IL TEMA DELLA VITA DOPO I CASI WELBI ED ELUANA

Il convegno che si terrà sabato prossimo a Pomigliano, offre lo spunto per una riflessione sul tema della Vita e del testamento biologico. Argomenti sui quali è alto il rischio della confusione e della rissa ideologica.
Di Don Aniello Tortora

Sabato prossimo, 16 Maggio, alle ore 18.00, a Pomigliano d” Arco, (Biblioteca Comunale – Torre dell”Orologio) ci sarà un incontro interessantissimo.
Organizzato dal locale Consultorio familiare d”ispirazione cristiana, che celebra il suo ventennale a servizio della città, il Convegno ha come tema: “Quale Etica per la Vita?” e avrà relatori prestigiosi quali il Prof. Luigi Cuccurullo (Ordinario di Anatomia ed Istologia Patologica – II Università di Napoli) e la Prof.ssa Enrica Ammaturo (Preside della facoltà di Sociologia – Università degli Studi Federico II. Modera il Prof. Alfonso Cepparulo (Dirigente Scolastico – Liceo Polifunzionale “Salvatore Cantone”. Tutti siamo invitati a partecipare.

Il Consultorio è una bella realtà di chiesa a servizio del territorio e particolarmente della famiglia.
Oggi la famiglia ha bisogno di sostegno vero. Non solo a parole. Tante parti politiche in campagna elettorale mettono la famiglia al centro del loro programma, per poi puntualmente dimenticarsene totalmente. Non esistono in Italia vere “politiche familiari”, che aiutino particolarmente quelle più povere (che aumentano sempre di più!) a sollevarsi dal disagio. Penso a quelle con disabili, malati, anziani, figli da mantenere all”Università, disoccupati.

Problema sociale molto grave, oggi, è, inoltre, come conciliare i tempi del lavoro della donna, che è, nello stesso tempo, moglie e madre.
E in queste problematiche il Consultorio, in questi anni, ha cercato di essere una presenza e una vicinanza.
Centro d”Ascolto per i vari disagi familiari, formazione dei genitori, incontri di preparazione al matrimonio per i fidanzati e momenti di dibattito culturale hanno contraddistinto questo ventennio.
Professionisti volontari (medici, psicologi, pedagogisti, sacerdoti, assistenti sociali e familiari, avvocati, docenti) prestano gratuitamente la loro opera con entusiasmo, passione, competenza e impegno fedele.

Il tema della vita è oggi molto attuale, dopo i “casi mediatici” di Welbi e di Eluana.
Per noi cristiani la vita è dono. Ci è stata data ed è preziosa, unica, irripetibile. Comunque e dovunque si viva, la vita vale in se stessa, sempre e in ogni caso.
Per la Bibbia la persona umana è addirittura il cuore, il centro, il culmine di tutta la creazione.
E anche quando l”uomo soffre o è malato o alla soglia di morte è interpellato dalla ricerca del senso.
Nella visione di fede, poi, questa vita terrena è bella, anche se precaria, fragile, provvisoria, perchè noi siamo fatti per la vita eterna, per il Paradiso.

Questa panoramica di “bellezza” della vita non può assolutamente essere oscurata dalla paura della morte o dal dramma della sofferenza.
In fondo chi soffre chiede solo tanto amore e solidarietà, non certo il “diritto di morire”.
Per questo la Chiesa ha pronunciato da sempre il suo SI” alla vita, bene primario su cui si fondano altri beni, SI” alla medicina palliativa (perchè esistono malattie inguaribili, ma non incurabili e ogni persona ha diritto a finire i propri giorni senza la schiavitù del dolore, SI” all”assistenza, perchè ogni persona malata o anziana deve essere aiutata a vivere con dignità è non deve essere lasciato solo nella disperazione. Così come ha pronunciato da sempre il suo NO all”eutanasia, NO all”accanimento terapeutico, No all”abbandono.

In Italia è in atto un dibattito sociale molto acceso, che ha i suoi risvolti etico-religiosi ma anche politici sul famoso Testamento biologico.
Ci sono diversi schieramenti e fondamentalismi, sia da parte dei “religiosi” che dei “laici”.
Io penso che i fondamentalismi (sia quelli religiosi, ma anche quelli “laicisti”) hanno sempre portato l”umanità in un vicolo cieco e sono stati, in diverse occasioni, l”anticamera della dittatura.
Solo con il dialogo, la tolleranza, il rispetto delle idee dell”altro, la ricerca sincera della verità sull”uomo si arriverà ad una vera “convivialità delle differenze” anche su questi temi etici così scottanti e attuali.

Il rischio della confusione e della rissa ideologica che stiamo correndo in questo momento è molto alto e, come al solito, porterà il politico di turno, che non crede a niente, ad approfittarne per far risalire i suoi “sondaggi elettorali”.

Buona vita a tutti

LA RUBRICA

LA CAMORRA É TRA I SOLDI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

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51 Comuni sciolti per condizionamentti di camorra, su 92, sono la dimostrazione che le Amministrazioni sono state quasi tutte conquistate dall”anti Stato. È emergenza democratica.
Di Amato Lamberti

Sono ormai molti quelli che mi chiedono il perchè del mio insistere sui rapporti tra “camorra” e pubbliche amministrazioni, trascurando del tutto i fatti delittuosi e i personaggi che riempiono le cronache e la letteratura d”appendice sulla camorra, così fiorente e redditizia.

Il fatto è che, quando si parla di “camorra”, si commette, generalmente, l”errore di confondere il livello “criminale”, quello, tanto per intenderci, dei “Cicciotto “e mezzanotte” e di “Ciruzzo “o milionario”, con il livello, per così dire, “imprenditoriale”, quello dei Fabbrocino, dei Russo, dei Moccia, dei Mallardo, dei Cesarano, sempre tanto per intenderci, per cui non si comprende, e, quindi, si sottovalutano, quanto importanti siano le ricadute a livello politico e amministrativo. Per comprendere cosa sia, oggi, la “camorra”, bisogna considerare che, a livello organizzativo, si tratta sempre di consorzi di imprese, tante quanti sono i clan criminali, che producono e vendono servizi illegali e legali, rispettivamente sul mercato illegale e legale.

Sul mercato illegale la “camorra” produce e vende servizi di protezione, merci illegali, come la droga, il gioco d”azzardo, la prostituzione, prodotti falsificati, edilizia abusiva, trasporti illegali, come quello dei rifiuti. Sul mercato legale, la “camorra” produce e vende servizi per il mercato dell”edilizia, dal trasporto, al movimento terra, alla fornitura di calcestruzzo, ma anche per il mercato dei rifiuti, dal trasporto alla gestione di cave e discariche. La “camorra” produce e vende anche case, appartamenti, lavori stradali, impianti di illuminazione, lavori di scavo, trasporto di materiali, con imprese fornite di tutti i requisiti previsti dalla legge.

Naturalmente, le imprese della “camorra” possono anche avere una faccia legale, ma si muovono sul mercato utilizzando di norma strumenti illegali, come denaro sporco da riciclare, capacità di corruzione, forza di intimidazione, finendo così per alterare tutte le regole del mercato e della concorrenza. In pratica, la camorra raccoglie denaro dalle attività illegali e dalle attività legali e lo fa circolare, senza distinzione, in entrambi i mercati. Il denaro sporco può così finanziare attività legali, oltre a quelle illegali, ma anche, il denaro pulito può sostenere attività illegali.

Nel Mezzogiorno, dove l”unico soggetto che mette denaro in circolazione attraverso appalti pubblici e forniture di servizi, ma anche attraverso il credito agevolato, i fondi europei a sostegno delle attività imprenditoriali, sono le pubbliche amministrazioni e gli Enti pubblici, si è da tempo realizzata, anche se nessuno sembra accorgersene, una saldatura tra livello imprenditoriale della “camorra” e politica.

Il controllo dei flussi della spesa pubblica gestiti da Comuni, Province, Regioni, ASL, tanto per citare quelli più importanti, si realizza con accordi politici, a livello locale, regionale e nazionale, ma anche attraverso l”occupazione, tramite il controllo del mercato elettorale, delle amministrazioni pubbliche a livello politico, amministrativo e tecnico. Il numero di Comuni sciolti per infiltrazioni e condizionamento da parte della “camorra”, 51 su 92, dimostra quanto estesa e profonda sia la penetrazione e la conquista delle pubbliche amministrazioni: decine di Sindaci, centinaia di Assessori e Consiglieri comunali, migliaia di tecnici, funzionari, dirigenti, sono stati inquisiti per connivenza e rapporti di affari con le organizzazioni malavitose.
In queste situazioni, e la provincia di Napoli è emblematica, tutte le regole democratiche che governano i rapporti tra le amministrazioni e i cittadini e le imprese, saltano e vengono sostituite dalla intimidazione e dalla corruzione.

Viene minata la stessa capacità di concepire lo Stato di diritto come bene pubblico. Al suo posto prevale l”idea della società come una trama di relazioni personali da cui dipende il benessere individuale: concezione quest”ultima profondamente antieconomica, antimercato, clientelare, della vita sociale. Il fatto che la “politica” abbia fatto diventare regola la mediazione clientelare degli interessi dimostra quanto profondamente la logica camorrista si sia insediata nella società. Per questo, il prima problema “politico”, in Campania, è la lotta alla “camorra”, da non confondere con la delinquenza più o meno organizzata.
La “camorra” da combattere senza tregua è quella che amministra, comanda e governa un territorio; decide dove e chi costruisce case; dove e chi realizza strade; dove si impiantano supermercati e ipermercati, da chi devi prendere il cemento che ti serve; da chi prendere i camion, ecc., ecc.

Negare questa priorità della lotta alla “camorra”, come spesso molti volti ben noti continuano a fare, fa sorgere più di un dubbio che non si tratti in realtà di un lavoro per orientare altrove l”opinione pubblica per favorire, consapevolmente e/o inconsapevolmente, i disegni egemonici della “camorra”.

CITTÁ AL SETACCIO

“PILLOLE DI “900”. I FASCISTI UCCIDONO GIACOMO MATTEOTTI

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Il voto del 1924 vede i fascisti vincere le elezioni grazie a brogli e violenze. Le irregolarità denunciate costano la vita al deputato socialista Matteotti. Il 3 gennaio del “25 Mussolini istituisce la dittatura.
Di Ciro Raia

La prima volta che l”Italia vota con il sistema previsto dalla “legge Acerbo” è nel 1924. Il listone fascista si aggiudica 356 seggi. Le opposizioni raccolgono appena 161 deputati. Nei seggi elettorali avvengono brogli di ogni tipo. Gli elettori sono chiamati ad esprimere il voto sotto gli occhi degli squadristi; molte schede sono distrutte e sostituite con altre già votate. In qualche seggio sono ammessi a votare anche i ragazzi. L”illegalità diventa la norma.

Le irregolarità del voto sono denunciate alla Camera, nella seduta del 30 maggio 1924, dal deputato socialista Giacomo Matteotti (“Voi volete rigettare il paese all”indietro, verso l”assolutismo. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano, al quale rivolgiamo il nostro saluto e del quale salvaguarderemo la dignità domandando luce che si faccia luce sulle elezioni”.). Il 10 giugno, lo stesso deputato socialista viene rapito da cinque uomini agli ordini di Mussolini. Il corpo di Matteotti, straziato, viene trovato, il 16 agosto, nella macchia di Quartarella, a pochi chilometri da Roma.

I sicari pagano con pochi mesi di carcere, compensati, però, da generose somme di denaro.
Il 27 giugno, intanto, in segno di protesta, praticando l”antica protesta dell”aventinismo, le opposizioni si astengono dai lavori parlamentari, invocando un governo che faccia rispettare la legge. Mussolini, però, che è il padrone assoluto del paese, non si cura del dissenso ed all”inizio del nuovo anno, il 3 gennaio, con un discorso tenuto alla Camera, cancella lo Stato unitario retto dalla liberal-democrazia ed istituisce la dittatura. Il capo del governo, infatti, in una seduta in cui non è prevista nè discussione nè riconvocazione, è molto fermo ed esplicito:

“Dichiaro qui, al cospetto di quest”assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. [:] Se il fascismo è stato un”associazione a delinquere, ebbene io sono il capo e il responsabile di quest”associazione a delinquere!”.

Non c”è più spazio per l”opposizione. Il dissenso parlamentare dell””Aventino”, deve essere stroncato, perchè, afferma ancora Mussolini, “l”Italia vuole la pace, vuole la calma laboriosa e noi gliela daremo, questa calma, con l”amore, se è possibile, e con la forza se sarà necessario”.
Non c”è più spazio nemmeno per il dissenso della società. Il regime è duro e tratta senza pietà tutti coloro che intendono prendere le distanze dal fascismo. Infatti, in brevissimo tempo, tutti gli oppositori sono arrestati; la stampa è censurata; i diritti di libertà sono calpestati; i partiti politici sono sciolti. Si apre la strada allo Stato fascista totalitario.

Intanto, il fascismo, che vuole ribadire di avere a cuore le sorti dell”agricoltura, lancia la “battaglia per il grano”. L”obiettivo è quello di incrementare la cerealicoltura e bonificare integralmente le zone del latifondo. “Dobbiamo combattere la battaglia del grano, per liberare l”Italia dalla schiavitù del pane straniero”. Fino a questo momento, infatti, l”Italia ha importato 22 milioni e mezzo di quintali di grano e ha speso 4 miliardi di lire; il grano ha inciso, per metà, sul deficit della bilancia commerciale del paese!
(Nella foto il manifesto di annuncio dell”uccisione di Giacomo Matteotti)

LA DENUNCIA DI MATTEOTTI

L”OPPRESSIONE FASCISTA

SANT”ANASTASIA. PUC, PARTE QUARTA

È necessario fare uno sforzo comune per evitare che gli anastasiani abbandonino la propria città. Bisogna creare nuovi spazi e dare risposte al bisogno di aggregazione.

ORGANIZZAZIONE URBANISTICA DEL TERRITORIO
(Continua da articolo 3)

Centri d”aggregazione
Negli articoli precedenti abbiamo evidenziato come l”intensa urbanizzazione dei decenni scorsi ha soddisfatto sì le necessità abitative degli Anastasiani ma non le esigenze connesse all”aggregazione sociale.
Le varie Amministrazioni che si sono alternate alla guida del paese hanno rimaneggiato di continuo gli spazi preesistenti, senza preoccuparsi di crearne di nuovi e più consoni alle nuove realtà che erano subentrate. Occorre assolutamente un cambio di rotta per arginare sia il progressivo abbandono di Sant”Anastasia da parte dei suoi abitanti nelle ore di svago e d”intrattenimento sia la congestione del centro per qualsiasi utilizzo di servizio pubblico.

Considerando l”attuale configurazione del paese, sono necessari tre grossi centri d”aggregazione o direzionali che dir si voglia, per Sant”Anastasia Centro, per Starza, per Romani.
L”area ex FAG, si presta egregiamente alla costruzione di un centro polifunzionale, in cui realizzare il Palazzo di Giustizia per la sede del giudice di pace, la caserma dei carabinieri, l”ufficio postale di Madonna dell”Arco, una piazza con relativi giardini pubblici ed ubicarvi in prossimità il parco giochi che occorre spostare da Via Romani, un”area per parcheggio d”auto, utile pure per la realizzazione della cittadella Mariana, locali per piccole attività commerciali, intrattenimento, turismo, uffici.

Il quartiere Starza ha bisogno di una piazza, con relativi giardini pubblici, intorno alla quale realizzare un edificio di culto (la chiesa attuale di Ponte di Ferro non è più adeguata), un edificio scolastico per le esigenze della scuola dell”obbligo, uno o due edifici pubblici (poste, delegazione comunale), locali per piccole attività commerciali, intrattenimento, uffici, area per parcheggio d”auto. La realizzazione del tutto potrà essere eseguita nella zona dove è già in costruzione l”edificio scolastico di Via S.Chiara.

Discorso analogo vale per il quartiere 167 di Via Romani, a parte le esigenze della scuola dell”obbligo che sono soddisfatte. Un centro d”aggregazione, quindi, costituito da una piazza con giardini pubblici, un edificio di culto (quello attuale su Via Romani è anch”esso insufficiente), uno o due edifici pubblici (poste, delegazione comunale), locali per piccole attività commerciali, intrattenimento, turismo, uffici, area per parcheggio d”auto. Nell”ambito del quartiere c”è ampia disponibilità per la realizzazione.

Cittadella Mariana
Durante le ultime elezioni amministrative è stata lanciata l”idea della realizzazione di una cittadella Mariana. Ad oggi l”idea è rimasta tale, cioè una semplice espressione verbale. Vediamo, invece, come si può concretizzare, dal punto di vista urbanistico, questa cittadella Mariana.
Allo scopo, è necessario creare intorno al Santuario un”adeguata zona di rispetto, sottraendolo all”attuale caos di traffico veicolare e d”attività ludiche.

Com”esplicitato nell”articolo precedente, va rettificato il primo tratto di Via Romani, per eliminare la doppia curva esistente, distanziare il traffico veicolare dal Santuario e spostare il parco gioco esistente.
Occorrono poi tre grosse aree di sosta autoveicoli in corrispondenza delle tre strade d”accesso al Santuario. La prima ad est, lato Sant”Anastasia, l”abbiamo già indicato prima sul suolo ex FAG; la seconda ad ovest su Via Arco, lato Pollena, prospiciente l”ingresso di Via Gramsci; la terza a nord su Via Romani, sull”area ex IDAS.


Per una degna accoglienza turistica, poi, occorre realizzare il Centro d”accoglienza Turistica previsto dal PSO (Piano Strategico Operativo per la Zona Rossa) tra le opere infrastutturali da attivare, utilizzando il vasto complesso ex IDAS prima menzionato.
(Continua al prossimo articolo)

MAGGIORI DETTAGLI

APPROFONDIMENTI

ANDIAMO A VOTARE CONTRO LA POLITICA DEL CIARPAME

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Alla politica manca la coerenza tra quello che si dice e quello che si fa. È arrivato il momento di valorizzare persone che incarnano concetti quali: morale, educazione, cultura. Serietà.

Caro Direttore,
da qualche giorno non si fa altro che parlare del “ciarpame senza pudore” mormorato dalle sensuali labbra di una donna offesa ed arrabbiata, moglie (sulla strada del divorzio) del premier italiano. “Ciarpame” deriva da ciarpa (col suffisso peggiorativo ame). Per ciarpa, come ben sai, si intende una cosa vecchia, di poco valore o nulla; ma, in senso figurato, ciarpa ha anche il significato di donna di malaffare, di mantenuta. Probabilmente, l”ancora oggi first lady, senza volerlo, usando la parola “ciarpame”, ha dato una definizione di alcune improbabili candidature nelle liste per le europee, estendendo, poi, il significato figurato a qualche candidato. Non so, caro direttore, se sono riuscito a spiegarmi.

Come anche tu hai ben capito, oggi, per sognare un avvenire in politica, bisogna essere stati calciatori in squadre di club, aver partecipato alle olimpiadi, essere principe di casa Savoia ed aver vinto “Ballando sotto le stelle”, essere di bello aspetto, tronista, attrice o velina. Di conseguenza, appare comprensibile anche il dramma (sic!) di quel padre -con una figlia bellissima ma non ancora candidata al Parlamento- che ha tentato di darsi fuoco, per protesta, davanti a Palazzo Grazioli, dove è di casa il “papi” nazionale.

A questo si è ridotto la politica, caro direttore. Così, puoi dare una spiegazione della disaffezione, della lontananza, del disinteresse, dello schifo provato dagli elettori nell”andare a votare. Però, vedi direttore, non votando si fa il gioco dei potenti per mestiere. Meno si vota con coscienza, con intenzione, con intelligenza, più si avvantaggia una classe di parassiti, furbi ma ignoranti, che vive del sangue degli altri. Non si può fare, però, di tutta l”erba un fascio! Ci sono, in politica, persone perbene, fior di persone, con attributi e moralità da vendere, che, spesso, cadono lungo il percorso e, talvolta, sono anche derisi, quando non sono dileggiati o fatti segno a veri e propri attentati.

Qualcuno se ne è accorto? Qualcuno si è accorto, per esempio, che un sindaco anticamorra, Francesco Nuzzo, primo cittadino di Castelvolturno, ha minacciato di gettare la spugna, di dimettersi? Ma ciò che più è passato sotto silenzio è stata la denuncia di Nuzzo: “Schiacciato dalle pressioni, dai ricatti e da certi strani avvicinamenti. Tradito dalla politica. Anche da settori del Pd, che forse non hanno capito fino in fondo la mia battaglia per la legalità”. Castelvolturno è su una lingua di terra, tra la pineta e il mare, sulla Domiziana, è l”emblema dell”illegalità (speculazione edilizia, caporalato, abusivi etc.). A settembre scorso, proprio a Castelvolturno, i “casalesi” hanno messo a tacere, per sempre, sei immigrati nordafricani; lì vivono circa quindicimila immigrati e per le strade rimbalzano i nomi di tanti Kamil, Caleb, Madau o Paolos.

Castelvolturno è un vertice di un quadrilatero -della disperazione e della speranza- che si completa con Villa Literno, Qualiano e Giugliano. Ma a chi interessa? Il sindaco Nuzzo, che è magistrato a Brescia, si è sfogato, dicendo.”Avevo impostato la mia azione sulla trasparenza. Ma in queste zone ognuno ha un concetto proprio di legalità. Quello che va bene a me è giusto, altrimenti:”.
Direttore, ne so qualcosa anch”io! In tempi remoti, ho avuto un” esperienza da amministratore (conclusasi senza denunce e senza condanne ma sotto una gragnola di molto “fuoco amico”); tutti, ma proprio tutti (cittadini, militanti di partito, colleghi di amministrazione), venivano a chiedere “quello che andava bene a loro”. Ed alla risposta: “ma non si può fare, non è legale”, immancabilmente rispondevano: “lo sappiamo, altrimenti che necessità c”era di chiederlo!”.

Pensa che una volta, alcuni imprenditori, adirati per una decisione dell”amministrazione in carica (che secondo loro li danneggiava), firmarono un manifesto di protesta, in cui –lapsus freudiano- lamentavano che, spesso, erano costretti ad operare “al limite della legalità”: cioè, fuori dal perimetro della consueta illegalità!
Eppure, oggi, tutti parlano di legalità: i politici, i preti, gli artigiani, i professori. Considera che, specie nelle scuole, non passa un anno se non si organizza almeno un convegno, un seminario, un corso di formazione sulla legalità.

E, così, ti imbatti in frotte di alunni –anche in tenera età- costretti a subire le dotte elucubrazioni di un magistrato, di un graduato dei carabinieri o di un alto prelato. Ma quasi mai nessuno va a raccontare che la legalità è nei comportamenti, è nel vivere quotidiano, è nel relazionarsi agli altri. E, quasi mai, nessuno dice che, nei piccoli gesti, è annidato il senso di ciò che è lecito fare, non solo perchè vietato dalla legge, ma perchè consono alla morale.

Nessuno mai ti spiega, per esempio, il senso di un condono, che assolve dal reato, confermando, però, il danno perpetrato nei confronti del prossimo o del territorio, del vicino di casa o del parco naturale del Vesuvio! Come fare, a chi ricorrere, se non a noi stessi, al significato che si intende dare a parole come “morale”, “educazione”, “cultura”?

Qual è il confine, direttore, tra legalità e illegalità? Leonardo Sciascia, ne “Il giorno della civetta” (1961), lo lascia chiaramente percepire, raccontando di un medico di un carcere siciliano, che aveva deciso di eliminare il privilegio –concesso solo a detenuti mafiosi- di poter risiedere in infermeria a danno degli ammalati veri. Nessuno, però, aveva osservato e fatto osservare quella decisione! Anzi, quel medico zelante era stato anche picchiato dai mafiosi offesi e, quindi, esonerato, dalla direzione del carcere, dal suo compito, visto che la sua solerzia aveva dato luogo ad incidenti.

E “poichè militava in un partito di sinistra, si rivolse ai compagni di partito per averne appoggio: gli risposero che era meglio lasciar correre. Non riuscendo ad ottener soddisfazione dell”offesa ricevuta, si rivolse allora a un capomafia: che gli desse la soddisfazione, almeno, di far picchiare, nel carcere dove era stato trasferito, uno di coloro che lo avevano picchiato. Ebbe poi assicurazione che il colpevole era stato picchiato a dovere”.

COMUNI SCIOLTI PER CAMORRA. 7/A TAPPA

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Il Comune di Poggiomarino è stato sciolto per tre volte e la democrazia sospesa per quasi dieci anni, nella speranza di far fronte alla camorra. Con risultati insignificanti.
Di Amato Lamberti

Poggiomarino è una poco ridente cittadina alle falde del Vesuvio, affacciata sul golfo di Napoli, perennemente allagata, quando piove, sia per le acque che dilavano dal vulcano, e che poche vasche di laminazione non riescono a fermare, e sia per colpa di una falda freatica praticamente superficiale. Per gli abitanti è un dramma ma i terreni sono fertilissimi e consentono più di tre raccolti l”anno. Una situazione millenaria, come testimoniano gli insediamenti preistorici recentemente venuti alla luce, per caso.

Ma gli abitanti di Poggiomarino nella preistoria erano molto più pragmatici degli attuali, tanto è vero che, per far fronte ai continui allagamenti, costruivano le abitazioni su alte palafitte collegate tra di loro da lunghe passerelle aeree. Oggi, la cittadina, conta ventunomila abitanti, dispersi e accatastati in un tessuto urbano caotico, senza identità, dove il nuovo, lucente di anodizzati, e il vecchio, incrostato e cadente, si intrecciano senza alcuna armonia. Il problema è, forse, che il Piano Regolatore Generale non stava al Comune ma a casa di Pasquale Galasso, capo del clan camorristico omonimo e facente parte, come lui stesso dice, della “Organizzazione Fabbrocino”, ed in quella sede, cioè nel suo salone pieno di tappeti persiani, pezzi d”antiquariato, quadri del Seicento, seduto sul trono appartenuto a Francesco I di Borbone, decideva come e dove si poteva costruire.

Ma non solo l”urbanistica era sotto controllo -stiamo parlando degli anni che vanno dal 1980 al 1993- perchè la vita politico-amministrativa della città, come del comprensorio, era totalmente assoggettata alla camorra. Pasquale Galasso, il 13 luglio 1993, in Commissione Antimafia, per dare una idea del suo potere disse: “Un passaggio di sindaco o vicesindaco si poteva risolvere se c”era il gradimento del camorrista del momento. Io all”epoca ero appunto il camorrista del momento”.

Oggi, il camorrista del momento, con Pasquale Galasso arrestato e pentito, è Antonio Giugliano, detto ” “o savariello”, che il 17 ottobre 2005, fa prelevare dai suoi uomini, nella sua casa, l”assessore all”urbanistica del Comune di Poggiomarino, Antonio Saporito, per sapere i nomi di tutte le ditte che si erano aggiudicate appalti pubblici nel Comune. Le imprese, sul suo territorio, che comprendeva Poggiomarino, Terzigno, Trecase e Scafati, erano costrette ad acquistare il cemento dalla Stella calcestruzzo srl, che era la sua società, e a pagare una tangente di due euro a metro cubo di calcestruzzo. La signoria della camorra a Poggiomarino ha comunque antiche radici, ma per trenta anni il feudo è stato dei Galasso e il controllo dell”Amministrazione Comunale è stato praticamente totale, nonostante tutti i tentativi dello Stato di riaffermare la sua presenza e il suo potere.

Il Comune è stato sciolto nel 1991, sindaco Salvatore Lettieri, vicesindaco Roberto Aprea, e commissariato per 18 mesi; nel 1993, sindaco Roberto Aprea, e commissariato per 18 mesi; nel 1999, sindaco Mario Sangiovanni, e commissariato per 18 mesi. Tra le motivazioni, il fatto che alcuni assessori sono scelti direttamente dai clan e che la maggioranza degli amministratori risultano indagati per reati contro la pubblica amministrazione e per violazione delle norme in materia di controllo dell”attività urbanistica, e, quindi, sono incompatibili con la carica. In pratica, a Poggiomarino, per dieci anni, pur di far fronte in qualche modo alla camorra, si è sospesa la democrazia e si è affidato il governo della città a Commissari prefettizi.

I risultati sono stati disastrosi e/o insignificanti, a seconda dei punti di vista. Le uniche imprese che lavorano agli appalti pubblici sono o della camorra o controllate e “partecipate” dalla camorra. Chi vuole investire e produrre deve fare i conti con una presenza asfissiante di gruppi criminali che solo le “autorità” camorriste riescono a controllare, anche con la violenza.

Lo Stato è presente e vigile contro il delinquentume malamente organizzato, ma sembra non volersi neppure occupare dell”economia locale che sta passando di mano attraverso l”incastro continuo di società e cooperative di tutti i settori, dall”edilizia, alla sanità, all”assistenza, alle pulizie, al trattamento rifiuti, all”import-export di frutta e piante esotiche imbottite di cocaina, all”espurgo di pozzi neri miscelato di rifiuti tossici regolarmente scaricato nel “fiume” Sarno, previa sosta nelle vasche di laminazione.

Naturalmente, nessuno ne parla: a Poggiomarino, i francescani, che si occupano di aiutare e difendere gli immigrati, sono guardati come dei “rivoluzionari” che vogliono sovvertire le regole, non dello Stato, ma quelle, ben più vincolanti, della camorra.

GLI ALTRI APPROFONDIMENTI

L’ADOLESCENTE E “IL CAPITALE LINGUISTICO”

La qualità della comunicazione che esprime l”adolescente dipende dal modo con cui gli adulti si sono presi cura di lui e dall”ambiente nel quale è cresciuto.

Ciascun individuo , durante tutto il corso della vita, realizza un proprio percorso culturale che si colloca, unitamente a quello dei suoi contemporanei, a mezza via tra quanto l”umanità ha svolto fin dalla sua prima esistenza sulla terra e quanto sarà in grado di svolgere nei tempi che verranno.
L”uomo, infatti, nel corso della storia si è distinto dagli altri esseri viventi soprattutto perchè è riuscito a sviluppare un elaborato sistema di comunicazione che gli ha consentito di scambiare informazioni con altri suoi simili.

Il linguaggio, pertanto, o meglio i linguaggi, sono nati da una precisa esigenza umana: la comunicazione. Quindi, come nello sviluppo del genere umano, così nello sviluppo dell”adolescente, il linguaggio assume un ruolo di primaria importanza ponendosi come fattore indispensabile e propedeutico ad ogni tipo di apprendimento e allo sviluppo dei processi mentali superiori.
È soltanto nel primo anno di vita che il linguaggio e il pensiero si sviluppano lungo linee diverse: la lallazione infatti, attraverso la quale il bambino prova un piacere fisico nell”emissione di suoni privi di valore semantico, che sono stati definiti “internazionali”, costituisce di fatto un monologo connesso alla vita biologica e rappresenta una fase preintellettuale che pertanto non ha alcun legame con lo sviluppo del pensiero.

Successivamente le linee del pensiero e del linguaggio si incontrano per non separarsi più nel corso della vita dell”individuo, generando nuove forme di comportamento.
La verbalizzazione del pensiero e la razionalizzazione del linguaggio costituiscono così quella splendida rivoluzione quasi magica , che si evolve a mano a mano che il “capitale di parole” possedute e diviene spendibile in un poliedrico e progressivo ampliarsi di possibilità.

Il parlante, in particolar modo nella fase adolescenziale, nel veicolare un messaggio che possa essere decodificato da un destinatario, acquisisce, sulla base di un bagaglio esperenziale posseduto, una capacità di espressione in crescita combinando in modo variato, quel ristretto numero di 21 fonemi che danno vita al nostro linguaggio.
Le differenze di capitale linguistico, qualitativo e quantitativo, di cui ogni adolescente è portatore dipendono dall”interazione che si è verificata tra lui e gli adulti che si sono presi cura di lui o comunque dell”ambiente socio-culturale economico nel quale egli è cresciuto.

Comprendiamo allora il ruolo essenziale che un minore o maggiore possesso di capacità linguistiche svolge nello sviluppo dell”adolescente e quanto le possibilità di azione sul reale possano essere accresciute da una competenza linguistica ricca, variata ed elaborata per esprimere il ricco, variegato e ed elaborato mondo dell”adolescente fatto di variopinte e talvolta incontenibili emozioni che egli stesso non è sempre in grado di comunicare.

L”OSSERVATORIO DEGLI ADOLESCENTI

L’ALTRA FACCIA DELLE PAROLE

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Continua l”appuntamento quindicinale del prof. Ariola con la rubrica “Lingua in Laboratorio”. Oggi si parla dell”ambiguità delle parole e dell”indovinello.

Il prof. Eligio Ligio si chiama proprio così. Suoi sono sia il nome che il cognome. Stavolta non c”è lo zampino del collega ed amico Geremia, che da sempre confessa il suo disappunto per non aver potuto esercitare la sua creatività nomignolesca, dato che al curioso connubio aveva già provveduto il caso o qualcun altro all”inizio della catena generazionale degli Eligio/Ligio, quando si era accoppiato per la prima volta quel cognome con quel nome proprio, per burla, forse, o per un riconoscimento ufficiale di una coscienziosa osservanza dei doveri del proprio stato, chissà!

Il prof. Fantasia tuttavia si è autoconcesso e continua di tanto in tanto a concedersi, un modesto risarcimento per la defraudazione subita, ora apostrofando l”amico, che siede davanti a un tomo ponderoso, tra l”assente e il distratto: “Caro Eligio, stamane ti vedo un po” grigio!”. Battuta che serve a far sorridere l”apostrofato, alzandogli subito il livello d”umore depresso, ora sussurrando una battuta alquanto greve e salace ad altro amico, assente l”interessato, riferendosi alla sua (del prof, Ligio) abitudine di permettersi qualche apprezzamento su una bella donna accostandola alla Venere callipigia: “È insolitamente in ritardo il nostro Eligio Callipigio!”

Il prof. Eligio è un insigne docente di Latino e Greco e nutre una ammirazione per la classicità così fervida da sfiorare il fanatismo, alla quale accompagna, come è naturale, un profondo, viscerale e malcelato misoneismo. Spesso intavola brevi ma intense conversazioni con il collega Carlo, che si risolvono in uno scambio culturale di gran pregio ed interesse, per orecchie interessate, s”intende.
A proposito dell”ambiguità del linguaggio, il prof. Carlo ha appena finito di dire che un significativo esempio di ambiguità è dato dall”indovinello.

“L”indovinello –continua- è costruito proprio sulla caratteristica del linguaggio di avere due o più significati. Si tratta di un “breve componimento, spesso in versi”, nel quale coesistono due significati, uno proclamato ufficialmente e un altro nascosto da indovinare: si descrive una persona, un oggetto un fatto, una situazione con parole che possono riferirsi e quindi significare altra persona, altro oggetto e altra situazione. È come una medaglia con le sue due facce: se ne mostra una e si chiede di indovinare anche l”altra. Infatti basta un leggero movimento, della mano nel caso della medaglia e del pensiero nel caso dell”indovinello, per vedere e conoscere la parte nascosta”.

“Si potrebbe parlare –lo interrompe il prof. Eligio– del gioco della doppia verità o perfino della concezione relativistica della verità:”
“Senza andare necessariamente nel campo filosofico, mi sembra la tua una considerazione importante per individuare un qualche fine pratico di questa operazione della mente che a prima vista appare come un puro gioco, di intelligenza, ma sempre gioco, quello cioè di un allenamento mentale che permetta più agevolmente di non fermarsi, nel leggere e nell”interpretare la realtà, alle mere apparenze, ma di andare a vedere cosa c”è e ci può essere dietro e oltre.

Vorrei citare un indovinello tra i tantissimi che conosco, che mi sembra di rilievo per la sua attualità. È di Fan (Gianfranco Riva), ripreso da Stefano Bartezzaghi nelle sue “Lezioni di enigmistica” (Einaudi,Torino, 2001):
Thoeni si supera nello slalom
“Dopo un”evoluzione che in teoria
è apparsa piuttosto discutibile
col suo arrivo “mondiale” ha migliorati
nel tempo i precedenti suoi primati”.

Si tratta “di un vero e proprio discorso sull”uomo, nascosto sotto il discorso sullo sciatore: l”uomo infatti, dopo aver subito un”evoluzione antropologica (la cui “teoria” è stata molto controversa: discussa e quindi “discutibile”), con il suo “arrivo al mondo” ha costituito un “miglioramento” delle “specie dei primati” (in questo caso plurale di “primate” e non di “primato”) che lo hanno “preceduto””. (Bartezzaghi)”

“Scusami, caro Carlo, ma tra gli indovinelli che hanno come soluzione “l”uomo”, ritengo insuperato, per la sua icasticità significativa, quello classico per eccellenza, quello che la Sfinge, mostro con volto di donna e corpo di leone, figlia secondo Esiodo della Chimera, proponeva ai viandanti alle porte di Tebe, uccidendoli se non sapevano dare la soluzione:
“Qual è l”essere che di mattina ha quattro zampe,
di giorno ne ha due e di sera ne ha tre?
Si sa che fu Edipo a dare la soluzione e la Sfinge dalla rabbia per la sconfitta subita si gettò in un burrone e morì”.
(Continua)

LA RUBRICA

“LA MARCIA SU ROMA!”

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È IL 1922. Mussolini, col silenzio complice del re e del governo, si accinge a prendere in mano le sorti d”Italia. Per il Papa Pio XI è arrivato “l”uomo della provvidenza”.

L”inizio dell”anno 1922 è segnato dalla morte del papa Benedetto XV. Al trono di Pietro è eletto, così, il 6 febbraio, il cardinale Achille Ratti, arcivescovo di Milano, che prende il nome di Pio XI. Il nuovo pontefice dichiara subito la sua avversione sia all”idea liberale che a quella marxista. Guarda, invece, al fascismo –osteggiato da molti preti e dall”Azione Cattolica, oltre che dal segretario del partito popolare, don Luigi Sturzo, costretto alle dimissioni- con sereno ottimismo, tanto da definire Mussolini “l”uomo della provvidenza”.

E proprio Mussolini, col silenzio complice del re e del governo, si accinge a prendere in mano le sorti d”Italia. A Milano, rivolto ai suoi uomini, il nuovo leader della destra dichiara: “Io vi dico con tutta la solennità che il momento impone: o ci daranno il Governo o lo prenderemo calando su Roma”. Le forze dell”ordine sono tutte dalla parte del movimento fascista. Nel luglio del 1922, un prete vicentino racconta: “Carabinieri girano in camion con i fascisti, si puntano all”occhiello il loro distintivo, cantano i loro inni, mangiano e bevono coi fascisti”. Anche i prefetti guardano con simpatia a destra; solo il prefetto di Bologna, Cesare Mori, è un feroce oppositore all”aggressività fascista ma è subito trasferito in una cittadina del sud.

Nessuna istituzione si preoccupa, perciò, della minaccia mussoliniana. Tace il Governo guidato da un incolore avvocato piemontese –Luigi Facta-, tace –cosa ancor più grave- il re e, senza levare nemmeno una parola di dissenso, lasciano che un “esercito” irregolare di quasi 25.000 uomini, la notte del 28 ottobre 1922, muova alla volta di Roma. Anzi, la mattina seguente la marcia sulla capitale il re –dopo aver incassato le dimissioni di Facta ed il rifiuto a sostituirlo di Salandra- chiama Benito Mussolini e lo nomina presidente del consiglio dei ministri. Il discorso alla Camera del nuovo primo ministro non lascia spazia ad alcun fraintendimento:

“Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Mi sono rifiutato di stravincere e potevo stravincere:Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti:Io non voglio, finchè mi sarà possibile governare contro la Camera, ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento, fra due giorni o fra due anni”. Per le strade squadre di giovani in camicia nera cantano “Giovinezza, giovinezza/ primavera di bellezza/ della vita nell”asprezza/ il tuo canto squilla e va!”.

Cadono nel vuoto le parole di opposizione al nuovo governo di Giacomo Matteotti e Filippo Turati.
Il nuovo regime si presenta con i suoi veri panni nel 1923, quando nasce la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il cosiddetto braccio armato di Mussolini. La Milizia serve al capo del fascismo per punire le teste calde, gli oppositori. Serve a far menar le mani agli squadristi, tanto è vero, che da questo momento le azioni di violenza diventano innumerevoli. In una di queste viene assassinato ad Argenta, in provincia di Ferrara, il prete don Giovanni Minzoni.

Intanto, due eventi caratterizzano il governo Mussolini: la legge Acerbo e la riforma Gentile. Giacomo Acerbo è il deputato fascista, che dà il nome alla legge di riforma elettorale: il partito che ottiene il 25% dei voti si aggiudica anche un premio di maggioranza, che lo porta ad attribuirsi il 65 % dei seggi. In pratica è una legge truffa (approvata con 223 voti contro 123 ed il consenso personale dei deputati Giolitti, Salandra ed Orlando!), che garantisce al fascismo la possibilità di controllare due terzi della Camera!

Giovanni Gentile è l”ideatore, invece, della riforma scolastica, che prevede una scuola elementare di cinque anni, un”istruzione secondaria di otto anni e, quindi, l”università. La riforma è basata sull”istruzione umanistica a tutto svantaggio di quella tecnica. Alla fine della scuola secondaria superiore è introdotto l”esame di maturità con le commissioni esterne.

IL 28 OTTOBRE 1922

COSA INSEGNAVANO A SCUOLA

BUON 1° MAGGIO A TUTTI!

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La Festa del Lavoro è stanca. Si trascina come un rituale ma manca di mordente. Eppure, mai come in quest”epoca ci sarebbero da rivendicare Diritti e Lavoro.
Di Raffaele Scarpone

Caro Direttore,
non posso, certo, tacere del 1° maggio, festa del lavoro! Un tempo, nemmeno troppi anni fa, gli operai e gli impiegati, gli agricoltori ed i ferrovieri, insomma, tutte le categorie lavorative, sfilavano in corteo, ringraziavano per i diritti acquisiti e ne rivendicavano di nuovi e sacrosanti. Tutti (ma proprio tutti) sapevano che quella data simbolo, nata in ricordo dei martiri di Chicago (la città americana in cui, nel 1886, un grande corteo di 80 mila lavoratori lasciò sul lastrico alcune vittime, nella rivendicazione delle otto ore come limite legale all”attività lavorativa) e sancita, nell”agosto del 1891, dal II Congresso dell”Internazionale, era la “festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale essi dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà”.

Direttore, io li ricordo quei cortei; anzi, ti dirò di più, partecipavo proprio alla sfilata del 1° maggio. Per le strade di Napoli si muoveva un lunghissimo e gioioso serpentone: c”erano le tute blu dell”Italsider, i caschi bianchi dell”Enel, i pompieri con le tute verdi, gli autoferrotranvieri con gli abiti grigi ed i fregi dorati, gli agricoltori a bordo dei loro rumorosi trattori e, poi, insegnanti, studenti, impiegati ed anche casalinghe. Nei luoghi di concentramento finale, poi, l”oratore di turno (un politico, un sindacalista) rinnovellava il valore del 1° maggio e ricordava, sempre, i caduti della strage di Portella della Ginestra (Pa), il luogo in cui, nel 1947, più di un migliaio di contadini s”era dato appuntamento per festeggiare la fine della dittatura ed il ripristino delle libertà, ignorando che si sarebbe trasformato in bersaglio vivente alle doppiette mafiose della banda di Salvatore Giuliano (ci furono 11 morti, di cui 2 bambini, ed oltre 50 feriti!).

Caro Direttore, sembra siano passati secoli e secoli dai fatti che ti ho appena ricordato. Ho provato a chiedere a dei giovani il significato della festa del 1° maggio: niente, nessuna risposta; qualcuno ha detto perchè la data è segnata in rosso sul calendario. Non parliamo, poi, di quelli che ignorano del tutto –giovani ed adulti- la storia del 1° maggio ed anche la strage di Portella della Ginestra. Molti, però, sanno del megaconcerto, che si terrà a Roma, in Piazza San Giovanni. Perchè? Perchè, ogni anno, il 1° maggio, si tiene un grande concerto a Roma; quest”anno ci sarà anche Vasco Rossi; basta!

“Quid est veritas? Questa domanda latina rivolta dal governatore della giudea all”uomo di Nazaret trova risposta nell”anagramma est vir qui adest. Ma l”anagramma è un gioco e comunque non si usa più. Vuol dire che la verità è chi ti sta di fronte? È nel tuo specchio? Ma nessuno conosce l”essenza degli specchi e nessuno penetra il loro segreto tranne Alice nel paese delle meraviglie” (Luigi Pintor, “I luoghi del delitto”, Bollati Boringhieri, 2003).

Caro Direttore, a parte la preziosa presenza (ultimo baluardo di moralità e democrazia: che gli Dei lo conservino a lungo!) dell”infaticabile ed indistruttibile Presidente Napolitano, sicuramente qualche responsabile del governo prenderà la parola, rilascerà qualche intervista, parteciperà a qualche convegno. E, magari, dirà che il nostro Paese è uscito dalla crisi; anzi, questa recessione è stata una breve parentesi e si è risolta molto prima del previsto. L”Italia resta pur sempre il paese del bengodi, la terra di eldorado. Eppure, c”è un panorama da tragedia. Le morti bianche non si contano.

Come non si contano i disoccupati, i giovani che non avranno mai un lavoro insieme a quelli che, dopo averlo avuto un lavoro, lo perdono improvvisamente. Qualche giorno fa, Ivan Scozzaro, un giovane torinese di 29 anni, dopo che l”azienda in cui lavorava (la Johnson Electric) ha chiuso i battenti e mandato a casa 113 dipendenti, si è tolto la vita, lanciandosi da un ponte. Però, i nostri responsabili della politica e dell”economia dicono che “il peggio è passato”.

Lo dice anche Sergio Marchionne, l”amministratore delegato Fiat, mentre l”azienda annuncia altre “sospensioni temporanee” dei lavoratori per tutto il 2009: ne sanno qualcosa anche i dipendenti di Pomigliano d”Arco! E gli allegri tagli nelle scuole? E gli esercizi commerciali costretti a chiudere? Ed i giovani che si dilaniano per occupare provvisoriamente un posto in call center? Ed i co.co.co. senza, ormai, alcuna speranza?
Nel 1971, Nanni Balestrini, nel romanzo “Vogliamo tutto” (Feltrinelli) racconta dell”operaio-massa, del proletario meridionale, che va a lavorare a Torino, alla Fiat, e lì è costretto a vivere miserabilmente:

“Nichelino è un dormitorio alle porte di Torino. Caratteristiche delle abitazioni di Nichelino: assenza pressochè totale di servizi. Fitti in continuo aumento. Ricatti continui da parte dei padroni di casa con la minaccia dello sfratto[:]. Lì il bilancio di una famiglia operaia è il seguente: il salario di una fabbrica di Nichelino per 8 ore di lavoro varia dalle 60.000 alle 80.000 mensili. L”affitto, anche 10.000 a vano, varia dalle 20.000 alle 35.000, più 2.000, 4.000 per le spese e altrettanto per il riscaldamento. Restano dalle 30.000 alle 50.000 per vivere, per cui le ore di lavoro devono salire a 10, 14. Chi lavora alla Fiat non migliora per niente il proprio bilancio. Il costo e le ore non pagate di trasporto, almeno due ore giornaliere, assorbono le differenze salariali”.

Caro direttore, anche questa descrizione sembra appartenere a situazioni di tanto tempo fa. E, invece, non è cambiato quasi niente, solo le lire sono diventate euro. Anzi., tutto il contesto è totalmente peggiorato. Chissà se il ministro Brunetta, sedicente socialista, se ne è mai accorto. Buon 1° maggio, direttore.