La “tavola” di Montalbano serve a Camilleri per produrre e sottolineare il colore della “sicilianità”: allo stesso fine mirano la descrizione dei luoghi e i nomi dei “piatti”. La “sicilianità” è una caratteristica anche del tipo dei crimini e dei modi dell’indagine. Per quale ragione il commissario di Camilleri si chiama Montalbano.
Ingredienti: g.320 di bucatini, 1 cavolfiore bianco, gr. 150 di cipolla dorata, 5 sarde sotto sale, 50 gr. di olio extravergine di oliva, 50 gr. di uva passa, 50 gr. di pinoli, 1 bustina di zafferano, gr. 100 di mollica di pane raffermo, sale, pepe. Far ammorbidire l’uva passa nell’acqua tiepida, eliminare dal cavolfiore le foglie verdi e la parte centrale dura e dividerlo in cimette, che vanno lessate in acqua salata e scolate. L’acqua va conservata. Tagliare la cipolla a fette sottili, rosolarle nell’olio, dissalare e spinare le sarde. Sciolte le sarde, alzare la fiamma, aggiungere i pinoli e l’uvetta scolata e far cuocere per qualche minuto. Aggiungere le cimette del cavolfiore e lo zafferano sciolto in un po’ di acqua di cottura, mescolare continuamente per rompere le cimette, salare e pepare. “Saltare” la mollica con l’olio per renderla croccante. Cuocere la pasta nell’acqua di cottura del cavolfiore, scolarla al dente metterla in padella con il condimento e coprire il tutto con la mollica di pane, come formaggio grattugiato. Sonia Peronaci, autrice della ricetta, ci ricorda che i “broccoli siciliani” sono i cavolfiori e che la mollica di pane croccante che si usa in Sicilia per condire moltissimi primi piatti si chiama atturrata, cioè abbrustolita. Un tempo era chiamata anche il formaggio dei poveri.
I nomi siciliani dei “piatti” servivano a Camilleri per rendere intenso il colore della sicilianità con il quale “dipingeva” non solo i luoghi e i personaggi, ma anche i modi dei delitti e delle indagini condotte da Montalbano e dalla sua squadra. Lo scrittore chiuse le porte dei suoi romanzi ai delitti di mafia fin dal primo romanzo, “Il corso delle cose”, pubblicato nel 1978: – Delitto di mafia? Vogliamo scherzare? Il nostro è sempre stato un paese babbo, un paese stupido, qui gli omicidi in dieci anni, si contano sulle dita di una mano sola, e sempre si è trattato di qualche cornuto risentito, di interessi, di qualche ubriaco di cervello caldo. E anche quando compare qualche mafioso, il suo compito è quello di garantire che il crimine su cui sta indagando Montalbano non è opera di un “picciotto”.
C’è poi il divertimento linguistico, che talvolta spingeva lo scrittore a mescolare lingua italiana e lingua siciliana, e a creare camurria, cabbasisi e catamiarsi. I nomi dialettali dei “piatti” inducono il commissario a reazioni “sentimentali” che diventano un aspetto significativo della sua persona. Per esempio, quando nel romanzo “La gita a Tindari” Montalbano apre il frigorifero e vede la caponatina che gli è stata preparata, prorompono nella sua bocca “le note della marcia trionfale dell’Aida.”. Nello stesso romanzo il giornalista Nicola Zito, seduto in veranda, si gode una pappanozza, “piatto povero di patate e cipolle messe a bollire a lungo, ridotte a poltiglia col lato convesso della forchetta, abbondantemente condite con sale, olio, aceto forte, pepe nero macinato al momento…”: è la sinfonia dei gesti: e di gesti e di “cose” sono fatti la “verità” di una scena e il realismo della pagina che la descrive.
Camilleri avverte il fascino fonetico di certe parole che col suono già fanno capire odori e sapori delle pietanze: la pasta piena di cacio è ‘ncasciata e i broccoli del piatto di cui diamo la ricetta sono arriminati, e cioè rigirati senza sosta perché si mescolino completamente con gli altri ingredienti, e gli arancini di Adelina piacevano tanto al commissario che il loro ricordo era trasuto nel suo patrimonio genetico. Camilleri sa che certi “piatti” sono i fili conduttori della nostra memoria, e questa certezza diventa un tema di vasto respiro in molti romanzi e detta all’autore pagine in cui si nota chiaramente l’influenza del grande scrittore spagnolo Manuel Vàzquez Montalbàn, in onore del quale il commissario di Camilleri ebbe il nome di Montalbano. Pepe Carvalho, il protagonista dei romanzi di Montalbàn, amava la buona tavola, e lo scrittore spagnolo pubblicò le ricette dei “piatti” che Pepe preferiva. Montalbano sta a tavola quasi sempre da solo, e in assoluto silenzio. Il mangiare lo aiuta a eliminare i dubbi e le incertezze e a mettere ordine tra i pensieri confusi, arriminati nel disordine. Ci fa notare Renato Bertacchini che Il commissario ha due modi di mangiare pesci e molluschi, spigole aromatizzate con aglio, e polipetti (purpiteddri) come antipasto. Il primo è quello di spinarli, i pesci, “raccogliendo nel piatto le sole parti commestibili e quindi principiare a mangiarsele”. Il secondo consiste “nel guadagnarsi ogni singolo boccone, spinandolo nel momento”. Occorre più tempo, ma la soddisfazione è maggiore: “durante la ripulitura del boccone già condito, il cervello preventivamente mette in azione gusto e olfatto e così pare che il pesce uno se lo mangi due volte”.
Immagine piatto, fonte: Sonia Peronaci
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