Le ricette di Biagio. Vongole non filippine, “cicinielli” non cinesi. I ricordi, e un quadro di Gustaf Soderberg

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."G. Soderberg, Il Vesuvio dal Ponte della Maddalena, 1820"

Le vongole veraci e i “cicinielli” di Biagio vengono da mari italici. Le “pizzelle” di cicinielli e il “soté” sono piatti della tradizione. Nel gioco della memoria alcuni ricordi vivono  solo perché molti altri sono spenti per sempre. Il muro e  il Vesuvio nel quadro di Soderberg.

 

Frittelle di “cicinielli” all’ aceto bianco di lacryma christi. Ingredienti: gr.300 di “cicinielli”, farina, aceto bianco di lacryma christi, olio. I  “cicinielli”, lavati, sgocciolati e asciugati, vengono prima infarinati e poi versati nell’ olio bollente. Si formano delle “ pizzelle”, che devono “arruscarsi”  da entrambi i lati. Completata l’”arruscatura”, le “pizzelle” verranno sistemate ad asciugarsi su carta assorbente da cucina. Infine, le disporrete su un piatto “schiano” e le profumerete con gocce dell’aceto bianco: quando le gocce saranno interamente assorbite, porterete le “pizzelle” in tavola.

Sauté di vongole veraci e fasolari al Coda di Volpe. Ingredienti:  gr. 500 di vongole veraci; gr.500 di fasolari; gr.300 di salsa di pomodoro; un bicchiere di “coda di volpe” del Vesuvio; peperoncino piccante; pane “cafone”; aglio, prezzemolo, olio. Lavate accuratamente le vongole e i fasolari, metteteli in una “caccavella” alta, versate tre quarti del bicchiere di vino,  “’ncuperchiate” e lasciate cuocere a fiamma viva fino all’apertura delle valve. Calate vongole e fasulari in una “caccavella” bassa in cui già stia a riposare un soffritto di olio, aglio e peperoncino. Sul tutto versate lentamente la salsa di pomodoro “allungata” con il liquido di cottura dei molluschi accuratamente spurgato,  bagnate con l’ultima parte di vino, “’ncuperchiate” e lasciate che  una fiamma “moscia” completi senza fretta la cottura.  Il piatto va in tavola cosparso da un abbondante trito di prezzemolo, che aiuta la salsa ad asciugarsi un poco, e scortato da fette di pane “cafone”.

Il “coda di volpe” del Vesuvio accompagna a tavola i due piatti.

 

Biagio Ferrara

 

La discussione a tavola è politica: uno dei commensali, che legge tre giornali al giorno, lancia invettive contro l’invasione dell’olio tunisino, contro il parmigiano “falsificato” in Brasile, contro stocco e baccalà contraffatti e, esaminando contro luce le “pizzelle” di “cicinielli”, si augura che il “bianchetto” usato da Biagio venga dai mari italici, e non dalla Cina. Mentre Biagio si inalbera e garantisce che è tutta cosa nostra, cioè “d’’o mare ‘e Napule”, mi accorgo che un altro commensale, storcendo il muso, sta per proclamare la superiorità assoluta del “novellame” di Calabria. Ad evitare una guerra tra regioni, racconto, sbalordito,  che in molti allevamenti dell’ Adriatico le vongole veraci nostre sono scomparse, per far posto a vongole dell’ Oceano Pacifico, le quali – ha scritto Vincenzo Del Genio, delegato napoletano dell’ Accademia Italiana della cucina – sono in tutto simili alle veraci, ma hanno un difetto essenziale, definitivo: quando si aprono, non producono umore, quell’umore che serve ai cuochi per far sugo con l’olio e con la salsa del pomodoro. Biagio ci spiega che le vongole filippine “ si scanagliano” al suono: battute sulla pietra,  danno un suono “loffio”, che è un termine prezioso, di origine greca, e significa fiacco, debole di una debolezza irreversibile; ma non riesco a capire quali siano il tono e il timbro di un suono “loffio” di vongola.  Mi affido al sapore delle vongole: e poiché sono saporite, mi dichiaro pronto a scommettere che sono vongole italiche. Poi dicono il razzismo…..

Quando ero ragazzo, molti decenni fa, andavamo a caccia di “pizzelle” di “cicinielli” e di “soté” di vongole non solo nei ristoranti di mare, a Torre del Greco, a Torre Annunziata, a Pozzuoli, ma anche nelle locande dell’interno, dove i cuochi che avevano fatto pratica nelle cucine del “Nautilus”, della “Casina Rossa” e della “Ninfea” importavano i menù di mare coniugandoli con quelli dell’orto, e creando un’ epopea che non ha avuto cantori, purtroppo. Come al solito, i sapori richiamano i ricordi del passato remoto, ma lo fanno con una cattiveria bastarda: volti di amici che non vediamo da anni,  espressioni di amici e di compagni che non rivedremo più, gesti, perfino modi di ridere e toni di voce si delineano nitidi eppur remoti, dietro un muro di ombre in cui si sono irrimediabilmente spenti e confusi gli sciami di altri ricordi che vorremmo riaccendere, ma  che non rispondono più alle nostre sollecitazioni: nella nebbia della memoria vaga qualche cognome, qualche frammento di immagine che cerca, vanamente, una piena identità.

Questo “teatro” che sempre più frequentemente va in scena davanti ai miei occhi mi fa pensare a certi quadri di Thomas Jones e al quadro di Gustaf Soderberg, che apre l’articolo. E’ una straniante veduta del Vesuvio dal ponte della Maddalena: una veduta impostata non nello studio, ma all’aperto, poiché il profilo del Vesuvio il pennello l’ha tracciato sul colore ancora fresco del cielo. E dunque lo svedese Soderberg mette in primo piano un muro massiccio, dal colore opprimente, scaglioso come una corazza, estraneo a ogni vibrazione di luce. Nel piano di mezzo le forme del ponte sono più agili nel disegno e i rettangoli delle case più mossi nel colore. Infine nel vasto spazio del piano più lontano il Somma -Vesuvio è una sagoma di pura luce, fatta di cielo che all’improvviso si rapprende e si addensa per poi sciogliersi e stemperarsi lentamente,  in un gioco ottico che non si ferma mai. Così  sono i giochi dei ricordi con cui la memoria si diverte….