LIBIA, “TERRA INCANTATA”

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    In Libia è guerra? Ma no! Si sta solo attuando la risoluzione dell”ONU 1973:Di Giovanni Ariola

    Il prof. Carlo è stato assente tre giorni dall’Istituto perché ha partecipato ad un convegno organizzato dalla Biblioteca Nazionale di Torino su “Lingua e linguaggi dell’Italia Unita”, tenendo una relazione sul ruolo fondamentale svolto da Francesco De Sanctis, in qualità di ministro della Pubblica Istruzione nei gabinetti di Cavour e Ricasoli, nella creazione di un ordinamento scolastico nazionale, e, come letterato e intellettuale, nello sviluppo culturale (linguistico, letterario, storico e filosofico) negli anni difficili del periodo postunitario.

    Stando a Torino, ha colto l’occasione per fare una visita al Palazzo Madama, che affaccia sulla stupenda Piazza Castello, con il Palazzo Reale in fondo, (più grande certo ma non più bella di Piazza del Plebiscito qui a Napoli); ha potuto sedersi così sui banchi del Parlamento Sabaudo, appositamente ricostruito per l’occasione del 150° anniversario della nostra nazione e ha assistito alla simulazione della storica seduta del 17 marzo 1861 in cui fu votata la legge che proclamava la costituzione del Regno d’Italia.

    Con i colleghi poi si è concesso un giro rapido e una capatina nei caffè storici della città (“Fiorio”, “Baratti &Milano”, “Torino”, “Platti”, frequentati rispettivamente da Cavour, D’Azeglio, De Gasperi, Pavese), con la degustazione del tipico bicerin (= bicchierino – per modo di dire, in realtà un bicchierone o calice tondeggiante – sul cui interno è stato spalmato cioccolato fondente prima di versarvi il caffè, il tutto infiorato a richiesta da uno spruzzo di crema di latte dolcificata con uno sciroppo particolare, insomma tonico e corroborante).

    Dall’euforia patriottica tricolore e calorosa della prima capitale d’Italia al grigiore del salone dell’Istituto, a malapena diradato e schiarito da un sole ballerino, tipico di marzo, che “mo’ trase e mo’ esce” (=appare e scompare, ora fuori dalle nuvole ora di nuovo coperto da esse), ma reso greve e opprimente dalle notizie che assalgono e quasi azzannano dai giornali, inoculando nel malcapitato lettore la loro dose di veleno depressivo quotidiano.

    In verità i giornalisti stanno diventando sempre più creativi e ci deliziano il palato linguistico con una terminologia infiorata di metafore e figure retoriche varie, alcune non altro che immagini vizze rispolverate, stereotipi patetici e pietosi, altre più orignali: onda di morte sul Giappone, il Nordafrica in fiamme, effetto domino nel susseguirsi delle rivolte, vento di guerra,… Mubarak, l’ultimo faraone,… Odissea all’alba (chissà perché? Che vorrà dire questa espressione misteriosa partorita dalla mente di qualche cervellone del Pentagono? Del resto siamo abituati a simili fiori poetici, che giungono da oltreoceano, basti pensare a Desert Storm = Operazione di guerra per liberare il Kuwait nel 1991, o a Restore Hope = Riportare speranza, nome dato alla missione di soccorso in Somalia nel 1992).

    Esilarante l’immagine degli immigrati spalmati sulle varie regioni. Che goduria poi a leggere le consolanti (!!!) espressioni metonimiche: i dubbi del Colle (= del Presidente della Repubblica – il luogo dove risiede per la persona residente), l’irritazione del Colle, le preoccupazioni del Colle e simili.! Ma la chicca è la perifrasi con cui viene sostituita la parola guerra: in Libia si sta bombardando, ma non si sta facendo la guerra, si sta semplicemente attuando la risoluzione dell’ONU 1973, quindi un’operazione legale, lecita, pulita, persino nobile…evviva!

    La Libia, già solo con il suo nome, evoca nella mente del prof. Carlo ricordi e pensieri che per la loro eterogeneità stentano a trovare un qualche ordine. Si impone il ricordo di una persona, una sua collega, Antonietta L., insegnante di Inglese, che, cacciata con la sua famiglia da Gheddafi nell’ottobre del 1970 e costretta a rientrare in Italia senza ricevere nessun compenso per i beni che le erano stati confiscati, raccontava degli anni della sua fanciullezza e della sua prima giovinezza, lì in quella terra avara, per i due terzi desertica che i coloni italiani avevano tentato di bonificare e di far fruttare.

    – Per fortuna – ne parla, il prof. Carlo, con il collega Eligio – il padre aveva provveduto con notevole anticipo a trasferire in Italia un congruo gruzzolo con il quale potè acquistare un piccolo podere a Cisterna di Latina che poi trasformò in una vigna rigogliosa, come d’altronde fecero in molti nelle sue condizioni. Ora appunto in quei poderi dove prima si vedevano distese di frumento e si udivano i muggiti delle mucche, ora sono coperti dal verde delle viti piantate e curate con enorme pazienza. Anche questi infelici bisogna ricordare, quando si parla di emigrazione e immigrazione. Ricordo che Antonietta parlava con nostalgia di quegli anni vissuti laggiù, in particolare rievocava non senza commozione, le fantastiche sere e notti lunari, le voci misteriose e inquietanti che giungevano col vento dalle lontananze desertiche…

    – A me la Libia evoca altri ricordi – dice il prof. Eligio –, ricordi lontani dei banchi di scuola. Apprendemmo, traducendo Igino. di Libia come personaggio mitologico…. “Iuppiter Epaphum, quem ex Io procreaverat, Aegypto oppida communire ibique regnare iussit. Is…ex Cassiopea uxore procreavit filiam Libyen, a qua terra est appellata” (“Giove ordinò a Epafo, che aveva avuto da Io, di fortificare le città dell’Egitto e di regnare su quel paese…sua moglie Cassiopea gli partorì una figlia Libia, da cui prese nome la sua terra”) (Da "Caio Giulio Igino, Fabulae", traduzione di Giulio Guidorizzi, in “Igino, Miti, Adelphi Edizioni, 2000).
    – …da Epafo a Fetonte – soggiunge il collega – al suo folle viaggio sul carro del padre Sole il suo avvicinarsi troppo alla terra fino a desertificarne gran parte: “tum facta est Libye raptis umoribus aestu,/ arida…” (“allora la Libia divenne deserto per l’essiccarsi dei suoi umori nel fuoco” come narra Ovidio ( “Metamorfosi”, II, 237-38, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondatori Editore, 2005)…

    – ….ma ci sono ricordi più vicini e più scottanti – riprende il prof. Eligio – i racconti di mio padre che partecipò alle operazioni di guerra al comando del generale Rodolfo Graziani nel 1930/’31 per la “pacificazione” (si fa per dire) del Fezzan, nel sudest libico, fu ferito nella occupazione dell’Oasi di Cufra e quindi rimpatriato. A volte gli capitava di canticchiare “Tripoli bel suol d’amore,/ ti giunga dolce questa mia canzon!/ Sventoli il tricolore/ sulle tue torri al rombo del cannon….Tripoli, terra incantata,/ sarai italiana al rombo del cannon!….( Canzone di Giovanni Corvetto, con musica di Colombino Arona, che celebra quest’anno il suo centesimo compleanno come la Campagna di Libia nella guerra italo-turca). Canticchiava ma senza nessuna nostalgia per carità, piuttosto con brividi di dolore nel rievocare le fatiche, gli stenti, le paure e i morti tanti morti là nel deserto…

    – Sì, c’è tanto sangue italiano in terra di Libia mescolato a quello, altrettanto abbondante, versato dagli indigeni a causa delle nostre armi…
    Squilla un cellulare, quello del prof. Carlo che, verificato il numero e riconosciutolo per quello del collega Permario, inserisce il vivavoce

    – Chiamo da Bengasi…sarò assente alcuni giorni…sono riuscito ad imbarcarmi su una nave che portava aiuti umanitari…non ho resistito, ho voluto constatare di persona e avere notizie di alcuni amici, italiani e libici che lavorano tra l’Università di Bengasi e la Grande libreria nazionale Daral Kutub.

    Purtroppo questa l’ho trovata chiusa…all’Università ho trovato un vecchio docente che ho conosciuto a maggio dell’anno scorso a Tripoli, presso l’Istituto Italiano di Cultura, in occasione della conferenza di commemorazione, a quattro mesi dalla morte, di Khalifa Mohammed Tillisi, uno dei più grandi scrittori libici e illustre italianista che ha avuto il merito di far conoscere nel suo paese la nostra letteratura: Pirandello, Sciascia, Buzzati, Montale…l’amico Mohammed mi ha detto che, quando è cominciata la rivolta, molti sono andati via da Bengasi e se ne stanno nascosti per paura di rappresaglie, in attesa che la situazione si chiarisca…forse i più giovani si sono uniti agli insorti…

    La comunicazione si interrompe e risulta vano ogni tentativo del prof. di chiamare a sua volta.
    – Chissà se Tripoli potrà ritornare ad essere “bel suol d’amore”, “terra incantata” – sospira il prof.Eligio…
    – Per i Libici soprattutto, liberi e uniti – soggiunge il collega – e un po’ anche per noi Italiani…ma per carità senza più “il rombo del cannon”!

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