“DAL CAOS VIENE FUORI IL FASCISMO”

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    Il dopoguerra si caratterizza per la grande confusione sociale. La classe operaia rivendica diritti; borghesi, militari e agrari puntano su “ordine e disciplina”. Ed ecco che viene fuori il fascismo.
    Di Ciro Raia

    Passato l”entusiasmo provocato dalla guerra; superati i lutti delle perdite in uomini e sostanze; sopravvissuta alla tremenda epidemia della “spagnola”, la febbre che miete decine di migliaia di vittime tra il 1919 ed il 1920, l”Italia si accorge, con amarezza e delusione, di essere un paese povero e in ginocchio.

    Le industrie belliche non prosperano più e gli operai sono licenziati. In altri opifici, invece, il licenziamento tocca solo alle donne: devono far posto agli uomini tornati dalla guerra. I contadini, invece, non avendo avuto assegnate le terre loro promesse, devono tornare a lavorare per gli antichi padroni. I negozianti offrono inutilmente le loro merci: la miseria non consente nemmeno l”acquisto di generi di prima necessità. Un chilo di pane costa 2 lire! Per vivere dignitosamente, una famiglia ha bisogno di spendere 180 lire al mese; ma il guadagno medio a famiglia è di solo 120 lire al mese. Come fare?

    L”unica forma di protesta possibile da opporre ad una situazione simile, sembra lo sciopero. Così si decide di fermare i trasporti e le poste, di occupare le fabbriche, i cantieri navali, le officine metallurgiche. L”Italia è, così, attraversata da una ventata rivoluzionaria soffiata dal movimento operaio. Arrivano anche alcune conquiste come l”aumento della paga, del 10-12%, ai metallurgici o il pagamento delle giornate di occupazione delle fabbriche; ma questi pochi miglioramenti riconosciuti agli operai inducono gli industriali e la borghesia a guardare con sempre maggiore favore al movimento fascista, che con veemenza comincia ad opporsi alle azioni di protesta della classe operaia (nella foto un gruppo di picchiatori fascisti).

    Il primo ministro in carica, Francesco Saverio Nitti, non riesce a raddrizzare le sorti del paese. Nella confusione più totale egli ha ottenuto solo l”approvazione di una legge, che cambia il sistema elettorale dall”uninominale al proporzionale. Le dimissioni di Nitti sono, perciò, inevitabili. A succedergli è chiamato di nuovo Giolitti, che costituisce il suo quinto ministero. A comporlo sono chiamati eminenti rappresentanti di tutti i partiti costituzionali, tra cui il conte Carlo Sforza agli Esteri, il filosofo Benedetto Croce alla Pubblica Istruzione ed Ivanoe Bonomi al Ministero della Guerra.
    Il nuovo governo Giolitti, che fa approvare subito l”abolizione del prezzo politico del pane, dura in carica circa un anno, dal giugno 1920 al luglio del 1921. Un tempo breve in cui si assiste a delle svolte epocali: la FIAT annuncia il licenziamento di 1.500 operai e la riduzione dell”orario settimanale di lavoro; alcuni stabilimenti, occupati dai licenziati, sono immediatamente chiusi; a Livorno (gennaio 1921) nasce il Partito Comunista d”Italia. A volere la nuova formazione sono Antonio Gramsci, Umberto Terracini ed Amadeo Bordiga, che, nel corso del XVII congresso del Partito Socialista, si staccano dall”ala riformista socialista di Filippo Turati e Giacinto Menotti Serrati.

    Il movimento fascista, intanto, diventa sempre più massiccio, pericoloso e violento; cominciano, infatti, a non contarsi più le aggressioni ai danni degli operai e di quanti non condividono le idee dei seguaci di Mussolini, siano essi anche donne, anziani o preti. A questo punto, perciò, Giolitti ritiene che la composizione politica della Camera non rispecchia il vero volto del paese. È necessario –secondo il capo del governo- andare alle urne; non senza aver favorito, però, un”alleanza tra i liberali ed i fascisti, utile, nelle intenzioni del primo ministro, a ridimensionare i partiti della sinistra.

    Le nuove elezioni si tengono il 15 maggio 1921. I liberali conquistano 265 seggi, i popolari 108, i socialisti 123, i comunisti 15. Ma bisogna contare anche i seggi della destra: 35 al movimento di Mussolini e 10 ai nazionalisti.
    Il paese è, a questo punto, ingovernabile. Lo squadrismo viene legittimato; gli accordi di lavoro ed i miglioramenti conquistati dagli operai vengono ignorati; militari, agrari e borghesi sentono di poter alzare la voce. Il fascismo si trasforma da movimento a partito. Nel mese di ottobre 1921 nasce il Partito Nazionale Fascista, con oltre 200.000 iscritti.

    Giolitti si dimette. Al suo posto è chiamato il social-riformista Ivanoe Bonomi. Ora il tempo dello statista piemontese è definitivamente tramontato. Anzi, a seppellire la sua era, concorre anche la nascita dell”Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, voluta dal francescano Agostino Gemelli e nata per “elaborare una cultura cattolica da contrapporre a quella laica: formare dei soldati di un”Idea per il trionfo del regno di Cristo”.