Nel 1879 il processo contro Raffaella Saraceni, accusata di aver istigato l’amante a uccidere suo marito, Giovanni Fadda, suscitò la morbosa attenzione delle signore dell’alta borghesia romana. La vicenda “dettò” a Francesco Netti il quadro “In corte d’assise” – l’immagine correda l’articolo – e suscitò lo sdegno di Giosuè Carducci, che si avviava a diventare un implacabile moralista. La signora venne difesa dal grande avvocato napoletano Enrico Pessina.
Giovanni Fadda, che aveva combattuto da eroe nel 1859, nella battaglia di San Martino, meritando la medaglia e la promozione a capitano, nel 1875 sposò una bellissima calabrese di Cassano sullo Ionio, Raffaella Saraceni. Ci volle poco alla giovane e ardente signora per capire che la virilità del marito era stata gravemente e definitivamente compromessa da una ferita che una baionetta austriaca gli aveva inflitto nella battaglia di San Martino: Fadda aveva sperato che l’amore appassionato di una bella donna lo avrebbe aiutato a risolvere il problema. Ma risultata vana la speranza, il capitano consentì alla giovane moglie di recarsi spesso a Cassano, dai suoi, a cercare conforto e serenità. E invece le carte processuali dicono che Donna Raffaella cercò, nel suo paese natio, e facilmente trovò, amanti capaci di alimentare in lei il fuoco che il marito non era in grado nemmeno di accendere. Alla fine, la signora scelse come amante fisso Pietro Cardinali, cavallerizzo di un circo che aveva messo le tende a Cassano. Il 6 ottobre 1878 Pietro Cardinali si recò a Roma, bussò alla porta di Fadda, che aprì, e venne accoltellato dall’amante della moglie: ma pur gravemente ferito, il capitano riuscì a scendere in strada, a invocare aiuto e a far catturare l’aggressore: infine, spirò. Il processo si tenne nel 1879, a Roma. Il Cardinali venne condannato a morte, e in seguito la pena fu commutata in quella del carcere a vita. La signora, difesa da Enrico Pessina, uno dei più grandi penalisti italiani, si presentò alle sedute “vestita di nero, con “quell’inevitabile fazzoletto” tra le mani (Corriere della Sera, 6 ottobre 1879) e negò di aver chiesto all’amante di uccidere il marito: venne condannata a trenta anni di lavori forzati, ma in carcere si comportò con tale dignità e apparve a tutti così sincero il suo pentimento che dopo dieci anni ottenne la grazia e la libertà. I giornali raccontarono tutte le sedute del processo, anche quelle dedicate ai particolari scabrosi della vicenda, quando inutilmente il presidente del tribunale invitava le “signore per bene” ad uscire dall’aula: le signore restavano al loro posto, perché erano venute proprio per ascoltare la descrizione di quei particolari e inoltre si auguravano che i giornali parlassero delle loro “toilettes che fanno bella mostra nella tribuna riservata al sesso gentile desioso di forti emozioni” (Corriere della sera, 8 ottobre 1879). Non si era mai vista una scena del genere, in un tribunale italiano. E nel 1882 Francesco Netti volle descrivere in un quadro la morbosa attenzione che dalla tribuna a loro riservata le signore dedicavano ai “duelli” che si svolgevano nell’aula, davanti ai giudici. Qualcuno criticò la decisione di Netti, accusandolo di aver asservito l’arte alla cronaca: ma lui rispose che “l’omicidio di una persona ignota, avvenuto ieri e raccontato in una cronaca di giornale” attirava il suo interesse più degli assassinii di cui parlano il mito e la storia. In ogni caso, quello di Netti è un quadro notevole: per l’armonia cromatica; per l’impaginazione, che è assolutamente originale (l’opera misura cm. 181,5 x 96,5, e non è facile lavorare su una tela la cui base è il doppio dell’altezza); per la coerenza tecnica con cui la linea curva del “balcone” della tribuna imprime movimento a una scena che altrimenti risulterebbe “seduta” come le signore e inoltre ci spinge a osservare la varietà delle espressioni del volto.
Sul “Fanfulla della Domenica” del 19 ottobre 1879 Carducci pubblicò un epodo “A proposito del processo Fadda” in cui espresse il suo disgusto per “la depravazione morale di tutta una società in via di putrefazione” e attaccò duramente le “signore” che scambiano un processo per assassinio per uno spettacolo teatrale, così come le matrone dell’antica Roma assistevano con complicate emozioni ai duelli dei gladiatori nel circo. Rivolgendosi alle spettatrici del processo Fadda così verseggiò il poeta. “Voi sgretolate, o belle, i pasticcini / tra il palco e la galera;/ ed intente a fornir di cittadini / la nuova italica èra,/ studiate, e gli occhi mobili dan guizzi/ di feroce ideale, /gli abbracciamenti dei cavallerizzi / tra i colpi di pugnale…”.