Il “Pullecenella” di Gianno Sallustro non è più una “maschera”, ma è un personaggio che, come il Pulcinella dei “Quadri plastici” di Petito, è chiamato a confrontarsi con i personaggi “reali” del sistema sociale. L’importante attività pedagogica dell’Accademia Vesuviana del Teatro e del Cinema, che festeggia i dieci anni di attività. A Ottaviano l’ “Estate Medicea” organizzata dall’ Assessorato alla Cultura e dallo staff del sindaco.
Nel 1870 Antonio Petito mandò in scena “I quadri plastici”, una commedia costruita per prendere in giro la moda dei “quadri viventi” che un certo Felix aveva ideato e diffuso a Napoli una decina d’anni prima. Protagonisti dell’opera sono, con Pulcinella, l’usuraio don Lesena Scajenza, il collettore Don Asdrubale Barilotto, l’avvocato Don Pangrazio Cocozziello, interpretato da Davide Petito, il locandiere Rosecariello: insomma, le “maschere” di quelle commedie in cui da qualche anno don Antonio sviluppava la parodia dei modi, delle mode e delle manie di una certa borghesia napoletana, “colpita” da improvvisa ricchezza. L’interesse per l’attualità e la complessità stessa della parodia spinsero l’autore non solo a trasformare le “maschere” fisse, compreso Pulcinella, in personaggi veri e propri, ma anche a modificare le strutture linguistiche e le tecniche di recitazione.Quale sia stato il contributo fornito da Giacomo Marulli a questa fase nuova del teatro del suo amico Petito, non è facile dire: per ora mi limito a ricordare che Giacomo Marulli era imparentato con la moglie di Michele de’ Medici, penultimo principe di Ottajano, e che Antonio Petito trovò sempre, in Michele e nel padre Giuseppe, generosi e riservati protettori.
Nelle “felicissime sue peripezie amorose” raccontate da Gianni Sallustro Pullecenella Cetrulo incontra, agli incroci del mondo reale, personaggi vari nel taglio e nella caratura e immerge continuamente nelle acque non sempre trasparenti della vita il suo sguardo, in cui la “maraviglia” si stempera a poco a poco. Questa commedia è un’opera che da sola basta a “rappresentare” concretamente i valori culturali a cui si ispira l’“Accademia Vesuviana del Teatro e del Cinema” di Gianni Sallustro. I giovani allievi dell’Accademia vengono sollecitati, tra l’altro, a ricostruire dall’interno emozioni, inclinazioni e sentimenti che costituiscono la sostanza del personaggio e a trarre dalla realtà quotidiana, intensamente vissuta e lucidamente osservata, i modi e le forme delle espressioni e dei gesti che si accompagnano, di solito, agli stati d’animo e alla struttura dei discorsi.
Queste idee mi fanno pensare a quello che diceva Sulerziskij, chiamato anche Suler, il collaboratore più importante di Stanislavskij: “il talento non può essere aumentato. C’è un solo mezzo per aiutare un talento medio a diventare un buon attore, un artista autentico e non solo un esibizionista delle proprie qualità: ampliare la sua visione del mondo, alimentare senza sosta il suo interesse per le questioni filosofiche, morali, sociali, abituarlo a cogliere, da uno sguardo, da un gesto, lo stato d’animo del suo interlocutore.”. Credo che Gianni Sallustro sia un regista che Suler avrebbe elogiato: un regista che consente all’attore di essere regista di sé stesso, e non lo priva della gioia di “incontrare”, senza intermediari, il personaggio, e di parlare con lui.
Si capisce chiaramente quale sia il valore culturale dell’attività “pedagogica” che viene svolta dall’ Accademia Vesuviana. Molte scuole hanno scoperto, oggi, quanto sia importante, nella preparazione di un ragazzo, imparare a suonare uno strumento, e misurarsi con il ruolo dell’attore. I retori antichi, che addestravano i loro allievi a parlare in pubblico, nelle piazze della politica e nelle aule dei tribunali, e dunque ad argomentare, a improvvisare, a ribattere, a usare tutti i gradi della polemica, dell’ironia, dell’aggressività, ricorrevano quotidianamente all’uso delle tecniche da teatro. In alcune scene delle “felicissime peripezie amorose” gli attori dell’Accademia riescono ad adeguare splendidamente i toni della voce alle “battute” dei personaggi, costruiti dalla convergente azione del realismo e del paradosso, e sanno perfino a modulare toni e timbri “stranianti”, coerenti con la studiata ridondanza dei costumi. Recentemente la commedia ha vinto il primo premio al “Fringehart Festival”. Mi avrebbe fatto piacere osservare gli attori di Gianni Sallustro mentre si confrontavano con due testi difficili, l’”Avaro” di Molière e “Miseria e nobiltà “di Eduardo Scarpetta, che essi hanno messo in scena a luglio, durante il festival “ Dieci anni di talenti”, organizzato dall’ Accademia per celebrare il primo decennio di attività. Quelle due commedie sono adatte a misurare l’abilità degli attori nel recitare i monologhi e nel sostenere dialoghi “aperti”, dialoghi in cui il “non detto” è più importante di ciò che si dice, e i silenzi hanno una funzione comunicatrice essenziale. E infatti il Maestro Sallustro dedica molta attenzione al rispetto dei “tempi” di battuta e alla “curvatura” delle pause.
La commedia sulle “peripezie amorose di Pullecenella” è andata in scena mercoledì, a Ottaviano, nel Palazzo Medici, come significativo momento dell’“Estate Medicea”. Hanno organizzato quasi tutti gli eventi di questa “Estate” l’Assessorato alla Cultura e un membro dello staff del sindaco.