Fenomenologia di Sanremo: perchè l’Italia si ferma (ancora) per il Festival

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Arriva Sanremo, si ferma l’Italia.
Dal 7 all’11 febbraio si stimano oltre 12 milioni di spettatori a sera.   

Così, il bel Paese, placa e silenzia – temporaneamente – i problemi che animano la vita degli italiani.

Riflettiamoci un po’.

In uno scenario così complesso – animato dalle due contraddizioni politiche degli ultimi giorni – c’è davvero bisogno del Festival di Sanremo?


L’opinione pubblica, inevitabilmente, è divisa.
Critici illustri, intellettuali e dotti, credono che in questo
delicato momento il “caro” Festival della canzone italiana non sia una priorità.

Lo zoccolo duro anti-sanremese per anni ha insistito sullo sciupio economico e mediatico della kermesse di canzonette.
È davvero così? Sanremo è solo marketing e spazzatura?


Qualche prima risposta ci proviene dai numeri.
Negli ultimi dieci anni hanno guardato Sanremo – in media fra picco massimo e minimo di ascolti –
60.368.629 di persone!
Su costi e benefici rimando all’articolo:https: https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/AE6x4NhC

Seguendo un elementare discorso mutuato da Umberto Eco, è possibile che alla moltitudine di queste genti piaccia la merda, così come è possibile che un format come quello sanremese resista, nonostante i suoi 73 anni e le sue crisi di mezze età.
Restando sempre in ambito aritmetico, tanti sono gli artisti che partendo da Sanremo hanno scritto la storia della nostra
canzone. Da Modugno a Villa, da Celentano a Morandi e poi Matia Bazar, Pooh, Ramazzotti, Pausini, Elisa, Masini, fino a Mahmood e Diodato.
Insomma se oggi tutti cantiamo “Nel blu dipinto di blu” – Sanremo ’58 – un motivo ci sarà.


Non importa però se oggi, dati alla mano, il Festival sia il programma più seguito e longevo della televisione italiana; è importante invece accende il riflettore sul messaggio di Sanremo – fin dal 1951 – proprio quest’anno.


Anche “L’italiano medio”  si emancipa con il festival; e di contro anche il dotto, il “bastian contrario” pur di poterlo condannare e bofonchiarne la morale ramanzina dovrà guardarlo e sopportare che sui social, al lavoro e al bar, le parole festival, canzone, vincitore, bel testo, pessimo vestito, ridicolo, fantastico saranno pronunciate da qualcuno.

Ciononostante,
questo vecchietto ligure e nazionalpopolare, ci offre la possibilità di ascoltare canzoni neonate, di discutere davanti alla propria Tv dell’ipotetico vincitore, di commentare il super ospite straniero, di trovare – grazie al satiro di turno – l’opportunità di evidenziare l’assenza dello Stato e della politica.
Sanremo è
un momento di incontro, di convivialità, di umanizzazione.


La musica, protagonista indiscussa, si rende anche volano per la discussione, la riflessione e il confronto su ampie tematiche che attanagliano la nostra vita.


Come disse una volta il prof. Palmieri all’Università, dove c’è una gara c’è tifo e dove c’è tifo, c’è la speranza di vittoria; quella che tutti abbiamo perduto.

Che le “canzonette” siano valide o feticci del mercato discografico attuale, poco importa.


Cinque giorni, solo cinque per nuove melodie che facciano da contrappunto al buio dominante di questo tempo. Qualche ora – sospendendo la pressante routine quotidiana – per non pensare alle magnifiche sorti e progressive e distendere la nebulosa coltre di pensieri.


Un momento per ritrovarsi, nonostante tutto, uniti come Paese.
Forse, in fondo, proprio perché:
Sanremo è Sanremo!