Le ricette di Biagio: pasta alla Norma. Un piatto che sa di filosofia, di musica e di letteratura

0
455

Alla melanzana, che “domina” nella pasta alla Norma, sono legati grandi nomi, Bellini, Tomasi di Lampedusa, Garcìa Màrquez, Camilleri. L’ortaggio a lungo ebbe cattiva fama. Gli Arabi  diedero alla melanzana un nome che significava “uovo del diavolo”, gli Spagnoli sospettarono che provocasse isteria e epilessia, e qualcuno fu capace di scrivere che gli arabi l’avevano portata in Europa per distruggere i Cristiani: ma anche i più moderati arrivarono a sospettare che nuocesse all’umore di chi la mangiava. A metà del Settecento la fama della “mela insana”, del “frutto pericoloso”, incominciò a cambiare, soprattutto perché si vide che le melanzane costituivano un prezioso nutrimento per le classi povere. Esse divennero l’ingrediente più importante di “piatti” siciliani e romani destinati a una grande fama.

 

Ingredienti: 2 melanzane viola, 8 pomodori ramati, gr. 320 di rigatoni, aglio, olio, basilico, ricotta salata, olio per friggere, zucchero, sale, pepe. Tagliate i pomodori a cubetti e metteteli in una padella con olio e aglio: lasciate che il fuoco per 20 minuti li ammorbidisca, e intanto aggiungete basilico, sale, pepe e mezzo cucchiaio di zucchero. Tolti i pomodori dal fuoco, “passateli” nel passaverdure. Rimettete il sugo di pomodoro sul fuoco e fatelo asciugare fino a ottenere la giusta consistenza. Tagliate le melanzane in cubetti di medie dimensioni, friggetele e scolatele con molta attenzione, in modo che la frittura risulti asciutta. Cuocete i rigatoni, conditeli con il sugo di pomodoro e infine, prima di servirli, aggiungete in ogni piatto le melanzane e una spolverata di ricotta salata. (Immagine e ricetta derivano dal blog “Giallozafferano”).

 

Il “piatto” si chiama così, secondo alcuni, perché il cuoco catanese che l’inventò volle dargli il nome di un’opera di Vincenzo Bellini, che era di Catania. Secondo altri il commediografo Nino Martoglio dopo aver mangiato pasta con le melanzane esclamò, estasiato, “è proprio come la Norma”, riferendosi non solo alla perfezione della musica belliniana, ma, probabilmente, anche al fatto che quella musica ci conquista lentamente, ma con una bellezza è una potenza irresistibili: come le melanzane, il cui segreto è, nell’orto e in cucina, di non avere mai fretta. La melanzana, soprattutto quando è abbinata alla pasta, invita al silenzio, e dunque alla meditazione, all’attesa del momento in cui il suo sapore, sottraendosi alle note degli altri ingredienti, sale a conquistare il gusto e la percezione di chi la sta assaporando. E’ un silenzio filosofico, che serve al commissario Montalbano per meditare, anche a tavola, sui casi che è chiamato a risolvere, sulle matasse ingarbugliate che deve sbrogliare. G. Tomasi di Lampedusa racconta nel libro “I luoghi della mia infanzia” che, quando era ragazzo e la famiglia si recava a Santa Margherita Belice, un’amica della madre era solita inviare una “zuppiera colma di maccheroni di zito alla siciliana con carne tritata, melanzane, basilico, che era davvero una pietanza da dei rustici e primigeni. Il ragazzo che portava la zuppiera aveva l’ordine preciso di posarla sulla tavola da pranzo quando eravamo già seduti a tavola e, prima di andarsene, ingiungeva ai commensali, per ordine della donatrice, di non dimenticare una grattugiata di “cascavaddu”, di caciocavallo. Ma nessuno mai obbedì a quell’ordine. Nel romanzo “L’amore ai tempi del colera” Gabriel Garcìa Màrquez ha intrecciato una serie di fantastiche vicende intorno al tema centrale: per cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese, Florentino Ariza ha perseverato nel suo amore per Fermina Daza, la più bella ragazza del Caribe. Un eterno, incrollabile sentimento che Florentino continua a nutrire contro ogni possibilità fino all’inattesa, quasi incredibile, felice conclusione: ormai vecchi entrambi, incominciano ad amarsi e a recuperare il tempo perduto. Fermina Daza, che odiava fin da quando era bambina le melanzane soprattutto per il loro colore, dopo la morte della suocera – la madre del primo marito – ne mangia un piatto, e viene conquistata dal loro sapore e dal loro profumo fino a ordinare che non manchino più sulla sua tavola. Le melanzane di Fermina diventano il “segno” della trasformazione della storia esterna e interiore della donna. Bisognerebbe dedicare qualche parola anche alle “melanzane in pittura”, al quadro di Guttuso, per esempio, ma oggi ho mangiato melanzane: e mi hanno consigliato di essere prudente, di non bruciare in una sola volta tutti gli argomenti.