LA NATURA “IMMORALE”

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I cambiamenti climatici e gli effetti del consumismo mettono seriamente in discussione la sopravvivenza di molte specie nel pianeta. L”uomo non è immune dal rischio. Serve una cultura nuova e uno stile di vita. Di Luigi Jovino

Il National Geograpich ha previsto che ci saranno 50 milioni di vittime per cause meteorologiche entro il 2050. La stima, fatta agli inizi dell’anno 2000, dovrà essere valutata al rialzo a giudicare dai risultati registrati negli ultimi 10 anni.

I cambiamenti climatici, infatti, sono un dato accertato e neanche correndo ai ripari subito, si riusciranno ad evitare frane, allagamenti, esondazioni, alluvioni e tornadi con il loro carico di distruzione e di morte. La cronaca ci dice che un altro punto di non ritorno è la crisi dei rifiuti, anch’essa ampiamente prevista da studiosi, ecologisti e scienziati da almeno 30 anni fa. Nella gente, dopo l’apatia degli ultimi decenni, comincia a diffondersi una coscienza nuova, aggravata da tante preoccupazioni. I problemi della natura tornano all’attenzione generale perché condizionano pesantemente la qualità della vita, il diritto alla salute e la salubrità degli ambienti. A parte le legittime proteste, però, nessuno indica soluzioni.

Gli scienziati sembrano relegati al ruolo di Cassandre, buoni solo per interventi tampone. La nostra società impostata su paradigmi fondamentali come il lavoro, il rispetto dei diritti umani e il dovere morale sembra impotente. Non riesce ad arginare la catastrofe prossima ventura. A rifletterci bene esistono cause strutturali che ci impediscono di agire. L’articolo 1 della nostra Costituzione recita “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Credo che nel discorso sulla riforma costituzionale dovremmo inserire anche la difesa degli ecosistemi. Mi spiego meglio. In una società impostata sul lavoro e con grandi problemi occupazionali è difficile far capire che sono scellerate alcune scelte come quella del vuoto a perdere.

Infatti per produrre un chilo di vetro abbisognano più di 350 grammi di petrolio. Per la fusione della materia prima e per la realizzazione delle bottiglie si deve arrivare a temperature che superano i 1000 gradi centigradi, con il grave danno di inquinamento dell’aria che ne deriva. Inoltre una bottiglia di vetro degrada in circa 500 anni. Ebbene i costi: per il petrolio, per l’inquinamento dell’aria e per lo smaltimento del rifiuto sono pagati totalmente dai cittadini. Tutto questo per far piacere alle aziende che hanno trovato agevole impostare una politica commerciale sul sistema del vuoto a perdere. Lo stesso dicasi per i contenitori in polistirolo e plastica che resistono dal supermercato a casa per poi entrare immediatamente nel ciclo dei rifiuti. Nessuno ha mai pensato di far pagare alla aziende i costi di smaltimento o di privilegiare quelle catene di supermercati che vorranno eliminare i contenitori e mettere tutto in cassetta.

Di esempi di questo delirio collettivo che ci sta portando dritti dritti verso l’estinzione se ne potrebbero fare a centinaia. Una cosa è certa: il lavoro viene prima della diritto alla salute e della difesa del nostro pianeta. La qualità della vita non viene presa neanche in considerazione. Moriremo per il lavoro e perché non abbiamo saputo trovare una alternativa di vita legata ai ritmi biologici e naturali come fanno tutti gli altri esseri viventi. “La natura non è ne buona né cattiva, né morale né amorale, ma soltanto efficiente” recita un vecchio adagio e credo che proprio sul criterio dell’efficienza naturale dovremmo impostare la società del futuro. Siamo ampiamente in ritardo, però, dobbiamo trovare la forza per vincere la sfida nuova.

La gente si convince solo delle cose che convengono e fra non molto converrà a parecchi cambiare ritmi di vita e comportamenti consolidati. La cultura e la politica dovranno fare la loro parte perché il nostro pianeta è gravemente malato ed il 2012 è già iniziato. La profezia catastrofica di Nostradamus, rispetto alle previsioni e ai modelli statistici previsti dagli scienziati, sembra una gioiosa nenia. Assume lo stesso valore simbolico e malinconico di una canzone di Battiato.

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