L”italiano ha conquistato l”Italia, l”unità linguistica del Paese è fatta. Ora, bisognerebbe recuperare i dialetti:
Di Giovanni Ariola
Il prof. Carlo A. ha appena messo la parola fine (da buon linguista!) ad un articolo su “Monolinguismo e plurilinguismo a scuola” da inviare a “Lingua Nostra”, la prestigiosa rivista fondata da Bruno Migliorini e Giacomo Devoto, ora diretta da Giovanni Gentile, chiude il suo portatile e si concede una pausa per dare un”occhiata ai giornali.
Poco distante il prof. Eligio Ligio è immerso nella lettura di un libro di recente pubblicazione e il cui titolo lo ha molto incuriosito. Si tratta di “Quando i Romani andavano in America” (Palombi editore, Roma, 2009) in cui l”autore, Elio Cadelo, basandosi su una testimonianza di Plinio il Vecchio, che racconta di marinai giunti dopo quaranta giorni di navigazione alle Esperidi (isole o terre dell”ovest), sostiene la tesi che i Romani possano per caso essere approdati sulle rive del continente americano. Al rumore dei fogli del giornale, alza la testa e si concede anche lui una pausa.
– Hai seguito – si rivolge al collega – ieri sera in TV, la trasmissione sulla 777 “Arti e Scienze”?
– No, son dovuto uscire ma l”ho fatta registrare e conto di vederla stasera.
– C”è stato un servizio molto interessante sulle civiltà antiche del Mediterraneo. L”intenzione dell”autore era di dimostrare, sulla base di elementi comuni esistenti nelle varie culturedei paesi (di ben tre continenti!) che si affacciano sul nostro mare, la possibilità e l”utilità di costituire una Unione Mediterranea, ossia una comunità dialogante, tollerante delle diversità, ma soprattutto solidale, che dovrebbe coesistere e collaborare con la Comunità Europea, anche al fine di fondare una rete di relazioni pacifiche e di cercare nuovi e più umani sistemi di vita.
– Idea suggestivae degna di essere sostenuta. – commenta il prof. Carlo – A proposito di TV:ti chiedo scusa seoso parva componere magnis (mescolare questioni così elevate con cose terra terra) l”altra sera è capitato che mia figlia, la quale ama assistere ad uno dei tanti quiz televisivi in cui si distribuiscono soldi come se fossero noccioline, è venuta nel mio studio a chiedermi il significato di “pastinaca”, aggiungendo che il concorrente, un giovane proveniente da Napoli, cui era stato posto il quesito nella trasmissione, non aveva saputo rispondere. Mi è sembrato strano che sia mia figlia sia il concorrente napoletano non conoscessero questa parola che veniva usata fino a qualche decennio fa nel nostro dialetto per indicare la carota (“pastenaca” nella versione dialettale).
Eppure ero convinto che mia figlia lo conoscesse il dialetto, dal momento che usa spesso scherzare e divertirsi a mescolare con l”italiano le parole più colorite del vernacolo. È facile udirla pronunziare, anche con una certa enfasi: “Vi piacciono i miei sciuquagli (orecchini)?” o, rivolta alla madre,”Ti ho detto tante volte che a me il petrusino (prezzemolo) non mi piace, appena appena sopporto la vasenicola ( basilico)”.
– Non ti sembra – osserva il prof. Eligio – che questo fatto sia riconducibile al fenomeno di espansione e di affermazione dell”italiano, ossia della lingua nazionale?
– È stato già ampiamente sottolineato – ammette il collega – da eminenti studiosi che subito dopo la fine della seconda guerra si è sviluppato questo processo di unificazione linguistica a scapito della varietà dialettale:Voglio leggerti due citazioni che ho qui sottomano:che mi sono servite per l”articolo che ho appena finito: “Dopo due millenni – scrive Tullio De Mauro (Grande Dizionario dell”uso, UTET, Introduzione, I, p. X) si è effettivamente raggiunta la tendenziale unificazione linguistica delle classi sociali e delle diverse regioni del paese in un grado pari, anzi superiore a quello che si ebbe durante il pieno Impero romano”.
E A. Asor Rosa (“Novecento primo, secondo e terzo, Sansoni, 2004, p.170”) “Sarei dunque proprio dell”opinione:.che in Italia esista ormaiquella koinè linguistica a livello di massa che Pasolini preannunciava più di quindici annior sono, subito dopo affibbiandole la connotazione negativa di una nuova egemonia piccolo borghese sugli strati popolari e proletari e sui dialetti. A me pare, invece, che a formarla abbiano contribuito apporti molteplici e in genere tutt”altro che negativi: non tanto la scuola, impari anche questa volta al suo compito e anzi responsabile dei superstiti pregiudizi linguistici; bensì le possenti trasmigrazioni interne, politiche e sociali, il potenziale unitario (anche comunicativo) scaturito dalle lotte politiche e sindacali, le battaglie condotte per le riforme civili e per le trasformazioni socio-economiche; e, accanto a questi fenomeni, la diffusione della stampa e l”affermazione della radio-televisone:”.
– D”altra parte dovresti ricordare – conferma il prof, Eligio – che in tutte le famiglie diciamo “borghesi” o che si andavano imborghesendo e che aspiravano ad elevarsi socialmente, si verificò questo sforzo di mettere la lingua in pulito (di parlare in italiano. L”espressione era usata dai contadini per indicare la lingua parlata da tutti coloro che esercitando professioni o svolgendo un”attività che non comportava la possibilità di sporcarsi, indossavano abiti puliti), come si diceva allora e parlo sempre del periodo dopo la guerra:
– Se me lo ricordo!? – continua il prof. Carlo – Sono stato letteralmente ossessionato da una mia zia sempre pronta a rimproverarmi, quando usavo termini o espressioni dialettali:Una volta, eravamo al mare, sulla spiaggia di Castellammare di Stabia, mi permisi, uscivo dall”acqua finalmente dopo ripetuti richiami di mia madre, di chiedere alla mia genitrice alla presenza di signore “bene”, tra cui anche mogli di pezzienti risagliuti (poveri arricchiti, nuovi ricchi, “villani ripuliti”) ma che appunto avevano messo la lingua in pulito, come hai opportunamente ricordato tu, osai chiedere “Oi mà, mm” “o dai nu maccaturo? (Mamma, me lo dai un fazzoletto?) (Esiste anche la variante muccaturo, preferita daD”Ascoli e da Altamura). Non tanto mia madre, quanto mia zia avrebbe voluto sprofondare dalla vergogna e dopo, giù una predica che non finiva mai:
E ora che l”italiano si è imposto e ha conquistato la sua egemonia nazionale, sebbene continuamente insidiata dalla dilagante (nel mondo) egemonia anglofona, mi dispiace di questa dimenticanza anzi di questa graduale scomparsa del nostro dialetto.. nell”uso e peggio nella memoria dei nostri giovani…lo considero un impoverimento culturale:ma tant”è:..
Come scrive Tullio De Mauro in questo suo libricino (piccolo di formato, s”intende!) appena giunto qui in Istituto (“In principio c”era la parola?”, Il Mulino, 2009, p. 29) “nella realtà una lingua è vivante, diceva già Saussure, solo se la guardiamo come una mobile area di raccordo del convergere e del divergere degli usi linguistici di parlanti reali spinti dalla necessità di farsi comprendere e di comprendere il prossimo.”
– Tuttavia – ribatte convinto il prof. Eligio – bisognerebbe attivare qualche iniziativa di resistenza:di difesa del nostro dialetto:.
– Sì, d”accordo, – concede il collega – Purchè questo poi non diventi un tentativo aberrante, reazionario e involutivo, di annullare il traguardo tanto faticosamente raggiunto dell”unità linguistica (e non solo linguistica) del nostro paese.