Nel 1866, proprio mentre Napoli perdeva il ruolo di centro dell’economia campana e meridionale, i giovani vesuviani e quelli ottajanesi in particolare – citiamo alcuni nomi- diedero grande prova di sé nella guerra contro l’Austria. Solo Ottajano e Somma ebbero sussidi dal Comitato Nazionale, presieduto dal sindaco di Firenze, “per soccorso ai feriti e alle famiglie dei morti.”. Gaetano Auricchio medaglia d’argento. Il tragico destino di Pasquale Boccia. Il quadro è “ La battaglia di Custoza” di Giovanni Fattori.
La guerra del ’66 contro l’Austria, la prima dell’Italia unita, fu un’importante fucina dell’amor patrio e la classe dirigente del Sud fu sollecitata a tenerne alte le fiamme con ogni mezzo. Nel maggio alcuni Consigli Comunali della provincia di Napoli, considerando che” molte reclute si erano mostrate risolute alla partenza per concorrere con la loro opera all’indipendenza nazionale” stabilirono premi in danaro per i concittadini che conquistassero una bandiera nemica, o meritassero una medaglia al valor militare, o tornassero dai campi di battaglia menomati e inabili al lavoro. Furono previste pensioni per le vedove con figli e anche per quelle senza figli ” quante volte conservino lo stato vedovile”. Un reduce della battaglia di Custoza, che aveva riportato una ferita “riparata mercè l’amputazione del piede destro, astrazione fatta ai disagi sofferti per continuo bivacco”, non bastandogli, a vivere,la pensione del Governo, chiese nel ’67 al Sindaco di Ottajano un segno concreto di riconoscenza: niente di eccessivo – lo impediva la sua “delicatezza”- ” ma un “presente una tantum, un ricordo qualsiasi per sovvenire ad alcuni suoi affari.” Ebbe pasta, olio, “salumi e lire 50”. Il sindaco don Giuseppe Bifulco, il prete nero, stanziò per le famiglie dei soldati” bisognosi” 820 lire, a cui Michele de’Medici aggiunse di suo 50 lire, e il padre 240 lire, e in più “bende e filacci” e 3000 limoni,”raccolti or ora” negli assolati giardini delle terre vesuviane, “per essere spediti al loro destino”, negli ospedali militari, in cui il succo di limone veniva usato come disinfettante. Nell’ospedale di Brescia, il 24 luglio del ’66, morì il granatiere Angelo Capasso, per ferite riportate a Custoza. L’Ufficio Amministrativo del 2°Reggimento Granatieri con lo stesso stampato comunicò alla famiglia, che nulla sapeva del ferimento, che Angelo era morto e che il morto era debitore verso la cassa dell’esercito di lire 192. Meritarono la medaglia d’argento al valor militare il bersagliere Gaetano Auricchio che ebbe la fortuna di tornare a Ottajano e il cannoniere Pasquale Boccia, che invece si inabissò nel mare di Lissa, sulla “Re d’italia” o sulla pirofregata “Ancona”:l’aiutante generale del 2° dipartimento marittimo promise che avrebbe sciolto l’enigma, ma non lo fece, e di questo non lo rimproverarono il padre vecchio e inabile del cannoniere, e il fratello storpio. Dopo una lunga attesa, e dopo molte sollecitazioni dei due al sindaco, e molte del sindaco al Ministero della Guerra, lo Stato pagò il promesso “soprassoldo” delle cento lire:questo fu il premio per i morti di Lissa. I concittadini di Pilone e di Barone accettavano ormai il nuovo ordine e lo cementavano col proprio sangue. Circa 40 Ottajanesi ricevettero medaglie commemorative per la guerra del ’66, e Ottajano e Somma furono i soli Comuni del territorio ad ottenere un sussidio dal Comitato – lo presiedeva U. Peruzzi, sindaco di Firenze- “per soccorso ai feriti e famiglie dei morti nella guerra del ’66”. I giovani delle terre vesuviane non combatterono solo contro lo straniero; ebbero l’ordine di sparare anche su Italiani, obbedirono e furono premiati. Ebbe la medaglia d’argento al valor militare il bersagliere ottajanese Santolo Cutolo, che nella giornata della rivolta di Palermo, il 21 settembre 1866, era stato ferito, e pur ferito, aveva continuato a “battersi coraggiosamente”; ebbe la menzione onorevole Alfonso Avino, anche lui ottajanese, “per essersi distinto nell’uccisione del brigante Franchetti, il 10 maggio 1868”.E’ probabile che molti si piegassero al servizio militare sotto l’urgenza della crisi economica che nel 1865 si manifestò con la gravità di un fenomeno strutturale. Fu chiaro allora che Napoli, dopo aver perso la centralità politica, non era più al centro dell’economia meridionale. La crisi colpì duramente i cantieri di Castellammare, non sostenuti più dalle commesse della Marina Militare. Proprio nel ’65 furono licenziati circa mille operai degli arsenali di Napoli e di Torre del Greco, e diventò drammatica la situazione delle officine tipografiche e delle cartiere, che non fornivano più né carta né stampati ai ministeri. Sull’ industria metalmeccanica pesò gravemente la nuova politica doganale, che mirava a scambiare prodotti agricoli con prodotti industriali lavorati. La politica doganale provocò una radicale ristrutturazione dell’ industria tessile del territorio. I cotonifici svizzeri del Salernitano, ammodernati convenientemente, superarono intorno al ’65 la crisi produttiva, ma non si salvarono dal naufragio i linifici e i canapifici di piccole dimensioni, che avevano dato lavoro e un qualche benessere alle terre vesuviane almeno fino al ’60. La fine della guerra civile americana chiuse al cotone napoletano i mercati inglesi e francesi, che erano stati conquistati nel ’63 grazie anche all’eccezionale raccolta di quell’anno. A 60 anni dalla definitiva demolizione del sistema feudale si vide che la crisi dell’agricoltura vesuviana dipendeva anche dall’eccessivo frazionamento della proprietà terriera. Ne soffrì soprattutto la viticoltura, proprio mentre alcuni illuminati viticultori, come i Medici e Ambrogio Caracciolo di Torchiarolo, investivano capitali nell’ammodernamento degli impianti e nella produzione di vini di qualità.



