Parte del caos sui rifiuti nella città di Napoli è studiato ad arte. L’obiettivo è ottenere l”assunzione definitiva dei soci di una cooperativa di ex-detenuti. Leggete cosa accadde nel 1975: Di Amato Lamberti
Sono mesi che il territorio della provincia di Napoli, e, per la verità, anche quello di Caserta, vede crescere i cumuli di rifiuti che giacciono abbandonati ai lati delle strade, sotto i ponti delle autostrade, della circumvallazione, dell’asse mediano. Se poi si lasciano le strade statali e ci si avventura per quelle provinciali e comunali si scoprono cumuli di rifiuti non rimossi da anni che si vanno trasformando in collinette dove anche gli alberi, oltre che i rovi, hanno attecchito con grande rigoglio di foglie e di fiori. Una situazione che si trascina da anni perché non si capisce bene chi debba provvedere: i Comuni sostengono che tocchi alla Provincia; la Provincia sostiene che spetti ai Comuni la raccolta dei rifiuti anche lungo le strade al di fuori dei centri abitati.
Il risultato sono i cumuli di rifiuti che il vento e la pioggia trasformano e nascondono sotto una coltre di cespugli spinosi di more, di felci, di piccoli e grandi alberi. A osservare con attenzione, non dico a scavare, si scoprono residuati di prodotti che non sono più da anni sul mercato e che testimoniano, meglio del Carbonio 14, l’età del giacimento. Naturalmente di questi rifiuti accumulati nelle discariche stradali lunghe anche decine di chilometri non ne parla nessuno. Bastano pochi cumuli di rifiuti accatastati ad arte in alcune zone simboliche del Centro di Napoli per scatenare televisioni, radio, giornali sull’emergenza rifiuti a Napoli. È vero che bastano due giorni di sciopero dei netturbini per vedere la città sommersa dai rifiuti, ma alcune domande sorgono spontanee. Come fanno ad accumularsi tanti rifiuti solidi urbani a Piazza Trieste e Trento visto l’esiguo numero di famiglie residenti?
Vuoi vedere che dai Quartieri Spagnoli tutti corrono, non credo spontaneamente, a depositare i sacchetti di spazzatura nella piazza su cui si affaccia la Prefettura? L’altra sera mi sono fermato per meno di mezz’ora e ho visto almeno trenta ragazzi che arrivavano in motorino con uno o due sacchetti di mondezza, li buttavano nel mucchio e risalivano di corsa per i vicoli da cui erano discesi. Organizzazione spontanea per evitare di intasare vicoli troppo stretti con cumuli di immondizia? Forse che si, forse che no. Qualcuno dovrebbe verificare, perché anche per tutta via Toledo accade la stessa cosa. Le strade a Napoli si riempiono di colpo di cumuli di spazzatura, nemmeno fosse passato un ordine tassativo per televisione delle autorità sanitarie o del Sindaco: "nessuno trattenga neppure per poche ore i sacchetti di immondizia in casa. Sversarli immediatamente sui marciapiedi delle strade principali."
In tutte le città d’Italia, anche nel Mezzogiorno, per vedere sacchetti della spazzatura per le strade, occorre almeno una settimana di sciopero degli addetti alla raccolta dei rifiuti. La gente, invitata o meno dalle autorità, trattiene le buste dei rifiuti in casa, sui balconi, fino a quando il servizio riprende regolarmente. A Napoli, basta l’annuncio di uno sciopero a breve per scatenare una gara a chi butta più sacchetti per la strada, non sotto casa, ma in zone di grande visibilità, davanti alle scuole, ai monumenti, ai palazzi degli uffici pubblici, nelle piazze frequentate dai turisti, nelle strade dello shopping, quasi scattasse una regia preparata da lungo tempo per dare rilievo ed importanza allo sciopero anche di un piccolo numero di dipendenti.
Nell’ultimo caso, ancora in corso, di situazione di emergenza rifiuti i dipendenti che hanno incrociato le braccia sono i soci di una cooperativa di ex-detenuti, la Davideco, che grazie al loro sponsor politico, hanno ottenuto in subappalto, peraltro vietato dalla normativa, la rimozione dei sacchetti in due quartieri centrali di Napoli. Il motivo della protesta, con corollario di incendio di autocompattatori e camion, oltre a minacce ad autisti ed altri operatori ecologici, sta nel fatto che essendo interinali non sarebbero stati riconfermati al termine dei quattro mesi di contratto. Fatto largamente prevedibile dalla società Enerambiente nel momento dell’assunzione temporanea: a Napoli anche i Lavori socialmente utili da temporanei si sono trasformati in definitivi.
Oltre a mettere in galera, anzi a rimettere in galera, visto che si tratta di ex detenuti, magari indultati, i facinorosi che bloccano una città, oltre a rovinarne l’immagine e a commettere un’altra infinità di reati, bisognerebbe mettere in galera anche i dirigenti della società che non solo hanno contravvenuto alla legge che vieta i subappalti, ma che, insieme ai loro referenti politici, hanno preparato la bomba che sapevano che sarebbe sicuramente esplosa e avrebbe portato all’assunzione a tempo indeterminato dei loro protetti, intanto assunti con un contratto interinale di quattro mesi.
Fare una graduatoria su chi è più delinquente in questa faccenda non è facile, ma vedrete che dopo molte chiacchiere il risultato sarà quello programmato: l’assunzione a tempo indeterminato dei soci della Davideco. D’altra parte, non c’è da meravigliarsi, queste cose a Napoli succedono da più di trent’anni, a mia memoria. Chi ricorda più che, nel 1975, almeno 1500-2000 ex-detenuti furono assunti nella Sanità a Napoli con la qualifica di infermieri professionali, conseguita dopo un corso fasullo di trenta giorni? Non gli bastava l’assunzione come operai e portantini; inscenarono proteste violente che bloccarono gli ospedali cittadini ed ottennero l’inquadramento che assicurava loro uno stipendio più elevato, ma condannava gli ospedali napoletani a quella disorganizzazione nella quale ancora oggi si trascinano.
Potremmo continuare a lungo, ma è grave che una città intera, grande come Napoli, sia praticamente ostaggio di gruppi di delinquenti che hanno scoperto e brevettato il modo certo per essere assunti dal Comune, dalla Regione, dalle aziende pubbliche: mettere sotto pressione le istituzioni, bloccare il traffico, rendere impossibile la circolazione anche attraverso blocchi stradali, incendio di cassonetti, di autobus pubblici; intimidire la popolazione creando disordini, scontrarsi violentemente con le forze dell’ordine, procurando danni a vetrine ed esercizi commerciali, fino a rendere la situazione cittadina talmente insopportabile da richiedere provvedimenti che servano a ristabilire l’ordine pubblico.
Questi provvedimenti sono l’assunzione a tempo indeterminato di questi delinquenti, mascherati da disoccupati organizzati, in Enti e Aziende, generalmente già sovraccariche di analogo personale, dove nulla devono fare se non percepire uno stipendio con tanto di premi di produttività e ore di straordinario. Storia vecchia, l’aveva notata all’inizio del 900 un gentiluomo piemontese, il senatore Saredo, mandato dal governo a verificare la situazione a Napoli, che a questi movimenti ha dato l’unico nome che meritavano e meritano: camorra.