Sia prima che dopo il 1860, l”idea di rinnovare le istituzioni e la società è stata sempre annacquata da mille furberie. Ecco cosa è accaduto nell”unico feudo del Vesuviano, quello dei Medici di Ottajano. Di Carmine Cimmino
La borghesia meridionale, che un chiaro disegno politico condannava a crescere poco, era composta da proprietari terrieri. I quali furono prima borbonici e subito dopo piemontesi a patto che non si aprisse la questione dei titoli di proprietà, e la distribuzione delle terre demaniali ai contadini continuasse ad essere ciò che da sempre era stata, solo un argomento per le chiacchiere di quei salotti in cui si riunivano i liberali estremisti, i riscaldati, come li chiamavano i commissari di polizia, sia prima del 1860, sia dopo.
Con i decreti sulla eversione feudale Gioacchino Murat si propose di demolire il potere della nobiltà meridionale, di creare una sostanziosa classe di piccoli proprietari terrieri, e dunque di potenziare l”economia del regno: il che avrebbe innescato il rinnovamento delle istituzioni, delle strutture sociali e avrebbe ampliato progressivamente il ceto dirigente. Questo in teoria. Quello che successe sul campo è scritto negli atti della Commissione Winspeare, a cui i Francesi avevano affidato il compito di regolare le operazioni. E son cose, si diceva una volta, da Santo Uffizio. Posso tentare di spiegarne la fantastica gravità raccontando, per sommi capi, quello che accadde intorno all” unico feudo del Vesuviano, quello dei Medici di Ottajano: centinaia di moggia di terra, tra Ottajano e Terzigno, in parte boschi, in parte vigneti.
I Medici, deboli politicamente per la dichiarata ostilità del potere francese, e gravati dai debiti, non riuscirono ad evitare che preziosi vigneti, dichiarati “feudali” dalla Commissione, venissero confiscati e divisi in quote per essere assegnati, con pubblico sorteggio, a 96 censuari di cui era certa la condizione di povertà. Per carità di patria, non raccontiamo come fu fatto il pubblico sorteggio, perchè dovremmo parlare dei progetti di autonomia di San Giuseppe che allora era “quartiere” di Ottajano, e usciremmo fuori tema. Diciamo, invece, che nel 1809 il Ministro dell” Interno, avendo avuto notizia che nel sorteggio di Ottajano c”era stata una qualche stranezza, inviò sul posto, a controllare, il cavalier De Thomasis. Il quale, dopo aver ascoltato le parti, certificò che non era successo niente, “anche se le carte non sono bene in ordine, lo che sarà riparato“.
Così scrisse, testualmente. E quando chiese di controllare qualche lotto, i volponi locali lo condussero nei luoghi più desolati del Piano di Borde, coperti di “spine felci erbe selvagge lapillo ed enormi mole di pietra.”, e gli fecero credere che per invignare quelle lande desolate sotto il Vesuvio fossero necessari, per ogni moggio, 200 ducati e 6 anni di fatica senza frutto. Da dove avrebbero preso i soldi i poveri censuari? Commosso, il De Thomasis autorizzò i 96 infelici a contrarre società con le persone più agiate, ma solo sui frutti. Il 27 febbraio Winspeare espresse al Ministro dell”Interno il sospetto che i 96 coloni possedessero i fondi a titolo di lungo affitto, dopo il quale dovevano passare in proprietà di coloro che hanno somministrato il danaro.
Andati via i Francesi, i Borbone ritornarono in sella, e con loro i Medici di Ottajano. Nel 1817 Luigi de” Medici fece nominare il nipote Michele Intendente della Provincia, e Michele ordinò un”inchiesta sul sorteggio e sul De Thomasis, per dimostrare che era stato tutto un grande imbroglio e che i 96 censuari erano solo dei prestanome delle persone agiate. Le quali, intanto, erano tornate borboniche di pura fede. Luigi de” Medici ordinò al nipote di fermarsi, anche perchè egli stava aggiustando definitivamente le carte per le centinaia di moggia di terra che la famiglia ancora possedeva: e per decine di moggia a querceto si trattava di un possesso illegittimo, esercitato in danno del vero proprietario, il Comune di Ottajano. Ma don Luigi mise a posto tutte le carte.
Nel 1840 quasi l”80% dei 96 lotti era passato di mano: e stavano nelle mani proprio delle persone agiate, di cui aveva fatto cenno nel 1817 Michele de” Medici. Nelle stesse mani c”erano anche pascoli, castagneti e cerreti del demanio comunale, avuti in enfiteusi: ma le persone agiate dimenticarono, per anni, di pagare al Comune il canone stabilito dai contratti. Il Ministero delle Finanze rovesciò sui sindaci di Ottajano fino all”ultimo giorno di vita del Regno un”alluvione di richiami, solleciti, preghiere, censure, intimazioni, perchè gli enfiteuti pagassero gli arretrati – nel 1854 assommavano a migliaia di ducati -, ma non ci fu nulla da fare: dal 1845 in poi non ci fu nessuna certezza nemmeno sull”elenco dei beni comunali dati in concessione. Nelle mani delle stesse persone agiate c”erano le congreghe, altro caposaldo del potere dei galantuomini.
Le congreghe possedevano terre, e possedevano, grazie ai lasciti e ai fitti, liquidità di moneta, ed erano autorizzate a prestar danaro: ai confratelli, che chiedevano un prestito, era riconosciuto il privilegio di averlo con un interesse oscillante tra il 4 e il 5%: un privilegio eccezionale, in un mondo in cui non c”erano banche e gli interessi usurai di norma superavano il 15%. Dunque, le persone agiate non mollavano il priorato delle congreghe, e si capisce perchè: e si capisce perchè in ogni famiglia di galantuomini non mancavano nè il notaio nè il sacerdote.
Nel 1863 il Consiglio Comunale di Ottajano venne sciolto, e il Prefetto inviò come commissario un liberale autentico, Cesare De Martinis, il quale trovò nell”archivio e nei bilanci tali e tanti imbrogli che sospese dal ruolo e dal soldo il segretario comunale Alessandro Ammendola.
Perfino le liste elettorali erano fasulle: dei 676 elettori iscritti nella lista elettorale amministrativa il Commissario fu costretto a depennarne 179, o perchè avevano subito condanne o perchè non sapevano nè leggere nè scrivere. Il nuovo consiglio comunale uscito dalle elezioni reintegrò con onore il segretario comunale, e poichè da Napoli avevano cominciato di nuovo a rompere l”anima con questa storia dell”elenco delle proprietà del Comune, affidarono l”incarico di sistemare questo benedetto archivio comunale a Michele de” Medici. Come si vede, non abbiamo inventato nemmeno il conflitto di interessi.
Dopo un anno di duro lavoro, il Medici prima illustrò al Consiglio l”ordine in cui aveva disposto carte e registri e poi diede la bella notizia che tutti aspettavano: per quanto avesse cercato, ricercato, indagato, esplorato, gli elenchi degli enfiteuti e l”atto di divisione del demanio tra Comune e feudatario – e cioè con la famiglia di don Michele- non erano stati trovati. Nessuno avrebbe più saputo quali e quante fossero state, e ancora fossero, le terre del demanio comunale. Forse ci fu un istintivo applauso. Certo ci fu un profondo lungo commosso sospiro di sollievo. Di tutti.
Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato. Amen.
(Fonte foto: Rete Internet)