Il mestiere di genitore è complicato, si sa, e la Legge impone anche maggiore attenzione, sanzionando quelle famiglie che non riescono a dare adeguata educazione ai figli. Il caso di oggi è molto significativo.
Il Caso
In data 6 aprile 1996, nel corso di un allenamento tennistico presso il Circolo del Tennis di Palermo, il minore G.S., veniva colpito al volto da un colpo di racchetta da tennis sferratogli dal minore G. D. in maniera imprevedibile, subendo la frattura coronale dell’incisivo centrale e laterale superiore di sinistra e ferita lacero contusa del labbro inferiore: la responsabilità delle lesioni era da ricondurre al comportamento di G. D. Nel caso di specie, ricorrono gli estremi della culpa in educando e/o di quella in vigilando.
Se i genitori non provano di aver adeguatamente educato i figli ed aver vigilato, rispondono del comportamento di questi ultimi, ex art. 2048 c.c.
Cassazione civile , sez. III, sentenza 20.04.2007 n° 9509: culpa in educando e/o vigilando
Motivi della decisione
La Suprema Corte ha ritenuto che i genitori di G.D. avrebbero dovuto offrire, al fine dell’esonero della loro responsabilità , la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’articolo 2048 c.c. e, cioè, di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore, di avere impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età , invece, tale prova non era stata offerta.
Infatti, risultava “dall’esito dell’attività istruttoria in primo grado che il medesimo si era introdotto in un ambiente nel quale non era autorizzato ad accedere, non rivestendo la qualità di socio del Circolo del Tennis; che avesse praticato il c.d. tennis a muro senza la presenza e vigilanza di alcun maestro; che, pur essendo all’epoca dei fatti appena dodicenne, si fosse recato da solo ed autonomamente da Mondello, dove risiedeva, a Palermo, in viale del Fante ove ha sede il Circolo del Tennis circostanza questa affermata dai genitori del minore offeso e non contraddetta dai genitori del minore G.D.”.
La Suprema Corte, pertanto, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, genitori di G.D., alle spese processuali.