Roberto De Simone, un grande amico di Somma Vesuviana

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Un Castello di Donne

 

 E’ stato un grande amico si Somma. E come succede spesso non è stato riconosciuto. Forse perché quando è arrivato era solo uno sconosciuto. Ha frequentato la nostra comunità negli anni ’70 del secolo scorso.

 

Veniva in primavera appena dopo Pasqua attratto dai riti della festa di Santa Maria a Castello. Sulle orme di Ernesto De Martino e Diego Carpitello, i primi studiosi della materia. Era innamorato degli usi e soprattutto dei canti e balli che ancora sopravvivevano nella tradizione contadina del vesuviano. In particolare aveva intuito che Somma conservava ancora riti secolari legati alla primavera che si manifestavano attraverso i suoni, canti e balli in onore della Madonna di Castello.   Il pellegrinaggio a Castello stava scomparendo e con esso anche le devozioni collegate.

La tradizione contadina era in trasformazione verso un futuro industriale che prometteva rivoluzione in tutti i settori della società. I riti religiosi stavano scomparendo con gli anziani che li perpetuavano nelle occasioni collegate. E nel momento giusto Roberto De Simone riuscì a dare dignità a una realtà in estinzione che poi valorizzò attraverso i concerti della Nuova Compagnia di Canto Popolare (NCCP). Fu un opera indispensabile. Capitata al momento giusto. Diversamente non si sarebbe salvata dall’oblio.

Con essa cominciò la diffusione dei canti,  delle sonorità e dei balli tipici di questa terra. Diversi long plain della NCCP contengono brani provenienti da Somma. Debitamente dichiarati. Un vero lavoro scientifico e culturale di grande spessore fatto da professionisti appassionati nell’ambiente musicale internazionale. Fu una rivoluzione culturale popolare dando lustro alle voci dei  vari Gennaro Albano, Rosa Nocerino, Giovanni Coffarelli, che divennero testimoni viventi di una tradizione addirittura millenaria. Alcuni di loro hanno viaggiato e cantato in tutta Italia. Nel bicentenario della nascita degli Stati Uniti d’America Albano e Coffarelli ebbero, insieme ad altri 20 concittadini l’onore ed il piacere di rappresentare l’Italia esibendosi a Washington in diversi eventi etnomusicali. Nessun avrebbe mai immaginato una tale ribalta mondiale per la nostra cultura popolare.

Questo e tanto altro successe grazie all’opera del Maestro. Già per questo meritava un monumento. Ma c’è una storia quasi sconosciuta ai più e che mi fa obbligo divulgare. Sono stato testimone di una grande intuizione del Maestro. Ebbi il piacere di intervistarlo nella sede del Circolo Sociale, giovane corrispondente del giornale Roma. Rispondendo alla domanda sulle origini dei canti locali il Maestro fece risalire il tutto al culto di Dioniso che probabilmente doveva essere presente nel territorio del Monte Somma. Era la prima volta che si metteva Somma in relazione con il dio greco della gioia. Negli anni ’70 era facile invece collegare i nostri balli e i nostri canti alla dominazione spagnola degli Aragonesi. Fu un’affermazione spiazzante che caratterizzò tutta l’intervista.

Erano anni di grande fermento con al centro la valorizzazione delle tradizioni. Nel meridione  nacquero molte manifestazioni in tema e tanti spettacoli furono allestiti in tante piazze. Il Maestro in più di un occasione espresse il proposito di collaborare con il Comune lanciando l’idea di un centro culturale con eventi dedicati alla musica etnica vesuviana. Costava poco e niente metterlo su. Nessuno ci credette. Ci rimase molto male. Eppure aveva dato già tanto al territorio, compreso fama, dignità, e concerti gratis.

Purtroppo in 50 anni neppure la cittadinanza onoraria siamo riusciti a conferirgli (eppure è stata conferita a personaggi che non credo abbiano fatto di più).