La festa della “Natività” in una Italia che non fa più figli deve diventare il “segno” di una rivoluzione culturale e sociale.

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La relazione tra Madre e Figlio nel quadro di Cagnacci. I teologi più importanti ammettono che la crisi demografica dell’Occidente è stata programmata dal capitalismo. La festa del Natale, sottratta al destino incombente di festa solo consumistica, può diventare il segno di tempi nuovi, in cui la giustizia sociale, la cultura del “giusto salario” e la tutela della dignità del lavoro e dei lavoratori – valori difesi da Giovanni Paolo II nelle sue encicliche – ricostruiranno l’ etica della famiglia e del “far figli”.

 

Vi risparmio il racconto dei problemi di attribuzione di questo quadro che Daniele Benati assegna con assoluta certezza a Guido Cagnacci, il pittore romagnolo vissuto nella prima metà del sec.XVII. La scena non è inusuale: drappelli di pittori si sono confrontati con il tema della “Madonna con Bambino”. Eppure Cagnacci lascia nel quadro i segni importanti di una lettura originale, a partire dalla fisionomia realistica sia di Maria che del Bambino. Notevole è il trattamento “nervoso”delle pieghe delle vesti, che sottolineano, per contrasto, l’intensità del silenzio e dell’espressione interrogativa della Madre e l’attenzione del Figlio: un’attenzione “sospesa”, come “sospeso” è il movimento delle braccia e delle gambe. Nelle mani del Bambino, disegnate e dipinte in modo magistrale, il pittore mette due significativi dettagli: il rosario e la rosa.Dopo Caravaggio, i temi religiosi vengono trattati dalla pittura italiana in una prospettiva che tiene conto della umanità dei personaggi e della “verità” talvolta naturalistica delle situazioni. E Cagnacci segue la tendenza, anzi per la qualità della sua tavolozza e per il suo temperamento che, tra l’altro, era sensibilissimo alla bellezza “fisica” delle donne, egli è incline ad accentuare i caratteri realistici dei personaggi. In questo quadro più che la Madonna e Gesù ci sono la Madre e il Figlio: più che il “mistero” teologico dell’Incarnazione Cagnacci ha voluto rappresentare il “mistero” terreno della Maternità, quella meravigliosa condizione per cui la Donna dà la vita, nel suo ventre, al Figlio, crea il presente e il futuro della Storia, contribuisce a perpetuare l’Umanità. A Cagnacci piacque immaginare che Maria vorrebbe portar via, per un momento, la rosa, simbolo del Sacrificio, e il rosario, per poter vedere nel bambino, e per un attimo, solo suo figlio.

Se il Figlio di Dio avesse voluto presentarsi sul palcoscenico della storia assumendo direttamente l’immagine e il corpo di un adulto, niente avrebbe potuto impedirlo. E invece Egli ha deciso di essere partorito, di avviare la Storia dalla culla. Egli ha voluto che la culla fosse una mangiatoia, e che a venerarLo accorressero, insieme ai Magi, i pastori. Ci dicono i teologi che ogni momento della Vita di Cristo è una “parabola”, è una lezione per l’eternità. Quando, nel 1981, Giovanni Paolo II decise di imprimere una svolta alla dottrina sociale della Chiesa e pronunciò, nella lettera enciclica “Laborem exercens”, un giudizio assai severo su certi aspetti del capitalismo, l’immagine di Cristo fanciullo che aiuta nel lavoro di falegname il padre Giuseppe venne letta come simbolo e consacrazione di quella dignità del lavoro e dei lavoratori che i “padroni” del sistema economico calpestavano con durezza. Dieci anni dopo, nell’ enciclica “Centesimus annus” il papa, nel definire  l’elenco degli aspetti negativi dei nuovi modelli economico-finanziari, mise al primo posto l’attacco strategico ch essi conducevano contro i valori della famiglia. Oggi noi sappiamo che il papa e gli studiosi da cui egli aveva tratto suggerimenti e ispirazione avevano ragione.

Dunque, la Natività può essere letta e interpretata in una prospettiva nuova, a dimostrazione del fatto che inesauribile è il significato dei Vangeli e che sono straordinarie la forza e la chiarezza con cui parlano anche ai non credenti. Oggi i teologi più attenti ai problemi dell’etica sociale condividono totalmente la tesi degli studiosi che l’Occidente non fa figli per tre fondamentali ragioni tra loro saldamente connesse: i livelli di disoccupazione che gli strateghi del capitalismo vogliono alti, i salari ridotti, la cultura del tempo libero.

Già a metà degli anni ’90 un importante teologo, Mario Reina, notava che il capitalismo non accettava il principio del “salario famigliare”, del salario rapportato al numero dei figli e che il sistema degli assegni famigliari, adottato anche dall’Italia, era solo uno scialbo palliativo che non scioglieva nessuno dei molti nodi del problema. E’ superfluo aggiungere che c’è una stretta connessione tra la politica dei bassi salari, la strategia della riduzione della natalità e il fenomeno della immigrazione. Al di là di ogni valutazione politica, al di là della ridicola e ipocrita lettura che qualcuno dà del processo dell’integrazione dei migranti, al di là degli sproloqui sul razzismo che vengono fuori dalle bocche non controllate di certi parlatori a vanvera, la crisi della natalità è fatalmente crisi dell’identità, e non solo di quella collettiva, ma anche di quella individuale.

Nella interpretazione della festa della Natività l’Italia e l’Occidente sono giunti a un bivio. Di là c’è la strada che fa del “Natale”, definitivamente, una festa solo consumistica, un prolungato spettacolo di luci, di panettoni, di canzoni e di “cose” che i grandi magazzini offrono  a prezzi ridotti; dall’altra c’è la strada che riscopre e tutela i valori sacri della Natività cristiana, in cui confluiscono anche i miti non cristiani dell’anno che finisce, della Natura che si è addormentata per risvegliarsi, del Bambino che libererà il mondo dalla minaccia della guerra e dalle tenebre del peccato. Questa seconda strada ci porta a capire che Cristo ha deciso di nascere dal ventre della Madre per dirci che la storia dell’uomo è anche storia di un processo per cui i beni creati da Dio diventano un “bene comune”, e per ricordarci che il fondamento della comunità universale è la famiglia, è il flusso della vita e dell’amore che passa dalla Madre al Figlio, e dal Figlio ai suoi Figli, senza interruzione. Ed è una “parabola” che parla al cuore anche di chi non crede.