La ricetta di Biagio,Trippa al peperoncino,“perciativa” come un tiro a giro di Insigne. E Paulo Sousa “fa” il portoghese

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G.Ricchi, Mangiatori di trippa

Il peperoncino “percia”, perfora e trafigge, la pastosa monotonia delle patate e della trippa, così come i colpi ad effetto di Insigne imprimono moti più rapidi alla trama dei palleggi del  Napoli. Il tiki-taka della Fiorentina è una ragnatela senza ragno. Sousa “fa” il portoghese, lo spettatore non pagante….

 

Ingredienti ( per 5 persone) gr.500 di trippa di vitello cotta; gr.400 di patate che “nun se sfarinano ampressa”; una carota, sedano, cipolla, rosmarino, 3 peperoncini piccanti, olio extravergine di oliva, sale. Tagliate in piccole e brevi strisce la trippa cotta e poi anche lessata in acqua aromatizzata con cipolla, sedano e carote. Mettete a raffreddare le strisce e intanto lessate le patate profumandole con il rosmarino; fatele raffreddare, tagliatele a fette, disponete le fette su un piatto di portata, mescolatele con le striscioline di trippa. Preparate un soffritto con abbondante olio di oliva e con i pezzetti di peperoncino e moderate il fuoco sotto la padella; quando il soffritto sarà pronto, condite la trippa e le patate, e portate subito in tavola, poiché, come dice la cultura popolare, la trippa va consumata calda. La ricetta l’ho imparata da uno chef calabrese, e infatti è registrata anche da Vito Teti; ma mi è stato garantito che la ricetta fa parte anche della cultura vesuviana. Di mio ho aggiunto il rosmarino e, soprattutto, il tipo di trippa che proviene da un vitello podolico, allevato con un menù di cui facevano parte fieno, orzo, foglie di mais, cavoli, castagne e navoni. In questo piatto “popolare” l’olio svolge un ruolo essenziale, perché gli aromi e il vigore del soffritto “finale” sono determinanti nel costruire il sapore primo del piatto. Ho usato l’olio di Villa Dora.

Biagio Ferrara

 

Gusto il piatto preparato da Biagio davanti alla TV: per farmi un dispetto i commensali, all’unanimità, pretendono di guardare Napoli – Fiorentina.  Faccio il democristiano, non solo non protesto, ma voto a favore, anzi insisto, e per 90 minuti non rispondo alle provocazioni,  e alla fine “ me sceruppo” da stoico anche gli sfottò: mi aiuta nel trovare in me una tale riserva di pazienza l’immagine della ruota che gira, del pallone  che Saba, Brera e Berselli esaltarono come simbolo del destino  e della fortuna.  Penso ai giochi delle metafore e mi chiedo se sia possibile trovare qualche corrispondenza tra  la trippa al rosmarino e al peperoncino preparata da Biagio, e la partita che scorre sullo schermo.

La trippa con le patate ha, in genere, un sapore pastoso, uniforme: assaggiata la prima nota, il resto si consuma senza sorprese,  secondo  una trama di prevedibili “palleggi”. Anche nella pietanza preparata da Biagio il sedano “chiama” la cipolla, la cipolla fa sponda alla carota, e la patata smussa, smorza, contiene, attenua e tempera le note della carne: qualche boccone lo annacquerebbe perfino, se  la nobile intelligenza dell’olio di Villa Dora non illuminasse con la sua eleganza tutta la “macchina” del piatto. La collosa consonanza di questo connubio tra patata e trippa la associo al tiki-taka a cui si abbandonano per lunghi tratti le due squadre, mettendovi il Napoli più velocità, e le variazioni improvvise e magistrali – veri colpi di teatro – di due estrosi attori, Zielinski e Diawara,  mentre la Fiorentina si impiglia e si aggroviglia in una ragnatela noiosa e senza ragno, sotto lo sguardo muto e neutro del suo allenatore, Paulo Sousa, il portoghese che fa troppo spesso il “portoghese”, e cioè lo spettatore non pagante, e talvolta mi richiama alla mente il dottor Pereira della prima parte del romanzo di Antonio Tabucchi.

Anche stasera Sousa è distratto, o poco risoluto: non vede che Badelj nei momenti decisivi stona e stecca, che Cristoforo sprofonda nella pasta dei palleggi napoletani, che Kalinic sta fermo a meditare sui tesori cinesi, che Bernardeschi non sa cosa fare per dare un significato al suo stare e al suo muoversi: è insomma preda di una angoscia filosofica.

Biagio affida al peperoncino il compito di “perciare” l’atona uniformità della zuppa con gli improvvisi affondi di un sapore acuto che rapido si impenna  prendendo slancio dalle note del rosmarino; allo stesso modo, dai ricami palleggiati del Napoli balzano fuori i tiri a giro di Insigne, che scuotono tempo, spazio e traversa, squarciano gli schemi difensivi, “sorprendono” i portieri, soprattutto quelli dal nome lungo che finisce in un cupo “u”, Tatarusanu, imprimono a tutto l’insieme un’accelerazione travolgente: è un vortice: lo schiocco del legno accende il clamoroso entusiasmo del pubblico e da queste viene infiammato l’impeto dei calciatori, a tal punto che uno di loro, lo spagnolo Callejon  è più volte travolto da questo turbine che viene giù dagli spalti, e cade a terra da solo, con la stessa eleganza con cui corre, scarta e tira. Ma gli intellettuali che tifano Napoli dovrebbero ricordare a Callejon qual è il destino del soldato spagnolo nei testi napoletani della commedia dell’arte.

E come le curve traiettorie disegnate dal magico piede di Insigne danno un senso nuovo anche al rettilineo intrico dei palleggi in cui si consuma la partita – come se con quei tiri ad effetto l’artista di genio ritornasse signore del calcio, sottraendone il controllo alla scolastica monotonia dei geometri -, così il peperoncino consacrato e nobilitato dall’olio di Villa Dora trasforma il piatto “popolare” in un “luogo” del gusto in cui si incontrano e si intrecciano storie e memorie di sapori e di profumi.  Mi piace l’immagine dell’ “intelligenza” dell’olio: la riprenderò…….