I rischi connessi all”uso strumentale della giustizia. L”operatore del diritto deve sempre valutare con coscienza e cautela le vicende che prospettano le parti. Di Simona Carandente
Nella variegata e multiforme casistica delle vicende umane, semplici o complesse che siano, il ruolo dell’operatore del diritto è senza dubbio delicato e di alto impatto: laddove vengano prospettate situazioni di rilevanza legale, sia dal punto di vista civile che penale, occorre assumere atteggiamenti corretti e calibrati, deontologicamente e giuridicamente. Coscienza e cautela, in particolare, imporrebbero una valutazione attenta e preliminare delle vicende prospettate dalle parti, esponendo analiticamente i pro ed i contro e ponendo l’utente finale in condizione di scegliere con ponderazione se iniziare o meno un percorso legale, con tutte le conseguenze del caso, talvolta ben più grandi dei benefici stessi.
Assolutamente da condannare è, ad esempio, la sempre più diffusa tendenza a denunciare indiscriminatamente persone e fatti, senza prospettare alla “persona offesa” eventuali alternative all’azione penale, per sua natura di carattere residuale e vera e propria extrema ratio, cercando altresì di effettuare una vera e propria scrematura tra denunce pretestuose e condotte delittuose vere e proprie. A trovarsi più spesso di fronte a tali problematiche è il legale che, per vocazione o specializzazione, sceglie di difendere vittime (prevalentemente donne) di reati commessi in ambito familiare, quali maltrattamenti, molestie, violazione degli obblighi di assistenza, le quali sono spesso intimorite dalle reazioni dei propri compagni, oppure intenzionate a salvaguardare il proprio nucleo familiare ad ogni costo.
In tali casi, è necessario prospettare alle vittime dei reati che l’azione penale, avviata senza che sussistano realmente i presupposti di fatto, può ritorcersi contro la denunciante, passibile a sua volta di una denuncia per calunnia o falsa testimonianza.
Nel caso di specie, una donna contattava urgentemente il legale perché vittima, da tempo immane, di episodi di violenza da parte del marito: nell’ultimo, intollerabile avvenimento, era stata costretta ad un breve ricovero ospedaliero, con conseguente referto medico, in seguito al quale si era avviato un procedimento penale per tutta una serie di gravissimi reati. All’appuntamento in studio, la donna si presentava vistosamente tumefatta: eppure, era evidente in lei un enorme senso di colpa per i maltrattamenti e le minacce subiti, come del resto confermato dall’atteggiamento del proprio padre-padrone che, senza alcun dubbio, si era schierato dalla parte del genero, uomo a suo dire esemplare ed ottimo padre di famiglia.
Trascorso qualche giorno, la donna manifestava al legale la volontà di ritirare quanto aveva denunciato, posto che il marito era tornato a casa ed ogni conflitto sembrava, oramai, definitivamente superato. Nel nostro ordinamento, tale operazione è praticabile solo in caso di reati perseguibili a querela di parte, espressamente previsti dal legislatore: in tali reati la volontà punitiva è rimessa in sostanza alla persona offesa, che può decidere di rimettere la querela e far sì che non si proceda contro l’autore del reato.
Negli altri casi, il problema non è di facile soluzione: a prescindere dalla volontà della persona offesa, il procedimento penale segue comunque il suo corso, e l’eventuale ritrattazione porterebbe ad un nulla di fatto, esponendo addirittura la vittima ad il rischio di una condanna penale. In casi come questo, occorre sempre attendere eventuali ed ulteriori eventi, tenuto conto che, seppur in casi rari, le manifestazioni di violenza potrebbero essere realmente singole e sporadiche, seppur deplorevoli. In caso positivo, si potrà prospettare la questione innanzi all’autorità giudiziaria, confidando nella sensibilità del giudicante, che potrebbe pervenire anche ad un’assoluzione dell’imputato nonostante la procedibilità di ufficio del reato. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)