Quando un figlio diviene merce di scambio: separazione tra coniugi e reati connessi. Di Simona Carandente
In una società quale quella odierna, dove il concetto di famiglia è sempre più evanescente, con tendenza ad inglobare nella definizione famiglie di fatto, allargate, riformate più e più volte, non sono solamente le questioni economico-civilistiche, connesse a filo doppio alle varie forme di separazione, ad essere affrontate nelle sedi e con i mezzi che la legge mette a disposizione di chiunque ne abbia interesse.
Negli ultimi anni si è registrata una grossa tendenza da parte di coniugi, ex coniugi e conviventi di fatto, ad adire la sede giudiziaria penale per la tutela dei propri, pretesi diritti ed interessi, sovente in rappresentanza dei figli minori, con il risultato di ingolfare letteralmente la già oberata macchina della giustizia, spesso in maniera vana e pretestuosa.
Tuttavia, non sono rari i casi in cui, alla rottura del rapporto matrimoniale o di fatto, magari accompagnata dalla nascita di un nuovo legame sentimentale, consegue il totale disinteresse nei confronti dei figli naturali, sia in senso economico che morale ed affettivo, solo perché quest’ultimi, incolpevolmente, hanno sposato la posizione dell’uno o dell’altro genitore, sovente quello più "debole".
In casi del genere l’art.570 c.p. punisce la condotta di chi, serbando una condotta contraria alla morale delle famiglie, si sottragga agli obblighi di assistenza propri della figura genitoriale, facendo mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori e non, accompagnando tale condotta al disinteresse per la vita, l’educazione e tutto quanto attiene alla vita dei propri discendenti.
Tale reato, punibile a querela della persona offesa, può comportare una condanna fino ad un anno di reclusione, con l’eventuale obbligo di corrispondere una somma in via provvisionale, oltre a tutti i danni economici patiti, la cui valutazione è rimessa alla quantificazione del giudice civile.
Ma tutte le medaglie hanno il loro rovescio. Accanto ai casi di totale, ed assoluto disinteresse nei confronti della prole, ve ne sono altri, non meno numerosi, in cui ad uno dei genitori (spesso il padre) viene impedito o limitato l’esercizio di tale diritto, assumendo condotte meramente pretestuose ed impeditive dei diritti di visita, nonché di quanto stabilito dal giudice in sede di separazione civile.
Il reato che scatta in tali casi è quello previsto e punito dall’art.388 c.p., contenente una variegata serie di disposizioni, tra le quali quella che punisce con la reclusione fino a tre anni chi eluda l’esecuzione dei provvedimenti del giudice civile, statuenti le modalità dell’affidamento della prole, la quantità e l’esercizio dei diritti di visita. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)
I CASI E I FATTI TRATTATI DALL’AVV. CARANDENTE