ERNESTO TATAFIORE: ROBESPIERRE, LA RIVOLUZIONE E LA PITTURA

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    L”artista di origine mariglianese, sulla scena artistica nazionale da quarant”anni, si rivolge alla grande storia, anzi alla Historia , e ai suoi risvolti, ai suoi rovesci silenziosi, con ironia e sagace consapevolezza.

    Classe 1943, Ernesto Tatafiore nasce nella città di Marigliano e subisce la precoce fascinazione dell’arte grazie all’attività del padre e dello zio, avvicinandosi alla pittura. “Da piccolo ho giocato col mare, la sabbia e le pietre e mi piaceva dipingere accanto a mio padre dal vero”. Da grande, Tatafiore ha fatto della passione ereditata un “gioco senza fine e fini”, intrecciando il tratto veloce e leggero, la scelta di pochi colori essenziali ad un percorso figurativo fatto anche di giochi di parole, scritte, frasi e paradossi di duchampiana memoria.

    La prima personale dell’artista risale al 1969: Tatafiore esordisce alla galleria di Lucio Amelio con i suoi Panni – camicie, sedie, panni di carta che l’anno dopo esporrà alla Biennale di Venezia – inaugurando quella che Achille Bonito Oliva definì una pittura “neo-illuministica”, perché tesa a tracciare un legame etico tra l’arte e la storia. La complessità della storia, che Tatafiore scrive Historia, diventa uno dei concetti centrali su cui si arrovella. E le sfaccettature della storia attraverso la pittura del maestro rasentano alcune tematiche dense di significato. Il mito della Rivoluzione francese, con i suoi dioscuri Robespierre e Danton, è ossessivamente riproposto; “L’immagine di Robespierre che ricorre in tante mie opere rappresenta la rottura di uno schema chiuso, come poteva essere quello della Francia prerivoluzionaria”.

    Dunque la Rivoluzione, con le sue immagini, i suoi protagonisti e le parole che le danno corpo diventano metafore di un rivolgimento, ma portano anche i germi della catastrofe e insieme di una restaurazione: ecco che il più grande cambiamento della storia occidentale, dalla fine dell’ Ancien Règime al rinnovato sistema di valori perpetrato attraverso le conquiste rivoluzionarie e il tradimento di quei valori con l’ascesa al potere di Napoleone, rappresentano le vicissitudini storiche esplicative dell’impossibilità di una rivoluzione permanente e quindi assurgono a parabola dell’utopia perduta della sua generazione sul crinale del Sessantotto. Dunque, nel lavoro dell’artista tramano, nell’ombra, la negazione e la morte, espressione dell’altro lato delle cose e delle figure.

    La Restaurazione, quindi, accanto alla Rivoluzione, il volo, insieme alla caduta. E se con lucidità conviene che l’Historia può avere “l’aspetto di una madre o quella di una donna di strada”, amaramente consapevole dell’alterità e dell’ambivalenza delle cose, Tatafiore non manca certo di quella dimensione ludica che da sempre accompagna le sperimentazioni contemporanee.

    “Doppo fatta sta rivoluzione / C’è rimasta na bella canzone: Libertè, egalitè, fraternità, / Simme uguale tutt’ ‘e tre!”, recita “ ‘A canzone ‘e Robespierre”, naturale conversione del suo lavoro dedicato al rivoluzionario francese in una canzone, piacevole riscoperta della sfera giocosa che pure è l’altra anima del lavoro artistico, che non pretende pletoricamente di prendersi sempre troppo sul serio. La canzone diventa, inoltre, parte integrante dell’opera stessa, viatico alla mostra, scandita da quarantuno opere e dieci oggetti, tutti di carta riso, appesi e sospesi nella galleria di Lucio Amelio, nella speranza che “giocando si imparano i trucchi della vita e si scoprono i segreti della morte… e anche le tragedie si trasformano in ballate”.

    I materiali nella loro corporeità come la carta da riso, il legno, i colori, la tensione della storia e i suoi risvolti, le cose e il loro tacito rovescio rappresentano i poli dell’indagine di un artista che ha sempre sperimentato disegno, pittura e scultura. “ L’artista deve rappresentare sempre la complessità delle cose. Ciò che appare e l’invisibile che sfugge alla rappresentazione”. Questa “strana e singolare avventura” – così ha detto del proprio lavoro l’artista – “che per un verso ha messo insieme la libertà della Rivoluzione francese e la vitalità della pittura” è, in fin dei conti, la magica avventura della pittura stessa e del suo infinito e criptico intrattenimento con l’altro da sé di cui le ambivalenze e i silenzi sono sintomi e indizi.
    (Fonte foto: Rete Internet)

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