La prof.ssa Rosa Caiazzo conquista il “dottorato” di ricerca all’Università di Bologna

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La prof.ssa, figlia di una sangennarese e di un ottavianese, ha presentato una ricerca dal titolo: “Tradizioni e pratiche mediche nella Lucania Tirrenica dall’antichità al primo Medioevo”: un “mare” in cui confluiscono storia politica e storia sociale, storia della medicina, archeologia, filosofia, letteratura classica, storia dell’agricoltura e dell’alimentazione. E infatti il titolo completo è “Dottorato di ricerca in philosophy, science, cognition, and semiotics (PSCS).” Accompagna l’articolo un personaggio della “Scuola d’Atene” di Raffaello: potrebbe essere Parmenide.

 

Prima di tutto il “luogo”: la Lucania tirrenica che nell’antichità vuol dire Elea (Velia) e l’incrocio delle strade – vere strade del sapere – per Crotone e per Paestum, e il culto di Apollo, e quello di Asclepio, il dio delle guarigioni. Pagina dopo pagina la prof.ssa Rosa Caiazzo amplia l’orizzonte di questo “luogo” e con la rigorosa interpretazione di iscrizioni e di sparse notizie letterarie “ricostruisce” i santuari, le ville e le compagnie e le corporazioni di medici. In mezzo, giganteggia la figura di Parmenide, ma non solo il Filosofo sommo di Elea, ma anche, e soprattutto il Parmenide “Ouliàdes phusikòs”, il “naturalista risanatore”. E la prof.ssa Caiazzo ci ricorda che Plutarco ce lo aveva detto: Parmenide “ha stabilito un ordine universale, e mescolando come elementi il luminoso e l’oscuro, a partire da essi e per mezzo di essi, fa compiere tutte le manifestazioni sensibili. Ha trattato diffusamente, infatti, sia della terra, sia del cielo, sia del sole, sia della luna, sia degli astri e ha spiegato la genesi degli uomini”. Rosa Caiazzo “scopre” e costruisce per noi questo mondo con la sua prosa, in cui  si incontrano, in ogni parola, il rigore della filologia e l’appassionato piacere del racconto e della scoperta. Un interesse particolare hanno per i lettori vesuviani le pagine in cui Rosa Caiazzo scrive di un altro tema poco noto: l’uso che gli antichi facevano del vino come farmaco, seguendo le indicazioni di Asclepiade di Bitinia, autore di un libro sulle proprietà mediche e curative della bevanda di Bacco: per questo egli fu il primo a meritare il titolo di “colui che consiglia il vino”. Racconta Plinio che Asclepiade di Bitinia, usando il vino come farmaco, fece tornare in vita e vivere per molto tempo ancora un uomo di cui si stava celebrando il funerale: inoltre il medico “scommise con la fortuna che non doveva più essere considerato medico, se mai si fosse in qualche modo ammalato. E vinse: morì infatti vecchio e decrepito, cadendo per le scale”. Dioscoride sosteneva che i vini vecchi fossero dannosi per il sistema nervoso e che i vini novelli, notoriamente difficili da digerire, inducessero il bevitore a fare brutti sogni e gli procurassero problemi diuretici: consigliava perciò vini di età media, che non creano problemi né ai malati, né ai sani. Lo scrive Ateneo, il geniale autore di “ I deipnosofisti” a proposito di un noto vino campano, il Falerno: “Il vino Falerno si può bere dopo dieci anni, ma è migliore da quindici fino a venti: quello che supera questo tempo produce mal di testa e aggredisce il sistema nervoso…Invece “il vino di Sorrento comincia a diventare buono da bere dopo venticinque anni, poiché non è pastoso ed è molto ruvido, invecchia con difficoltà e una volta invecchiato è adatto quasi soltanto a chi ne fa uso continuamente”.  Diventava complessa, anche per i medici più esperti, la valutazione dei vantaggi e dei rischi prodotti dai vini trattati con erbe e con vegetali. Ricordo di aver letto che, secondo Plinio, il fungo “cardoncello”, infuso nel vino, è utile contro l’itterizia e contro tutte le malattie della vescica, del cuore e del fegato, e un impiastro della sua lanugine mista a zafferano, spalmato sugli occhi, prosciuga le lacrimazioni. Ancora a metà dell’Ottocento, medici napoletani importanti usavano il vino vesuviano come farmaco per le crisi nervose.  Antonio Ranieri, l’ultimo amico di Giacomo Leopardi, divenne amico di Giuseppe IV principe di Ottajano che gli donava generosamente il vino dei suoi vigneti, consigliato dagli specialisti dell’ospedale “Gli Incurabili” come preziosa medicina per gli “abbattimenti e gli scoramenti” che colpivano sua sorella Paolina. Siamo certi che la prof.ssa Rosa Caiazzo ci donerà altri “frutti” preziosi del suo metodo rigoroso e della sua prosa affascinante.