Il quadro – olio su tela, cm.131x 88- si intitola “Donna con il parasole che guarda a sinistra”, perché il pittore dipinse la stessa scena in cui la donna si volge alla sua destra. La donna è Suzanne Hoschedè, figlia di Alice, la moglie di Monet: il colle su cui il pittore vide Suzanne e ne trasse ispirazione è l’Ile aux Orties. Entrambi i quadri fanno parte della collezione del parigino Museo d’ Orsay. La fondamentale polemica contro il principio del “colore locale” delle cose.
“Monet è solo un occhio, ma che occhio” (P. Cèzanne)
Nel 1886 venne organizzata l’ottava mostra degli Impressionisti, ma Claude Monet, pur collaborando con gli organizzatori, non espose nessun quadro, come nessun quadro aveva esposto alla quinta e alla sesta mostra: le strade degli Impressionisti incominciavano a separarsi, per ragioni chiaramente tecniche e anche per le oscure manovre dei mercanti. Monet non era attratto dalla figura umana, e dunque i due quadri dedicati a Suzanne possono considerarsi una rarità: osservata dal basso, sull’intreccio dell’erba, la donna si delinea in una forma monumentale, ma non c’è disegno del volto e i moti dello sguardo e i tratti della bocca e del naso si confondono nell’azzurro del velo e nel verde del parasole. A Monet anche in questo quadro che pare una novità nella sua produzione interessano ancora una volta solo i temi che hanno attirato da sempre la sua attenzione: la luce e la natura, visti e percepiti come segni del “momento”, della “durata assai breve” (Anthea Callen): nulla si sottrae più rapidamente al nostro sguardo dei toni del colore su un abito leggero e sui fiori e sui fili d’erba mossi dal vento. Sul bianco della veste, del cielo e della base del prato Monet stende il giallo, il verde, l’azzurro, il rosa con pennellate brevi, umide, rapide: e la loro rapidità è il simbolo concreto di quella percezione del tempo come “momento” che il pittore considera il principio primo della sua arte, come testimonianza visibile della volontà di cogliere l’attimo e di avvicinarsi alla natura fino a confondersi con essa. Per questi motivi Monet non usò mai la tecnica a spatola che Manet, Pizarro e Cézanne adottarono soprattutto per dipingere ampie zone dello sfondo dell’opera. Tra l’altro, questa tecnica portava sulla tela una quantità eccessiva di olio, e l’olio, nel tempo, tendeva ad ingiallire e ad alterare l’originale equilibrio dei colori. Per evitare tutto questo e per eliminare l’olio superfluo Pizarro era solito mettere su carta assorbente, prima di usarli, i colori da stendere a spatola: e divenne così esperto da indicare per ogni pigmento il livello ottimale di assorbimento. Monet fu il più aspro nella polemica contro il concetto di “colore locale”, cioè contro la diffusa convinzione che ogni cosa ha un colore suo proprio: l’erba è verde e i limoni sono gialli. Il pittore osservò che il “colore locale” di ogni cosa ai nostri occhi appare modificato dai colori riflessi delle cose che stanno intorno e dal colore dell’atmosfera e della luce solare: è questo colore modificato che il pittore deve cogliere e rappresentare. Fu proprio la forza concettuale e artistica con cui difese questo principio che fece di Monet un “padre” dell’Impressionismo e spinse Cèzanne a dire di lui: “ E’ solo un occhio, ma che occhio”.


