L’Inferno e il Paradiso: due luoghi identici, caratterizzati dal solo libero arbitrio, cioè la volontà dell’uomo nello scegliere il bene ed il male.
“Il dovere è quello che pretendiamo dal prossimo, non è quello che facciamo noi”
Oscar Wilde
Avevo diciotto anni. La passione ed il dinamismo proprie di quella età; edonista convinto con una sana “sindrome” nietzschiana dello “Übermensch”, il superuomo tanto amato dai giovani liceali. A proposito: avevo anche un esame di maturità classica da sostenere!
Quotidianamente stregato e dolcemente travolto da tutto ciò e da tutte quelle persone che mi facevano stare bene: “il Piacere per Dovere!” rispondevo a chi provava a richiamarmi all’ordine! Finché un giorno mio padre, preoccupato per il mio futuro (e per il mio esame!), decise di mettere un freno al mio stile di vita. La mia reazione? Allontanamento volontario di mezza giornata da casa, con cellulare accesso al quale rispondevo senza problemi.
Me ne andai a Napoli, a San Martino, a riflettere in compagnia e, mentre parlavo con questa mia amica, si avvicinò un distinto signore anziano: capelli bianchi come la veste degli angeli, occhi color cielo e viso sereno come quello stesso cielo. Questi, vedendo la rabbia dei miei diciotto anni, volle raccontarmi un suo sogno. L’Inferno e il Paradiso.
Curioso e “affamato” come sempre, lo ascoltai di buon grado. “L’inferno che ho sognato io” – mi disse – “era un luogo enorme, chiuso, bianco, pulito, senza porte né finestre. Al centro di questo ambiente vi era un piatto smisurato pieno di ogni ben di Dio. Attorno ad esso c’erano i “dannati”, tutti dotati di un cucchiaio estremamente lungo. Ognuno di essi cercava di avvicinarlo alla bocca: nessuno vi riusciva, poiché la lunghezza dell’utensile faceva sì che il cibo cadesse tutto.” “E il Paradiso?” – chiesi incuriosito – “Il Paradiso che ho sognato io era un luogo enorme ,chiuso, bianco, pulito, senza porte né finestre. Al centro di questo ambiente vi era un piatto smisurato pieno di ogni ben di Dio. Attorno ad esso c’erano …” “E qual è la differenza?” – lo interruppi – “La differenza” – riprese sorridendo- “sta nel fatto che lì ognuno dava da mangiare all’altro, aspettando pazientemente il proprio turno, non come hai fatto tu, mio giovane e nuovo amico, interrompendomi.”
Allora capii. Non avevo avuto pazienza, così come non avevo ascoltato chi, forse, aveva cercato d’insegnarmi che ogni cosa ha il suo tempo. Ma il merito grande va a quell’uomo (era un uomo?) che mi aveva insegnato una cosa che non avrei mai più dimenticato. E allora? vi chiederete voi; allora, mi è tornata in mente quest’esperienza quando ho visto qualcosa che mi ha davvero indignato! C’è un uomo, Salvatore, che vive dal mese di Gennaio di quest’anno in un’auto con il suo fedele cane, proprio alle spalle della Casa Comunale. Un uomo mite, rassegnato e dignitoso al tempo stesso. Lo ha portato lì un problema di salute, oltre alla crisi che attraversa il nostro Paese. La famiglia, come spesso accade nei momenti critici, lo ha abbandonato; la sua compagna è stata costretta con il insieme al figlio, suo malgrado, a ritornare al suo Paese di origine (Europa dell’est), perché lì da dove scappano per venire in Italia hanno maggiore considerazione dei “casi umani”. Mi è venuto in mente, allora, quanti migranti provenienti dall’Africa arrivano ogni giorno nel nostro Paese!!!ù
E mi è venuto in mente, forse, che il caso di Salvatore non interessa allo Stato centrale, poiché non riveste il carattere di un problema a livello nazionale. Intanto Salvatore e Pallina dormono in macchina, un posto troppo freddo fino a dieci giorni fa e che sarà troppo caldo fra dieci giorni. Il mio interessamento (da privato cittadino) presso le Autorità locali ha finora raccolto solo dei “Vi faremo sapere.”. Intanto i giorni passano e col tempo che scorre la mia coscienza m’impone sempre di più di fare proprio il problema di Salvatore, Pallina e di tutti gli altri che seguono la loro sorte per quelle disgrazie che non sono la malattia o la guerra, ma il risultato di un comportamento scellerato della società. E allora, in nome di quello che mi è stato donato fino ad oggi e di quello che è stato negato ai miei “fratelli”, ho deciso di rinunciare volontariamente a quei doni e, dopo aver atteso un ragionevole lasso di tempo per le risposte ai loro “vi faremo sapere.”, condividerò con i miei fratelli meno fortunati il loro disagio: dormirò in auto anch’io e non mangerò, perchè: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt, 25, 40)