Nei dialoghi dei personaggi del prof. Giovanni Ariola ritroviamo i temi politici di queste ultime settimane. Ma anche le domande fondamentali circa il rapporto tra uomo e natura.
Il prof. Carlo ha davanti i giornali appena portati da Annella, guarda i titoli ma non ha il coraggio di cominciare la lettura. Sulle prime pagine oltre le notizie delle stragi in Libia (un bagno di sangue come amano metaforizzare i mass-media), perpetrate da uomini contro altri uomini, per giunta fratelli, che si spera siano presto fermate dall’intervento deciso ma pacifico degli Istituti sovranazionali (ONU, UE, LEGA ARABA), anche le parole e le immagini di altra strage, provocata dalla natura, ossia dal sisma avvenuto in Giappone il 3 marzo scorso e dal conseguente tsunami (in giapponese “onda sul porto”), “mare mostro”, come lo ha definito un giornale (“Il Manifesto” del 4 marzo scorso).
Si riaffacciano sentimenti e pensieri già esperiti in occasione di altri eventi del genere. Si riformano nella mente drammatici interrogativi purtroppo senza risposta. Chi sarà vincitore nella lotta tra l’uomo e la natura? Quale sarà il destino dell’uomo su un pianeta che rischia di collassare da un momento all’altro? C’è qualcuno o qualcosa (ad esempio una nuova parola miracolosa, dato che quelle esistenti sono ormai inascoltate) che possa convincere tutti gli uomini ad unire i loro sforzi per salvarsi, insieme, dalla catastrofe?
A scuotere il prof. l’arrivo dei colleghi che entrano discutendo animatamente ma una volta tanto concordi sul no al nucleare, almeno fino a quando non sarà assicurata la mancanza assoluta di rischi per la salute dei cittadini. Ma verrà mai quel momento?
– È necessario – sottolinea il prof. Eligio – trovare un’energia alternativa: questa è l’unica certezza…
– Ce n’è un’altra di certezze – sbotta il prof. Piermario – è che, se continuiamo a mortificare la ricerca, non riusciremo mai a trovare una soluzione a questa urgenza e ad altre simili…
– In proposito, sono molto pessimista – osserva il prof. Fantasia – non ce la faremo e alla fine la natura avrà il sopravvento…e ci distruggerà…sapete che sono un leopardiano… “un fierissimo vento, levatosi mentre che l’Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia…”(da G. Leopardi, “Operette morali – Dialogo della natura e di un Islandese”).
– Perché continuare – ribatte accendendosi in volto il prof. Piermario – ad evidenziare solo questo aspetto del pensiero del recanatese che, tra l’altro, è improprio definire pessimistico dato che si tratta di una analisi lucida, realistica e razionale della nostra condizione esistenziale…ma Leopardi è ben altro…
“E tu, lenta ginestra,/ – recita con aria ispirata – che di selve odorate/ queste campagne dispogliate adorni,/ anche tu presto alla crudel possanza/ soccomberai del sotterraneo foco,…E piegherai/ sotto il fascio mortal non renitente/ il tuo capo innocente:/ ma non piegato insino allora indarno/ codardamente supplicando…/ ma non eretto/ con forsennato orgoglio inver le stelle/…/ma più saggia, ma tanto/ meno inferma dell’uom, quanto le frali/ tue stirpi non credesti / o dal fato o da te fatte immortali.”(da G. Leopardi, “La ginestra”). Quanto coraggio, ma senza sciocca superbia, in questo guardare in faccia la verità!
– A me – interviene il prof. Eligio – sembrano più significativi in questa stessa poesia i versi che invitano gli uomini a non combattersi tra loro ma ad unirsi nella lotta comune contro la natura “matrigna” e auspica con un afflato che definirei cristiano una umanità concorde e solidale… “Nobil natura è quella/ che a sollevar s’ardisce/ gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte,/ e il basso stato e frale;/ quella che grande e forte/ mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire/ fraterne, ancor più gravi/ d’ogni altro danno, accresce/ alle miserie sue, /… / tutti fra sé confederati estima/ gli uomini, e tutti abbraccia con vero amor, porgendo/ valida e pronta ed aspettando aita/ negli alterni perigli e nelle angosce/ della guerra comune…”.
– Mai come in questo momento – osserva il prof. Carlo – le parole del poeta fanno bene al cuore e alla mente…Permettete che vi legga questi stessi versi in una versione, diciamo, napoletana,…. si tratta della traduzione che ne ha fatta il compianto amico nonché esimio studioso del nostro dialetto, il prof. Francesco D’Ascoli…
“Perzona strissema è chella ca piglia ‘e pietto ’o destino ’e ll’umanità, e ca cu sciurdezza, senza affuca’ ’a rialtà, azzetta ’a scaienza ca nce fuie assegnata, e chesta vita gnobbele e scellata; chella ca dinto e patemiente fiura anemosa e tosta, e ca nun aggrannisce ’e stierne suoie cu ’e ’mpicche e ’e scigne tra frate e frate, ca so’ cchiù ammare ’e ll’ate gliannule,…., penza ca tutte ll’uommene so’ accucchiate ’nfra lloro e abbraccia tutte cu granne affezione, danno e aspettannese assecurzo forte e listo ’nfaccia e^ campiseme d’ ’a guerra anneverzale.” (da Francesco D’Ascoli, “ I nuovi credenti e La ginestra” di G. Leopardi, Traduzione in dialetto napoletano, Edizioni Del Delfino, Napoli, 2006, pp. 49 e 51).
– Come si può continuare a coltivare una tale illusione? Gli uomini sono divisi e discordi su tutto – commenta amaro il prof. Piermario.
– In modo particolare gli Italiani… – concorda il prof Eligio.
– Figuriamoci se potevano essere concordi – continua sarcastico il prof. Piermario – sulla festa da celebrare per l’anniversario dell’Unità d’Italia…
– Ecco – interviene il prof. Carlo – una bella situazione ossimorica: divisi sull’unità… Intanto noi andiamo avanti per la nostra strada e attuiamo il programma che abbiamo deciso per dare un senso a questa ricorrenza.
Finita la festa, nel complesso riuscita, appena appena guastata dal comportamento infantile di alcuni gruppi di contestatori (secessionisti? Perché non hanno il coraggio di sostenerlo apertamente e di essere coerenti fino in fondo, accettando di subirne tutte le conseguenze?) ma anche dalla protesta dei lampedusani che vedono la loro luminosa isola invasa da una massa di disperati, riposte le bandiere o lasciatele sui pennoni e sui veroni a sventolare per i giorni a venire, testimoni di un sentire non superficiale, cessati i canti, i concerti, i discorsi, insomma le celebrazioni ufficiali,
finita anche la baldoria euforica delle pubblicazioni di saggi, articoli, libri, alcuni dei quali pregevoli, ma spesso opera di storici improvvisati che la storia l’hanno appresa (credono di saperla) da letture parziali e superficiali o addirittura per sentito dire, iniziamo, anzi continuiamo la nostra riflessione e il nostro studio sulle tematiche che avevamo scelte per preparare il convegno di Giugno su questo 150° compleanno della nostra nazione…
– Per parte mia – conferma il prof. Eligio – porterò avanti, come d’accordo, la ricerca già iniziata sul concetto/sentimento di patria (la patria-città) nell’antichità greco-romana…
– Io raccoglierò – dichiara il prof. Fantasia – un florilegio di testi poetici che preconizzano l’Italia unita dal Medioevo al Risorgimento (la patria nazione)…
– Io mi assumo – continua il prof. Piermario – il compito di documentare l’evolvere dello stesso concetto/sentimento di patria dal Risorgimento ai giorni nostri (da patria-Stato a patria-Europa)…
– A me la parte più amara – conclude il prof. Carlo –, quella di documentare l’affievolirsi e quasi il disgregarsi di questo valore, la patria, che tanti cuori ha scaldato e tante menti esaltate in passato e che ora lascia i più indifferenti…Mi auguro di sbagliarmi, ma ho netta la sensazione che quasi più nessuno, scrittori compresi, osi pronunziare o scrivere la parola patria… è come la parola amore… a pronunziarla, si grida subito allo scandalo e si lancia l’accusa infamante di fare della retorica…Ripeto, mi auguro e auguro agli Italiani di sbagliarmi!
Intanto, coraggioso il poeta Mario Luzi che osa intitolare una sua lirica Italia ritrovata e la chiude con questi versi che sono quasi un gemito d’amore:
“O Italia ininterrotto agone,
ininterrotta pena.”


