Di Giovanni Ariola
– Non so – afferma il dottorino visibilmente soddisfatto di poter portare una sua personale esperienza nel colloquio che si sta svolgendo tra il prof. Carlo e il prof Eligio sul linguaggio usato dai giovani – da dove vengano fuori certe parole, da chi siano state pronunziate per primo, nè se abbiano una etimologia individuabile. Sono neologismi anomali, parole a volte inventate, altre volte trasformate, perfino stravolte nel significato e costituenti una lingua senza storia.
Con i miei compagni di liceo usavamo dire di qualcuno di noi che aveva fama di iettatore: porta seccia con la variante: è una seccia. Riflettendo sulla parola, poichè seccia è la versione dialettale di seppia ed è, per traslato, metafora di grullo, stupido, non si capisce come si arrivi al concetto di iella, sfortuna per il quale tra l”altro giĂ esiste, sempre nel linguaggio giovanile, la parola sfiga con i derivati sfigato e sfigata, regolarmente registrati come termini colloquiali dai dizionari della lingua italiana. Ho consultato vari vocabolari dialettali. Essere seccia = essere minchione (Antonio Altamura) oppure essere grullo, sciocco (Francesco D”Ascoli). Fare “a seccia = fare lo spaccone (Altamura e D”Ascoli che spiega il traslato con l”abitudine del mollusco di avvolgersi in una cortina fumosa per nascondersi nei momenti di pericolo e richiama a tal proposito il dialettale fummo).
Il D”Ascoli registra anche mena” “o nniro “e seccia = gettare fumo negli occhi; malignare su qualcosa; allora ho pensato che si potrebbe partire da questa espressione per spiegare l”origine del significato di portare sfortuna. Insomma colui che porta iella (anche portasfiga) sarebbe una seccia, uno che mena “o nniro “e seccia, del nero inteso come influsso dannoso sulle persone e sulle cose che incontra.
– La ricostruzione – interviene il prof. Carlo – mi sembra verosimile e fondata, ma il passaggio metaforico può essere stato un fatto casuale non consapevole.
– Certo, come per la parola palla che per essere un oggetto pieno di aria, praticamente vuoto, passa a designare metaforicamente da una parte la bugia, che è un”affermazione priva di fondamento, falsa, dall”altra la persona che è vuota di materia grigia, stupida e in quanto tale fastidiosa, noiosa. Da palla l”altro traslato palloso e l”espressione che palle! Credo però che sia intervenuta nel tempo un”associazione di concetti e sia scattato un riferimento alle palle come testicoli come dimostrano le varianti di palloso = abboffapalle e rompipalle.(L”Altamura registra: nun m”abbuffĂ “a guallara!)
– Senza alcun dubbio – ammette il prof. Carlo – Una delle caratteristiche del linguaggio giovanile è proprio questa abbondanza di attivitĂ metaforica, conseguenza di una intensa e vivace attivitĂ associativa soprattutto di immagini più che di concetti, con una predominanza di riferimenti espliciti o semplicemente allusivi agli organi sessuali. Vedi le parole figo e figa (con le varianti fico e fica) per indicare un bel ragazzo o una bella ragazza Una volta ai tempi miei si sarebbe detto rispettivamente fusto e schiocca (quest”ultimo termine è forse variante fonica, ma anche credo una versione purgata e ingentilita di gnocca = organo sessuale femminile e quindi, per metonimia, ragazza molto attraente).
– Ci siamo alquanto allontanati – interviene il prof. Eligio – dall”assunto iniziale del nostro discorso. Assodato che il linguaggio giovanile è una sorta di gergo di gruppo tendente a fondare una identitĂ interna, insomma un mezzo di riconoscimento tra pari e un segno di appartenenza ad un gruppo, per distinguersi dalla comunitĂ degli adulti, anche se non necessariamente con l”intenzione di rendersi ad essi incomprensibili, c”è da chiedersi: come deve comportarsi la scuola nei confronti di questo linguaggio? ContinuerĂ ad espungerlo in nome di un linguaggio standard, piuttosto astratto in veritĂ , stabilito artificiosamente e imposto dall”alto, o deve essere più permissiva?
Anche in considerazione del fatto che è difficile trovare oggi modelli validi universali da proporre, visto che gli scrittori attuali accolgono nei loro scritti non solo queste parole ed espressioni del gergo colloquiale ma, per una esplicita intenzionalitĂ mimetica e anche per una precisa concezione estetica, che vuole essere realistica, utilizzano ogni tipo di linguaggio che trovano nella realtĂ dei parlanti intorno a loro.
– Concordo con quello che dici. – aggiunge il collega – La domanda di fondo è ancora: quale italiano oggi? Anche perchè si è constatato che molti studenti lasciano la scuola senza sapere scrivere correttamente, commettendo errori di grammatica e in particolare di sintassi, e mostrando di possedere, come ha denunciato recentemente l”Accademia della Crusca, un lessico povero e improprio. Che deve fare la scuola? Bisogna darle atto che negli ultimi decenni si è molto aggiornata, almeno stando alle dichiarazioni e ai documenti programmatori. Non si sa poi nella prassi. La scuola, dunque, ha capito che deve stare al passo con i tempi e si è convertita finalmente al plurilinguismo.
Ma il punto dolente resta quello di svecchiare le tecniche didattiche. La tanto sbandierata educazione linguistica quasi sempre si riduce ad una lezione tradizionale. La scuola dovrebbe svolgere il suo ruolo che è quello di insegnare a conoscere e saper utilizzare il codice lingua con i molteplici sottocodici, linguaggi settoriali e gerghi, nonchè i vari registri e a contestualizzarli. Insomma i ragazzi dovrebbero imparare a scomporre e ricomporre la lingua in mille modi diversi: per far ciò, si dovrebbe attivare in ogni aula un laboratorio linguistico:.
Ha ascoltato le ultime affermazioni il prof. Piermario Z., che il prof. Geremia chiama oppositivamente ma scherzosamente, con rima pertinente e significativa, il rivoluzionario, e talvolta l”incendiario, appena entrato e impegnato a liberarsi, con qualche imprecazioncella tra i denti, di un vecchio trencio ( italianizzato dall”ingl. trench, impermeabile con cintura in vita; lo indossava il tenente Sheridan in una serie televisiva di telefilm polizieschi), sempre quello, a memoria di quanti lo conoscono, completamente zuppo.
– La scuola, secondo me – interviene con la irruenza e la foga abituali – dovrebbe essa stessa:. andare a scuola Sì, tanti professoroni che vi insegnano ovvero che presumono di insegnare, dovrebbero rimettersi a studiare per capire che cosa e come devono insegnare. Ma vi rendete conto che ci troviamo di fronte ad una mutazione antropologica. È cambiata la forma mentis dei nostri ragazzi che sono stati definiti digital natives. (continua)