Disabili e condizione lavorativa. La disoccupazione come loro unico avvenire

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Prospettive inesistenti. Progetti fasulli e leggi inapplicate. Nell’Italia che non lavora, al disabile è stato offerto un posto in prima fila.

La crisi economica dell’ultimo decennio, che pare abbia avuto effetto soltanto sullo spread, si è invece abbattuta sull’occupazione degli italiani come un impietoso uragano. L’emorragia dei posti di lavoro, le fabbriche che chiudono ed un precariato che aiuta solo a sopravvivere, sembrano sempre di più argomenti senza una seria e concreta soluzione. La politica si divide, dibatte e propone progetti che in linea di massima falliscono già prima di partire.

Nel nostro caso, però, volendo restringere il campo di questa analisi soltanto ai cittadini affetti da disabilità, possiamo notare come, da qualche anno a questa parte, i dati sulla disoccupazione dei portatori di handicap, secondo l’ufficio per i diritti delle Nazioni Unite, parlino di una percentuale che si assesta tra il 50 e il 70%. E si fa riferimento, ovviamente, ai soli paesi industrializzati. Per non parlare poi di quanto è stato trasmesso dal terzo rapporto dell’ILO (International Labour Organization delle Nazioni Unite), il quale, senza mezze misure, afferma che in tema di lavoro i portatori di handicap sono tra i più discriminati.

E se per caso ci venisse per la testa di limitare questa diatriba soltanto all’Italia, invece, possiamo vedere come il nostro bel paese sappia fare ancora di peggio. Infatti, all’interno dei nostri confini, un disabile su due, risulta disoccupato. E circa 750 mila persone handicappate sono attualmente iscritte alle liste di collocamento obbligatorie. Questo vuol dire, in poche parole, che i sacrifici di una parte della propria vita, quella spesa a studiare e a cercare di professionalizzarsi in qualcosa, vanno, in special modo nel sud Italia, sistematicamente vanificati. I genitori, che tanto si spendono per la cura e l’assistenza dei propri figli con handicap, cercando di lasciare a loro un futuro stabile, vivranno costantemente nell’impossibilità di vederli socialmente produttivi. Produttività, che alla fine, potrebbe renderli, sotto l’aspetto economico, sensibilmente più stabili.

Ma come sempre ci capita in queste occasioni giornalistiche, facendo appello al solito legislatore che tanto prevede ma nulla riesce ad applicare, apprendiamo che questo, nelle pagine delle sue normative, stabilisce l’obbligatorietà, in basse alla legge 68/99, dell’assunzione di lavoratori disabili da parte delle aziende. Ma in Italia si sa, pur di non assumere un lavoratore con handicap, si preferisce pagare le sanzioni. Ragionando da contadini, ci viene facile capire come il fenomeno della non occupazione dei soggetti diversamente abili, tralasciando la frustrazione per non poter progettare il proprio avvenire, finisce per avere forti ripercussioni sull’economia nazionale. Difatti, da quanto ci risulta dalle ultime stime in materia di lavoro, questo costa alle nazioni tra l’1 ed il 7% del proprio Pil (fonte dati: CGIL, disabili.com).

Il nostro sistema sociale, costruito da governi che hanno fin dagli albori della nostra repubblica considerato l’assistenzialismo come unica vera forma di sussistenza, ha condannato e condanna tutt’oggi milioni di persone ad una morte silenziosa. Una morte che non va vista soltanto come un fenomeno fisico, ma va inteso soprattutto come perdita della propria dignità umana.
Mi piace concludere questo pezzo con una frase che faccio mia ma che ho preso in prestito. Credo che al di là di tutte le chiacchiere e delle cifre che ho potuto costruire in queste poche righe, sappia racchiudere con una potente capacità di sintesi un pensiero oltremodo complesso:

"Il potenziale di moltissime donne e uomini disabili rimane non sfruttato e non riconosciuto lasciando la maggior parte di loro a vivere nella povertà, nella dipendenza e nell’esclusione sociale".

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