Somma Vesuviana, Sant’Anastasia e il Magister nundinarum

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Somma Vesuviana, Sant’Anastasia e il Magister nundinarum
magister nundinarum

Il magister nundinarum della Terra di Somma era un arrogante e presuntuoso personaggio, che con violenza ed estorsioni commetteva abusi nei Casali della Terra di Somma. Ciò si evince effettivamente dai numerosi documenti conservati nell’Archivio storico di Napoli.

Il magister nundinarum o mastromercato, che Giovanna III accordò alla città di Somma nel 1496 [cit. A. Angrisani], aveva giurisdizione civile e penale per l’intera durata della cosiddetta fiera del Martedì in Albis, mettendo da parte anche l’autorità del regio governatore dell’Università della Terra di Somma. Doveva assumere questa prestigiosa carica un cittadino sommese, liberamente eletto dal governo locale, ed aveva giurisdizione anche nei casali di Sant’Anastasia, Trocchia, Pollena e Massa. Normalmente, secondo la prassi, doveva essere qualche notabile o nobile personalità del panorama cittadino, esperto di diritto amministrativo, commerciale, giudiziario, di ordine pubblico; ma il più delle volte era un semplice cittadino, che “vestito” da guappo e sparapose non si limitava solo al suo vero compito, ma abusava, come vedremo, del suo prestigioso ruolo. Questo stato di cose si è trascinato fino ad oggi, producendo ancora tanti incompetenti nel gestire il governo locale. Ebbene, l’autorità del mastro mercato fu messa in dubbio e, sulle numerose richieste inviate alla Regia Camera della Sommaria, si tentò di chiarire le sue competenze, che purtroppo non venivano mai rispettate, tant’è che il casale di Sant’Anastasia, scocciato da questo insolito personaggio, iniziò ad affermare che Somma sceglieva sempre un idiota trasformato in Mastro di Fiera. Il prof. Luigi Iroso, membro onorario del Centro studi dell’Archivio Storico di Somma Vesuviana, rovistando tra i documenti della Regia Camera della Sommaria nell’Archivio di Stato di Napoli, ha recuperato un importante documento, che, letto attentamente, non solo ci ha chiarito il comportamento ignobile e vergognoso del mastro mercato nei confronti dei vicini casali, ma addirittura la sua caparbietà nel portare a fine anche “vendette” personali. Tale notizia, oltretutto, è riportata pure dallo storico locale Angelo Di Mauro a pagina 351 del suo libro dal titolo Università e Corte di Somma – I Magnifici, Ed. Ripostes, Baronissi, 1998, ma non è citata la giusta fonte.

ASN, Regia Camera della Sommaria, Ricorso, anno 1765

Era il martedì in albis del 9 aprile del 1765 e, in coincidenza con la festività di Santa Maria del Pozzo, veniva eletto mastro della fiera il vaticale (trasportatore di merci) Onofrio dell’Annunziata, il quale, esercitando per otto giorni la stessa giurisdizione del regio governatore locale, chiese subito all’Università del Casale di Sant’Anastasia trenta carlini a titolo d’ingresso. A riguardo, in riferimento già ad un’antica rivalità, i sindaci di Sant’Anastasia, Carlo Mollo e Saverio de Felice Salinas, si opposero fermamente, affermando che la somma richiesta non era stata compresa nel bilancio o stato discusso. Nel contempo, i due sindaci non solo avevano presentato regolare denuncia alla Regia Camera della Sommaria, ma erano riusciti ad ottenere una sentenza favorevole alle loro aspettative.

Il mastro della fiera, comunque, forte del suo privilegio, si presentò comunque a Sant’Anastasia il giovedì successivo, accompagnato da un folto stuolo, costituito da uno dei sindaci di Somma con il suo consultore magnifico d. Pietro Tipaldi, dal mastrodatti (cancelliere) della regia corte Domenico Luciani, dal grassiere (responsabile dell’annona) Antonio di Matteo alias scommazzo, dal panettiere Giuseppe d’Alessandro, da una squadra di birri (soldati) ed altri di loro seguito. Gli venne incontro a Sant’Anastasia tale Vincenzo Colella, che gli notificò il sopracitato provvedimento giudiziale della regia Camera della Sommaria, che annullava la richiesta dei trenta carlini. Di fronte a ciò, il magister Onofrio dell’Annunziata dovette allontanarsi, annunciando un ricorso di parte.

Antica fiera

Lunedì 15 aprile, ancora, alle ore tredici, il mastro mercato si recò di nuovo a Sant’Anastasia con il solito coro di seguaci, deciso più che mai a pretendere quanto dovuto. A fronte del rifiuto del sindaco Saverio de Felice Salinas, egli attivò tutte le procedure che la legge gli imponeva di fare, in particolare il cosiddetto assaggio de pane. A riguardo stabilì che quello bianco doveva pesare trentotto once (1 oncia era 28,35 grammi, quindi kg 1 circa) per ogni palata, mentre quello scuro ventotto once (circa 880 gr.): questi parametri e decisioni rientravano nel suo controllo. Subito dopo, impartì ai suoi seguaci le direttive da seguire, facendo disperdere nell’aria le reiterate opposizioni delle puntualizzazioni della controparte, che insistevano sull’illegittimità della siffatta operazione ispettiva, in quanto non spettava a loro, ma a Don Francesco Vargas Machuca (1699 – 1785), Caporuota del Sacro Regio Consiglio e governatore dell’Università anastasiana.

Cav. Francesco Vargas Macciucca o Machuca

Incuranti delle proteste, due birri, accompagnati da Antonio di Matteo e Giuseppe d’Alessandro, si recarono al forno sito in piazza Trivio (Sant’Anastasia) e, avendolo trovato chiuso, lo fecero aprire. Il panettiere e proprietario Pasquale Milone, intanto, avvertito dell’ispezione, corse frettolosamente alla sua bottega. I birri sommesi – non avendo trovato il pane nemmeno nella stufa, aperta con forzatura – si recarono nell’altra bottega di Domenico Piemonte alias picozza. Presero sette o otto palate di pane e con la solita arroganza non si fermarono alla cassa per il dovuto pagamento. Ciò provocò la reazione del figlio del bottegaio, Gioacchino Piemonte, il quale, presentandosi al cospetto del consultore, intimò il saldo del conto. Comunque, sulla scorta del giudizio negativo fatto sul prodotto ed emesso dopo un sedicente controllo, Onofrio dell’Annunziata fece pubblicare un bando con cui il pane doveva essere venduto con suo prezzo stabilito: non più 4 grana, ma 2,5 grana. Stranamente, pur a costo minore, non solo nessuno comprò il pane al nuovo prezzo, ma la popolazione gli si rivoltò contro gridando è buono, è buono, così lo volimo! Le intimidazioni e le estorsioni, comunque, si propagarono anche nelle altre botteghe anastasiane. Puntuali giunsero le denunce a Don Francesco Vargas Machuca da parte dei sindaci e le conseguenti indagini furono affidate ad un delegato giudiziario. Quest’ultimo, venuto a Somma, istaurò subito un dialogo costruttivo con il regio governatore locale Nicola de Vera, attraverso il quale riuscì ad avere un abboccamento con il mastrodatti Domenico Luciani, molto renitente in sulle prime, per ricevere la documentazione ufficiale in materia.

L’interrogatorio susseguente dei sindaci di Somma, comunque, confermò l’antico privilegio locale di nominare per otto giorni il mastro di fiera, al quale spettava l’individuazione di un grassiere, addetto a porre l’assisa sull’annona e a esigere le pene dai contravventori sia sul territorio sommese che su quello dei casali. Eppure, a loro giudizio, l’operato di Onofrio dell’Annunziata – spiega il prof. Luigi Iroso – era stata avversato dai loro omologhi di Sant’Anastasia, colpevoli di aver portato in piazza duecento concittadini, tra cui Pasquale Milone, Domenico e Gioacchino Piemonte, Saverio Panico alias lo volante, Lorenzo Piemonte, Domenico Pone alias miullo, Saverio Perone e Francesco Bosiello, per evitare di fare i dovuti controlli. Naturalmente altre testimonianze presentavano versioni opposte; anzi, Pasquale Milone sostenne, addirittura, di aver dovuto sborsare al mastrodatti venti carlini per ottenere l’accelerazione dei tempi dell’interrogatorio. La questione, portata in tribunale, rimase sub iudice, in quanto il documento storico ufficiale, sollecitato da una parte e promesso dall’altra, non comparve nemmeno in tale circostanza. Questi era il magister nundinarum di Somma: un arrogante e presuntuoso personaggio che con violenza ed estorsioni commetteva abusi nei Casali della Terra di Somma.

Comunque, nell’ambito della politica antifeudale, il re di Napoli, Giuseppe Bonaparte, con proprio decreto n°218, datato Portici 25 ottobre 1806, abolì definitivamente la figura del mastro mercato, chiudendo per sempre questa vergognosa epoca storica.