvezza dell’uno significa la morte definitiva dell’altra. Non solo in Italia, ma anche presso tutti gli stranieri ha messo radici una certezza: i giudici romani non condannano un colpevole, a patto che sia ricco. Ora Cicerone ha dato al tribunale la possibilità di smentire questa fama, gli ha trascinato davanti Verre, che è colpevole, al di là di ogni dubbio, di crimini smisurati: ha scialacquato il danaro pubblico, ha spogliato l’Asia, la Panfilia e la Sicilia,  da pretore urbano ha amministrato la giustizia come un brigante, praedonem iuris urbani ( 1,2).  L’oratore chiude l’esordio con uno schema logico, che userà spesso: se Verre verrà assolto, vorrà dire che è mancato un tribunale allo Stato. Cicerone ha lanciato addosso ai giudici la rete del reziario: essi hanno una sola via d’uscita, la condanna di Verre.  Prima ancora che brigante, Verre è uno stupido: ha rubato sotto gli occhi di tutti, perché era certo di comprarsi i giudici. Il discorso incomincia a costruirsi intorno alle immagini dello spogliare e del denudare: Verre spoliavit nudavitque (5,14) le statue, i monumenti, i templi, le donne: ma Cicerone metterà a nudo non solo i suoi delitti, ma anche le trame che egli e i suoi hanno tessuto per evitare la condanna. E incomincia a raccontare ciò che è accaduto qualche giorno prima, quando la folla accompagnava a casa i due consoli eletti per l’anno successivo, Q.C. Metello, amico di Verre, e Ortensio Ortalo, che di Verre è il difensore. Davanti all’arco di Q. Fabio Massimo Allobrogo Gaio Scribonio Curione si congratula per la vittoria non con Ortalo, a cui non rivolge nemmeno una parola, ma con Verre: l’abbraccia e  lo esorta, è un ordine ( iubet, 7, 19 ) a non preoccuparsi più: “Ti  annunzio che sei assolto dopo il voto di oggi . Tibi renuntio: te lo comunico come cosa certa. “. Col danaro saccheggiato Verre e i suoi cercano di impedire che Cicerone sia eletto edile: Verre fa personalmente il giro di tutte le tribù, accompagnato dal figlio giovinetto, che Cicerone punge con la malizia di due aggettivi più adatti a descrivere una donna, blandus  e gratiosus…..Anche su Quinto Cecilio Metello, console eletto per il 69, si abbatte l’ironia di Cicerone. Nevio aveva detto ( fr.63 b ) che i Metelli diventano consoli di Roma fato, dove fatum può significare tanto “ destino “ quanto “ disgrazia ”. E Cicerone gioca sul gioco di Nevio:  console Metello, raccontano che Verre va dicendo in giro che tu sei diventato console, non fato, ut ceteros ex vestra familia, sed opera sua: se non è una disgrazia la prima condizione, lo è certamente la seconda. Cicerone annuncia che tratterà la causa in modo tale che Verre e i suoi si sentano addosso le orecchie e gli occhi di tutto il popolo romano, e che il pretore Acilio Glabrione avverta su ogni suo atto il giudizio del padre e degli avi. L’oratore incomincia a mettere a punto la tecnica che gli consentirà di trasformare alcuni processi in un dramma cosmico: Verre sarà trascinato nell’abisso dalle “ Furie ultrici dei cittadini che egli ha ordinato di decapitare e di mettere in croce mentre invocavano i diritti della libertà e della cittadinanza”. .“  Attraverso questo imputato si stabilirà definitivamente se un tribunale composto da senatori è capace di condannare un imputato colpevolissimo, ma ricchissimo”. Ortensio si ritirò e Verre partì subito per l’esilio: li sconvolse non la quantità delle solide prove dei reati del propretore che Cicerone aveva raccolto in Sicilia, ma la certezza che il “sistema” stava cambiando, che il partito senatorio non controllava più le “redini” del carro. Da sempre la domanda più importante è sempre la stessa: chi è il cocchiere?