La civiltà della lasagna contro la “civiltà smateriale” della globalizzazione:da che parte stiamo?

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Ripropongo un mio articolo per ricordare che anche la lasagna, fisico, metafisico e barocco amalgama di sostanze,  è il bersaglio di un sistema che sta cancellando  le cose, gli oggetti, il peso stesso della realtà,  che toglie il corpo ai libri, alle opere d’arte, ai rapporti sociali, al danaro, e sostituisce il mondo che si tocca, si urta, si pesa e si annusa con i fantasmi del mondo virtuale.

 

Direbbero i linguisti che la lasagna, come tutti i timballi, è, fino a un certo punto, una struttura aperta. Tra le sfoglie trovano spazio e accoglienza carni di maiali e di vitello, formaggi, mozzarelle, fiordilatte, erbe aromatiche, strutto, olio. Il tutto sotto la benedizione del ragù. I monaci di una novella di Sabadino degli Arienti, citata da Massimo Montanari,  non riuscendo a fare a meno della lasagna nemmeno nei giorni di magro, si accontentavano di un’imbottitura di solo, abbondante formaggio. I  confratelli che avevano la fortuna di vivere la loro vita di privazioni e di preghiere  in conventi prossimi al mare di Liguria  nei giorni di astinenza farcivano le loro lasagne di crostacei sgusciati.   La lasagna è un modello del mondo filosofico: e non tanto per la varietà delle sostanze, quanto per la molteplicità dei loro modi di essere: il vuoto e il pieno,  il concavo e il convesso, il tritato, il macinato, il grattugiato, l’insaccato, il frammentato, il  fluido, il cagliato, la solida sfericità delle uova, l’asimmetrica e mutevole rotondità delle polpette, la linearità ora diritta, ora ondulata, della sfoglia. In una plaquette  pubblicata pochi giorni fa dal “ Mattino “ leggo che  Napoli, città degli eccessi, sta “ in bilico “ “ fra l’assoluta essenzialità dello spaghetto al pomodoro fresco o quello antico con il formaggio dei maccaronari, oppure la sontuosità dei pasticci di pasta come la lasagna “. Ho trascritto alla lettera. L’ immagine dello “ stare in bilico “, con la sua connotazione di irresoluta incertezza e di precarietà, non mi convince. Gli spaghetti al pomodoro fresco e la lasagna non stanno agli estremi della linea storica del gusto napoletano, ma appartengono alla stessa scala.  Che è simile alla scala dell’eros in Platone. La lasagna occupa i primi due gradi, a partire dal basso: è amore dei sensi, è, in chi la prepara e in chi se la mangia, entusiastica attenzione al tempo esterno, alla polifonica e, ahimé, caduca bellezza delle cose, degli odori, dei sapori. E poi è amore delle scienze e della giustizia, è, direbbe Platone, amore delle anime: la perfezione della lasagna sta, infatti, nell’equilibrio degli ingredienti, nella doratura arroscata del suo colore, un denso e caldo colore di terra bruciata, brulée, a cui si adeguano perfino i toni del verde. L’ “ eticità “ della lasagna è tutta dentro il cuore di chi, nel prepararla e nel gustarla, dimostra di vedere il mondo nella prospettiva dell’ ottimismo, dell’amicizia, della robustezza di stomaco: si sa che gli invidiosi, i maligni e i malinconici cronici hanno  lo stomaco fiacco . Questo pasticcio barocco si offre solo agli amici veri. Ma come in Platone l’ “ amante “, dopo aver cercato, e trovato, la bellezza prima nei corpi e nelle cose, e poi nelle anime, ascende al sommo della scala, al Bello in sé, ideale e assoluto, così il napoletano vero, verace di spirito prima ancora che di nascita, dall’ affollato castello della lasagna  ascende all’ Essenzialità  degli spaghetti al pomodoro, che è rigore dell’intelletto.

La lasagna a Napoli si mangiava anche nel giorno di San Martino: quella dell’ultimo giorno di Carnevale Ippolito Cavalcanti la chiama “ timpano di maccheroni “. E’ la stessa cosa: la duttilità della lasagna assorbe ogni nome.  Se la lasagna fosse solo uno schiaffo alla fame e ostentazione della dispensa opulenta, non ne parlerei: per rispetto: vedo in giro i segni, ogni giorno più numerosi e più netti, della  disperazione. Ma  questa “ pasticcio “, che i napoletani mangiavano e mangiano all’ingresso dell’inverno e alla sua uscita di scena, è anche un atto di scongiuro contro ogni forma di maleficio. E non a caso nella lingua popolare dell’eros la lasagna è metafora dell’ organo sessuale femminile, dunque della felice fecondità: e fare lasagne significa, insomma, quella cosa là.  Negli ultimi anni anche contro la lasagna hanno combattuto aspramente le truppe di donne e uomini che inalberavano la bandiera del   “ magro è bello”: anche la lasagna è stata ridotta, da una spietata campagna di calunnie, a simbolo di oziosità canagliesca, di torpore intellettivo, e perfino dell’arretratezza del Sud – come se solo i meridionali mangiassero lasagne -, e perfino del bamboccismo: i figli di mammà vogliono il posto accanto a mammà, per gustare la lasagna di mammà.

Anche  questo fisico e metafisico amalgama di sostanze  è stato il bersaglio di una civiltà che stava , e ancora sta, cancellando  le cose, gli oggetti, il peso stesso della realtà, e toglie corpo ai libri, alle opere d’arte, ai rapporti sociali, al danaro, e sostituisce il mondo che si tocca, si urta, si pesa e si annusa con i fantasmi del mondo virtuale. La civiltà smateriale,  così l’ ha chiamata recentemente Raffaele Simone, non può che odiare la massa  imperiosa della lasagna. Ma la crisi economica spazza via gli artifici e il gioco delle assenze che si fingono presenze: spazza via la cucina cerebrale, che al centro di un immenso piatto di portata mette una goccia, ‘no schizzeco,  di crema giallastra e, tutt’intorno, un filo di gelatina verde, e tu non sai che è: ma che è, dentifricio ? e se trovi il coraggio di portare quella roba alla bocca, prima ti guardi intorno, a spiare se gli altri usano il cucchiaio o la forchetta. Tornano le cose, tornano gli oggetti del nostro passato, tornano le memorie di quando camminavano per strade fatte di basoli, e non per le vie di Internet, e mangiavamo smisurati panini gonfi di mortadella e di Auricchio piccante – sposo  insostituibile della mortadella, soprattutto di quella tagliata con il coltello, e non con la macchina – , e leggevamo libri di carta vera, con dentro storie vere di donne e uomini veri, e non di avatar. Torna anche la lasagna. Avevano ragione i frati di Sabadino degli Arienti. Non se ne può fare a meno. Per necessità filosofica. Una mistica necessità