Al lume di candela: la Giuditta robusta e spietata di Artemisia Gentileschi

0
1138

Questo olio su tela (c. 182, 2 x 142, 2), che è esposto al “Detroit Institute of Arts” e che si intitola “Giuditta e la fantesca”, Artemisia lo realizzò probabilmente a Roma, tra il 1625 e il 1627. Rappresenta il momento in cui Giuditta e la serva si accingono a nascondere la spada e a portar via la testa di Oloferne. Intenso è il contrasto tra tenebra e luce: è evidente l’influenza di Caravaggio e di Gerrit Van Honthorst – “Gherardo delle notti”-, ma  nella tecnica e nella impaginazione sono chiari anche i segni della originalità di Artemisia.

 

Oloferne, generale del re assiro Nabucodonosor, assedia Betulia, e Giuditta, fiorente vedova ebrea, lo seduce e lo ubriaca e, mentre lui dorme, gli taglia la testa e la porta via, la testa, per mostrarla non solo ai suoi, come trofeo di vittoria, ma anche ai soldati assiri, perché sappiano che fine ha fatto il loro condottiero e interrompano l’assedio di Betulia. La storia, descritta nell’ Antico Testamento, ispirò gli artisti già nel Medio Eco. Nel Rinascimento Donatello nella scultura e Botticelli, Mantegna e Giorgione nella pittura idealizzarono la figura di Giuditta e la rappresentarono bella, elegante e – per esempio, nel quadro di Giorgione – perfino angelica. Caravaggio e, in genere, i pittori del Barocco portarono al centro della scena l’orrore della violenza studiando perfino i movimenti del sangue che schizza dal taglio, o si concentrarono sulla rappresentazione di Giuditta e della serva che si allontanano dalla tenda di Oloferne portando via la sua testa. Artemisia Gentileschi si cimentò con le due versioni del tema, e più volte con ciascuna versione: gli “Uffizi” e il Museo di Capodimonte conservano due straordinarie tele – il dipinto di Firenze è una replica del quadro di Napoli – in cui la pittrice rappresenta, con dettagli originali, il momento terribile del taglio: .nel gesto di Giuditta che affonda con cura – direi, con arte – la spada nel collo dell’assiro c’è il segno del dramma personale: la pittrice avrebbe voluto sottoporre allo stesso trattamento Agostino Tassi che l’aveva violentata e ingannata. Ma anche il tema della fuga, di “Giuditta e la fantesca”, Artemisia seppe “impaginarlo” in modo nuovo, dimostrando, tra l’altro, di essere un’attenta osservatrice dello sviluppo della pittura barocca in Italia, in Francia e in Olanda. Nel quadro di Detroit ci colpisce il “fisico” di Giuditta: non è più una graziosa fanciulla, ma è una donna massiccia e imponente che ha già vissuto, da tempo, gli anni della giovinezza e che “mostra, nei tratti del viso e nella postura del corpo, una determinazione e una forza di volontà senza precedenti nella pittura di Artemisia” (Tiziana Agnati).  Comprendiamo, attraverso il disegno “naturalistico” del volto, del collo e del gesto che Giuditta fa con la mano sinistra, che la pittrice non sta “immaginando”, ma sta raffigurando sulla tela due modelle impegnate, sotto il suo sguardo, nella rappresentazione della scena, in una stanza veramente illuminata da quella sola candela che nel quadro è poggiata sul tavolo. Questo contrasto risoluto tra zone di luce e il “notturno” dominante nel “luogo”  ricorda certamente Caravaggio, ma è probabile che Artemisia si sia ispirata ai “notturni a lume di candela” che Gerrit van Honthorst, “Gherardo delle notti”, dipinse a Roma negli anni venti del ‘600. La candela crea passaggi repentini tra le parti illuminate e quelle “scure” e riduce al massimo i toni intermedi: la “testa” di Giuditta (vedi immagine in appendice) ci dice che in questo quadro la tecnica di Artemisia dipende, in parte, ancora da Caravaggio. Sull’ imprimitura in terra nera della tela la pittrice ha disegnato la testa, il collo e le braccia delle due donne con velature di ocra, e poi su queste velature ha sovrapposto tratti assai tenui di vermiglione e di giallo stemperati, e infine sequenze di bianco, anche con punte di impasto denso – per esempio sulle mani di Giuditta e sul collo della fantesca –  per creare le parti del corpo illuminate. Successivamente ha dipinto le vesti e i veli, e con grande precisione – è questa una caratteristica della pittura  di Artemisia – gli oggetti: quelli  sul tavolo, l’elsa della spada e i gioielli del diadema che “ferma” le chiome dell’eroina Scrive qualche critico che il movimento delle braccia di Giuditta ricorda quello della donna che “tenta” San Francesco nella “Tentazione di Francesco” di Simon Vouet, ma ricordava giustamente Biedermann che tutta la pittura barocca è “teatrale”, nel senso che si propone di creare nei quadri l’immagine del movimento. In questo quadro Artemisia suggerisce il “movimento” con le asimmetriche linee delle braccia di Giuditta e della sua fantesca, con le pieghe verticali delle vesti, con quelle del drappeggio rosso che sta in alto e che indica la presenza di spazi oltre quello in cui “stanno” le due donne: ma l’idea geniale è quella del braccio sinistro e della mano aperta che “si muovono” verso l’esterno della tela.