Da questo numero cominciamo a parlare di storia del “900. L”intento è duplice: sfatare la credenza che è solo materia di esperti, coinvolgere quanti più è possibile in questo viaggio.
Perchè una rubrica sulla Storia di un secolo?
Gli storici hanno sempre sostenuto –diversamente da come si suol dire- che la Storia non insegna. Hanno, altresì, sostenuto che una cultura, con radici nella Storia, può affinare notevolmente le capacitĂ di capire il presente. Così ogni storia finisce con l”essere contemporanea, perchè chi la studia, la conosce o –semplicemente- ne parla vi porta la sua esperienza, e, se ne ha, anche le passioni del proprio tempo.
Con “ilmediano.it” –da oggi- comincia un viaggio attraverso la storia del Novecento italiano. Due sono gli intenti. Il primo è quello di correggere il senso comune, secondo il quale gli avvenimenti storici sono materia solo degli specialisti o, al massimo, una distesa per scorrerie di giornalisti e divulgatori, spesso, obbedienti alle suggestioni dei potenti, alle seduzioni dello scandalismo, alle mode correnti.
Il secondo è quello di attraversare, come un racconto, come lo srotolamento di una pellicola di un film, avvenimenti in cui ognuno –se è interessato e se vuole- può aggiungere o levare, interpolare, approfondire, organizzare diversamente, cogliere l”azione delle forze in gioco e le capacitĂ di quanti hanno avuto ed hanno il compito di indirizzarne il corso.
C.R.
L”alba del nuovo secolo comincia per l”Italia nella giornata di capodanno con uno scandalo, che crea un aspro confronto tra i partiti politici: il generale Giuseppe Mirri, ministro della Guerra nel governo Pelloux, è costretto a dimettersi per aver esercitato pressioni sulla Magistratura a favore del deputato Raffaele Palizzolo, giĂ consigliere comunale a Palermo, incriminato di amicizie e sostegni mafiosi ma, soprattutto, di essere stato il mandante, nel 1893, del delitto del marchese Emanuele Notarbartolo. Il nobile siciliano, vecchio sindaco di Palermo, dal 1873 al 1876, aveva conquistato la stima dei benpensanti e gli onori della cronaca per aver cercato di debellare il fenomeno della corruzione alle dogane.
Il clima surreale del nuovo secolo continua, poi, nella caldissima giornata di domenica 29 luglio 1900, quando, a Monza, il re Umberto I (1844-1900), figlio di Vittorio Emanuele II di Savoia e di Maria Adelaide d”Asburgo-Lorena, muore per mano dell”anarchico Gaetano Bresci. L”assassinio del discendente di casa Savoia –che giĂ aveva subito precedenti attentati, nel 1878 per mano di Giovanni Passannante e nel 1897 da Pietro Acciarito– desta, dovunque e in chiunque, sentimenti di dolore, di indignazione e di impressione sconfinata. Tutti, infatti, piangono il re, che si era conquistato l”appellativo di buono, per il suo comportamento e la sua disponibilitĂ nelle sciagure nazionali –tra cui la gravissima epidemia di colera a Napoli del 1884- che lo avevano vista in prima fila tra i soccorritori.
Umberto, però, è anche il re, che, nell”intento di voler fare dell”Italia una nazione ubbidiente, non aveva disdegnato di dare un”impronta fortemente militare ai suoi governi e di aver acconsentito allo scioglimento del partito socialista, delle Camere del Lavoro e delle Leghe Operaie. E così, come sempre capita, l”emozione suscitata dal regicidio finisce col prevalere sul ricordo della dura repressione attuata dal generale Fiorenzo Bava Beccaris ed approvata dal re Umberto I. Solo due anni prima, infatti, nel 1898, per sedare i tumulti provocati dai rincari del pane e dai bassi salari –la cosiddetta protesta dello stomaco-, il generale di corpo d”armata cuneese, non aveva esitato a sparare sulla folla in agitazione, rendendosi responsabile di un centinaio di morti ed un migliaio di feriti.
Ad Umberto I succede il figlio Vittorio Emanuele III (1869-1947), detto il “re soldato”, perchè assiduamente presente tra i combattenti della I guerra mondiale, o anche sciaboletta, per la sua bassa statura, per cui era costretto a portare una sciabola su misura, per evitare che strisciasse per terra.
L”erede al trono è raggiunto dalla notizia della morte del padre nei mari della Grecia, dove stava navigando, a bordo del panfilo Jela, con la giovane moglie Elena di Montenegro. L”intera nazione aspetta con fiducia ed apprensione l”indirizzo politico del nuovo sovrano. Dei sentimenti degli italiani si fa interprete Gabriele D”Annunzio, che così saluta il nuovo re: “T”elesse il Destino/ all”alta impresa audace./Tendi l”arco, accendi la face, /colpisci, illumina, eroe latino!”
L”11 agosto 1900 il re si presenta alle Camere con un discorso che riscuote consenso e simpatia. Vittorio Emanuele III, infatti, riesce a raggiungere il cuore del popolo, dicendo: “Impavido e sicuro ascendo al trono con la coscienza dei miei diritti e dei miei doveri. L”Italia abbia fede in me come io ho fede nei destini della patria [:] A noi bisogna la pace interna e la concordia di tutti gli uomini di buon volere. Raccogliamoci e difendiamoci con la rigorosa loro applicazione. Monarchia e Parlamento procedano solidali in quest”opera salutare”.
Con questo primo pezzo, e l”avvio della rubrica “Pillole di “900” inizia da oggi la collaborazione del prof. Ciro Raia con ilmediano.it.
Dirigente scolastico, ricercatore, storico, autore di numerosi libri, Ciro Raia, da par suo, ci parlerĂ dei fatti grandi e piccoli che hanno determinato la Storia del “900, col chiaro intento di farne prendere possesso anche a coloro che non sono storici di mestiere. Sullo sfondo, l”Italia così come andava formandosi, con l”eterna e mai risolta questione meridionale, che ci tocca molto molto da vicino ma che è andata via via scomparendo dal dibattito politico nazionale.