I fatti di questi giorni dimostrano che la gestione dell”acqua svolge un ruolo primario nel controllo dell”ordine sociale. Di Carmine Cimmino
Per qualche stagione si disse che la causa prima della crisi idrica estiva era un tubo, che si rompeva, a scadenza fissa, dalle parti di Bosco: e non ho mai capito se si trattasse di Boscoreale, o di Boscofangone. Osai supporre che fosse lo stupido scherzo di uno dei démoni maligni che abitano nelle viscere del Vesuvio. L’anno scorso il tubo non si è rotto: oso supporre che i démoni siano fuggiti via dalle viscere del Vesuvio, perché non sopportano il fetore che cala giù dalle cave piene di monnezza. I démoni, che sono esperti di puzza, sanno qual è la differenza tra monnezza e rifiuti: sono démoni, non tordi cantajuoli.
I fatti di Somma Vesuviana dimostrano, ancora una volta, che la gestione dell’acqua svolge un ruolo primario nel controllo dell’ordine sociale. Chi, durante un’emergenza, regola i flussi dei rifornimenti idrici e stabilisce il calendario dei turni di approvvigionamento condiziona, di fatto, modelli e regole della vita pubblica, oltre che di quella privata, soprattutto se l’emergenza si prolunga nel tempo: soprattutto se l’economia di un Comune è costruita sul turismo, e, in particolare, – è il caso di Somma – sul turismo della ristorazione. La crisi idrica innesca rapidamente tensione e agitazione. Ma è il difetto di informazione che fa salire impetuosamente la febbre del malcontento. Il cittadino, scosso fino all’ossessione dalla mancanza d’acqua, pretende di essere informato immediatamente, direttamente, con precisione.
I centri telefonici e i siti informatici del Gestore non rispondono al bisogno, e non tutti gli utenti sono in grado di contattarli. Servono ondate di manifesti, quelli grandi, a caratteri di grosso calibro, non i fazzolettini di carta incollati sui muri che talvolta hanno annunciato, con spartana asciuttezza, che l’approvvigionamento dell’acqua era sospeso. Servono i banditori pubblici. Abbiamo il diritto di sapere da che ora a che ora l’acqua tornerà ai nostri rubinetti. Niente ci fa incazzare quanto il sospetto, che subito diventa certezza, che tutti se ne fottano e che qualcuno cerchi perfino di prenderci per i fondelli. Nisciuno sape niente. Ce mànanno a accattà ‘o ppepe.
Se Somma piange, Ottaviano non ride. Il 29 luglio l’arch. Michele Saggese, consigliere comunale, ha dichiarato a Francesco Gravetti di aver “contattato la Gori“, e “di aver spiegato ai tecnici della Gori che ridurre i rubinetti a secco senza avvertire i cittadini è profondamente sbagliato“. Ho cercato di capire se l’arch. Saggese ha “contattato“ motu proprio, o perché delegato. Ho consultato il sito del Comune, ho letto le schede del sindaco, degli assessori, dei consiglieri di maggioranza: ho trovato poca luce. L’arch. Saggese è presidente della commissione consiliare tecnica, è stato candidato in una lista “socialista, laica e riformista“. Ricordo d’aver letto, di recente, che lui e il consigliere Francesco Ciniglio, candidato nella lista di Rifondazione, firmavano da qualche tempo i documenti politici del PD, ma non avevano mai comunicato ufficialmente di aver aderito al PD.
Non so se poi l’abbiano fatto. Mi soffermai sulla notizia perché mi dimostrava che esiste ancora a Ottaviano una sezione del PD. Ero convinto, non so come, del contrario. Dunque, l’arch. Saggese parla di uno sbaglio. Profondo, ma sempre uno sbaglio: insomma, per il presidente della commissione consiliare tecnica non aver avvertito i cittadini che i rubinetti erano a secco è meno di un errore. Se sapessi ancora meravigliarmi, mi meraviglierei. Un amministratore deve stabilire se la Gori ha l’obbligo contrattuale di informare, direttamente o indirettamente, le Amministrazioni: ripeto, di informare, che è cosa diversa dall’avvertire.
Le Amministrazioni hanno il diritto di conoscere immediatamente cause, termini e gravità dell’emergenza, poiché hanno il dovere di adottare i provvedimenti di competenza. Se il contratto non prevede che la Gori informi, direttamente o indirettamente, le Amministrazioni, mi dite che contratto è mai questo? Se è un contratto “calato“ dall’alto, perché i sindaci non fanno nulla per modificarne i termini? Se il contratto prevede che la Gori informi, e invece la Gori non l’ha fatto, come mi pare di capire, allora questo non è uno sbaglio, ma è una inadempienza contrattuale. E se sia una inadempienza leggera o grave, lo lascio giudicare all’arch. Saggese.
Mi è stato confermato che il sindaco di Ottaviano ha denunciato la Gori. Ma perché non ne dà pubblica comunicazione ai cittadini? Qualcuno ha avuto e ha l’impressione che, quando parlano dell’acqua, coloro che governano la cosa pubblica a Ottaviano usino, forse per analogia, un linguaggio annacquato, una soluzione molto diluita di formule burocratiche e di argomentazioni salottiere: pare, insomma, che non vogliano fare una guerra per l’acqua, anche quando i rubinetti sono a secco, anche quando altri amministratori, dal Vesuviano all’ Agro Sarnese, alzano la voce, protestano, fanno proclami. La seconda Amministrazione Iervolino aborrisce, forse ancora più della prima, dai clamori, dal chiasso, dalle contrapposizioni troppo marcate.
Sfumare, bisogna. Talvolta, nei consigli comunali, l’uso di un linguaggio che si mantiene temperato e mite anche nel crepitio di qualche vampa polemica, rara in verità, svela un virtuosismo oratorio, chiamiamolo così, che merita di essere sottolineato e commentato. E tuttavia, sig. Sindaco, in certi momenti è necessario parlare in modo chiaro e forte. Nel rispetto della legalità, certamente. Possibilmente, della legalità sostanziale, oltre che di quella formale. Però bisogna parlare in modo chiaro e forte, in certi momenti.
Mi sembra ozioso, a questo punto, chiederci chi deve informare i cittadini. Qualche anno fa, quando ancora funzionava l’Ufficio del Difensore Civico, mi fu spiegato che anche questo compito toccava alla Gori. Ma le ragioni sostanziali della questione vogliono e pretendono che l’Amministrazione informi i cittadini sempre, anche se altri Enti hanno già provveduto: e li informi costantemente, per tutta la durata dell’emergenza. Un’Amministrazione che voglia rappresentare autenticamente la comunità, deve avere anche il coraggio di scrivere sul manifesto: Concittadini, non possiamo dirvi niente, perché nessuno ci dice niente: e di trarre le conseguenze.
Secondo le previsioni degli esperti, all’emergenza della monnezza seguirà quella dell’acqua. E allora non basterà l’autobotte che la Gori ha promesso, oggi, all’ arch. Saggese. Ottaviano avrà bisogno di fiumi d’acqua. Mi si dice, per esempio, che il “P.U.C.“ destina le terre della Maveta, a valle della Vesuviana, all’agricoltura: qualcuno pensa di impiantarvi una coltivazione di pomodori. E l’acqua? Da dove si prende, l’acqua ? Ma quelle non sono terre per i pomodori. I Domenicani e i Gesuiti vi seminavano fave. Ma sono sicuro che il destino urbanistico di quelle terre corrisponderà alla loro vocazione, che non è né georgica né pastorale. Quando verrà approvato il testo definitivo del P.U.C., si vedrà che avevo ragione.
(Foto: "Acquajole" di Giacinto Gigante, matita, penna e acquerello -1835)


