La risposta del sindaco di Ottaviano al sig. Mimmo Russo. Mi aspettavo di meglio.

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Il commento che il sindaco Capasso dedica ad alcune osservazioni pubblicate dal sig. Russo sul nostro giornale viene esaminato dal punto di vista delle tecniche dell’argomentazione. I 350 anni del “San Michele” di Luca Giordano.

Da me sollecitato a svelare il nome del consigliere che nell’aula consiliare di Ottaviano si era appisolato mentre un suo collega di maggioranza parlava di Pasquale Cappuccio il sig. Russo ha scritto, tra l’altro, che il terzo dei tre gruppi in cui gli pare che sia divisa la maggioranza “si appisola, si annoia, tace, aspetta che la piena passi per presentare poi il conto sui grandi appalti, le assunzioni, gli incarichi”. La risposta del sindaco Capasso merita di essere commentata dal punto di vista delle tecniche dell’argomentazione: non entrerò, per ora, nel merito dei temi politici.

Il sindaco corre subito a imbracciare lo scudo del “lei sarà chiamato a rispondere nelle sedi opportune”. Gli esperti di retorica non approverebbero. L’avversario si demolisce con il ragionamento, condito dall’ironia, dal sarcasmo, dall’invettiva: tirare subito in ballo le aule dei tribunali è, direbbe R. Weaver, una tecnica che pare d’attacco, ma risulta sostanzialmente difensiva. Mi dicono che anche altre volte il sindaco è ricorso a questa formula: non so se sia vero: se è vero, farebbe bene a liberarsi dal vezzo, che forse gli viene dalla sua professione di penalista, ma che non è adatto a chi vuole percorrere la strada della politica: perchè può esporre chi lo usa a quel micidiale tipo di contrattacco che si chiama “rimbeccata” .

Il sindaco dice di aver fatto “della trasparenza un valore cardine ed un modello di guida del percorso” della sua amministrazione: e fa bene. Dalle Alpi al Canale di Sicilia non c’è stato, non c’è, non ci sarà sindaco che non abbia condiviso e non condivida solennemente questo sacro principio. Ma i Romani, malati di superstizione, se avessero fatto il conto dei sindaci e dei pubblici amministratori che negli ultimi trenta anni, dopo essersi dichiarati strenui difensori della legalità, sono stati inquisiti, condannati, rimossi e “sciolti”, avrebbero immediatamente disposto che nessuno pronunziasse più, nemmeno per scherzo, quella proposizione nefasta e iettatoria. La democrazia elettiva è ora una bellissima donna, ora una brutta bestia: Cicerone, quando giudica i consoli appena eletti, prima ancora di parlare delle loro virtù e di sparlare dei loro vizi, spiega da chi hanno ricevuto i voti: sono gli elettori che fanno l’eletto.

Nessuno può presentare conti sui “grandi appalti”, dice il sindaco, perchè “i metodi di selezione negli appalti pubblici”, per sua ferma volontà, “già espressa durante il periodo del commissario prefettizio, non sono rimessi alla discrezionalità del Comune, ma alla Stazione Unica Appaltante.” Non me ne vanterei. Ho rispetto sommo delle Prefetture e delle Stazioni, ma sono un sostenitore dei valori territoriali della democrazia, non sopporto il centralismo statalista, che, diceva don Sturzo, è un mostro a due teste, è un figlio sconcio del connubio tra fascismo e stalinismo: è, insomma, quell’ indistruttibile blocco di Enti e Agenzie che sta trascinando l’Italia nell’abisso. Un sindaco non dovrebbe mai abdicare alle sue prerogative. Per fortuna la Stazione Unica Appaltante della provincia napoletana è un globo di purissimo cristallo, ma non si può dire la stessa cosa per le strutture affini che regolavano gli appalti del “Mose” a Venezia e dell’ Expo a Milano. E mi fermo qui.

A un mercante che voleva comprare per suo figlio il titolo di abate e si dichiarava pronto a offrire una cospicua somma a papa Leone x un prelato di curia disse, inorridito: ” Ma state parlando del Papa..” E quello pronto ribattè: ” Sì. È il Papa, ma è pur sempre un uomo”.
Anche la Stazione più limpida non risolve tutti i problemi. Un esempio. La Stazione affida l’appalto del taglio dei boschi montani del Comune di Atejano alla ditta “AlfaBeta”.

Quando “AlfaBeta” viene a lavorare sul territorio, deve fare i conti con me, sindaco della città: e se una quercia me la taglia storta, e se mi lascia mucchi di “pampuglie” lungo i sentieri, sono, per la ditta, cucuzzielliamari, sono scariche di lettere di addebito e di contestazione. La ditta, insomma, deve adeguarsi al territorio, deve capirne le esigenze. E, soprattutto, deve cogliere l’importanza delle “pampuglie”: su questo punto la Stazione Unica Appaltante non le può dare nessun aiuto. Atejano è il nome di una città campana in cui ho ambientato i miei racconti “gialli”: il protagonista è Pepe Mastriani junior, esperto d’arte. In onore di questo personaggio ho scelto il ” San Michele” di Luca Giordano come immagine di apertura dell’articolo: l’ultimo tocco al capolavoro il pittore lo diede nel 1664, 350 anni fa: la ricorrenza merita di essere ricordata.

Il terzo gruppo, scrive il sig. Russo, è composto dai consiglieri che si appisolano e aspettano “che la piena passi per presentare il conto sui grandi appalti, ecc.ecc.”. E dov’è l’ “illazione” vista dal sindaco ? ” Presentare il conto” è espressione neutra del gergo politico: può indicare, nella vita delle amministrazioni, l’atto con cui un “gruppo” elenca agli altri gruppi della maggioranza i criteri e i principi che desidera che siano legittimamente adottati nella gestione della cosa pubblica. Probabilmente i membri di questo terzo gruppo intendono l’azione politica nei termini del “pragmatismo”: che non è una parolaccia, ma è il nome di un fondamentale indirizzo filosofico del sec.XX. Tutti i politici, e quindi anche i politici ottavianesi, che si ispirano a Mead o a Peirce non sopportano agevolmente certe cerimonie che si svolgono sotto la costante minaccia degli scrosci di chiacchiere, e perciò si addormentano, o si distraggono. Quelle cerimonie , invece, il sig. Russo le considera – è un suo diritto – momenti fondamentali della vita pubblica. Anche io, quando in un ufficio della casa comunale di un paese toscano, vidi un consigliere che stravaccato sulla sedia aveva allungato la gamba sulla scrivania, a riposare, pensai dei brutti pensieri, e ancora oggi mi pento di non essere stato scostumato.

Il sindaco di Ottaviano si dichiara orgoglioso del “brillante risultato ottenuto il 13 settembre”intitolando l’aula consiliare a Pasquale Cappuccio e punzecchia tutti i sindaci che, in 36 anni, lo hanno preceduto : perchè ” non hanno pensato di farlo” ?. E’ questa una classica argomentazione “viperina”, nel senso che “mozzica” immediatamente proprio chi la usa. Qualche sindaco, in verità, ha intitolato a Pasquale Cappuccio e a Mimmo Beneventano strade e scuole. In ogni caso, l’opposizione avrebbe dovuto approfittare dei sindaci smemorati, e prenderli in contropiede, proponendo al consiglio ciò che essi non sapevano o non volevano proporre: l’avv. Capasso e il prof. Simonetti, che sono stati a lungo consiglieri di opposizione, sanno dirmi in quali sedute del consiglio comunale, negli anni passati, hanno nominato, anche solo nominato, Pasquale Cappuccio e Mimmo Beneventano?

 LA CITTA’ INVOLONTARIA